In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di mediazione e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto da scaricare.
Caratteristiche generali
Nozione
Il codice civile offre una definizione del mediatore come colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, rappresentanza e dipendenza (art. 1754 c.c.), ma non fornisce la definizione del contratto di mediazione. Il mediatore normalmente su incarico di una parte o di entrambe mette in relazione le stesse per la conclusione di un affare. Può accadere che tale attività venga svolta dal mediatore senza che questi abbia ricevuto l’incarico, ed è l’attività a determinare la stessa esistenza della fattispecie non avendo il legislatore individuato una causa in modo espresso.
La lettera della legge ha dato luogo a due linee interpretative. Secondo una prima teoria contrattualistica, a cui sembra aderire in prevalenza la giurisprudenza, la collocazione sistematica stessa dell’istituto tra i singoli contratti sarebbe una prima conferma della volontà del legislatore di qualificare la mediazione come contratto. Altro aspetto di rilievo è il riferimento della disciplina alle regole pattizie che presuppongono un accordo e la previsione di un compenso che presuppone un conferimento di incarico ed un’accettazione dello stesso. In tema di mediazione va preferita la tesi contrattuale piuttosto che quella secondo cui il diritto alla provvigione deriverebbe dal mero fatto obiettivo dell’interposizione nella conclusione dell’affare, a prescindere cioè dall’affidamento di uno specifico incarico al mediatore; ciò anche per il condivisibile rilievo secondo cui chiunque potrebbe così profittarne, affermando di avere comunque dato un qualche contributo causale in vista del contratto finale. È una tesi, quella non contrattuale, che potrebbe dare luogo a facili abusi (Trib. Brescia, Sez. III, 1° dicembre 2003).
A questo orientamento si contrappone quello che afferma la natura non negoziale della mediazione in considerazione del fatto che quel che rileva concretamente è l’attività posta in essere dal mediatore, con la conseguenza che appare difficile ad es. giustificare la provvigione nel caso in cui un affare non sia concluso. A ciò si aggiunga che è difficile qualificare le situazioni giuridiche soggettive che sono in capo ai diversi soggetti coinvolti, peraltro, due ovvero tre, a seconda che entrambi i contraenti abbiano conferito l’incarico. La mediazione tipica di cui all’art. 1754 c.c. non è un contratto, ma un rapporto di fatto. Ne consegue che, anche nel caso in cui il soggetto intermediato sia stato inconsapevole dell’attività del mediatore, quest’ultimo ha comunque diritto alla provvigione; né tale conclusione legittima indebite o fraudolente ingerenze nell’altrui attività negoziale, in quanto il soggetto intermediato può sempre rifiutare l’opera del mediatore occulto, rifiutando di concludere l’affare da questi mediato (Trib. Monza, Sez. I, 2 luglio 2001).
Va evidenziato che quel che rileva sono i due momenti della messa in relazione delle parti e la successiva conclusione del contratto.
La conclusione di un contratto di mediazione non comporta l’obbligo, per la parte che abbia conferito l’incarico al mediatore, di concludere l’affare propostole da quest’ultimo, pur se esso risulti del tutto conforme alle richieste originariamente avanzate, salvo nel caso in cui, all’atto della convenzione negoziale di cui all’art. 1754 c.c., ed in deroga al disposto di citi al successivo art. 1755, non sia stato concertato l’obbligo di corresponsione della provvigione, da parte del cliente, indipendentemente dalla conclusione dell’affare e per effetto della semplice acquisizione, da parte del mediatore, di un’offerta omogenea a quella indicatagli (Cass., Sez. III, 24 maggio 2002, n. 7630).
Gli effetti dell’attività mediatizia possono essere paralizzati dalla prohibitio, e cioè dalla dichiarazione resa a colui che si presenta come mediatore, che non sarà riconosciuta la sua opera, purché anteriore al perfezionamento del contratto di mediazione e al prodursi del risultato utile ad opera del mediatore (Trib. Torino, 26 gennaio 2000).
Mediazione atipica
Alla luce del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., ben è ammissibile la stipula del così detto contratto di mediazione atipica, che permette pattuizioni deroganti alla disciplina dettata dal codice civile in tema di mediazione tipica. Tra tali modifiche, oltre all’irrevocabilità temporanea dell’incarico conferito al mediatore ed al patto di esclusiva, vi è pacificamente quella relativa all’accordo con il quale la parte che si avvale dell’opera di mediazione, si obbliga a concludere l’affare alle condizioni indicate nell’incarico. In tali casi, l’inadempimento del contraente, integrato dall’ingiustificata mancata stipula del contratto alle condizioni predeterminate, espone il contraente stesso al pagamento della provvigione al mediatore, in pattizia deroga a quanto disposto dall’art. 1755 c.c. (Trib. Ivrea, 29 ottobre 2003).
È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2, comma 4, della l n. 39 del 1989, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza,
nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare. Pertanto, anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata l n. 39 del 1989, ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato l’impugnata sentenza che aveva, per l’appunto, ravvisato la sussistenza di un caso di mediazione atipica nell’ipotesi in cui un soggetto aveva, da un lato, ricevuto mandato in esclusiva da parte di alcuni soggetti a reperire acquirenti per il ristorante di loro proprietà e, dall’altro, da un terza persona ad acquistare lo stesso ristorante, così escludendo il diritto alla provvigione in favore del mediatore non iscritto nell’apposito albo) (Cass., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27729; Cass., Sez. V, 12 aprile 2006, n. 8585; Cass., Sez. III, 5 settembre 2006, n. 19066).
La mediazione atipica si configura come contratto misto nel quale accanto ad elementi della mediazione si pongono elementi tipici del mandato, quale il diritto alla provvigione anche nell’ipotesi in cui il contratto non sia stato concluso. Tuttavia, ove vi siano elementi di entrambi i contratti (nella specie era previsto che la provvigione doveva essere corrisposta, in misura ridotta, anche nell’ipotesi di recesso anticipato del cliente) non è possibile scindere il contenuto del regolamento contrattuale e circoscrivere gli obblighi derivanti dal rapporto di mediazione (obbligo di iscrizione nei ruoli dei mediatori) solo a quei profili riconducibili al contratto di mediazione (Trib. Venezia, 9 ottobre 2002).
La stipula del c d contratto di mediazione atipica permette pattuizioni deroganti alla disciplina dettata dal codice civile, tra le quali — oltre all’irrevocabilità temporanea dell’incarico conferito al mediatore ed al patto di esclusiva — vi è pacificamente quella relativa all’accordo con il quale la parte che si avvale dell’opera di mediazione, si obbliga a concludere l’affare alle condizioni indicate nell’incarico. In tali casi, l’inadempimento del contraente, integrato dalla mancata conclusione del contratto alle condizioni predeterminate, espone il contraente stesso al pagamento della provvigione al mediatore, in pattizia deroga a quanto disposto dall’art 1755 c.c. (Trib. Ivrea, 11 luglio 2002).
Conclusione dell’affare e nesso di causalità
In tema di mediazione, poiché, ai sensi dell’art. 1755 c.c. per atto conclusivo dell’affare deve intendersi qualsiasi operazione che comporti un’utilità economica, spetta la provvigione al mediatore se, per effetto del suo intervento, le parti abbiano stipulato un contratto preliminare di vendita di cosa altrui, che non è nullo né annullabile, ma fa sorgere a carico del promittente venditore l’obbligo di acquistare dal proprietario il bene, al fine di ritrasferirlo al prornissario acquirente (Cass., Sez. II, 12 aprile 2006, n. 8555).
La conclusione dell’affare richiede che il negozio sia stipulato in modo giuridicamente idoneo a conseguire il risultato utile perseguito dalle parti, perché solo in tale momento si realizza la funzione della mediazione, e perciò è soltanto da tale momento che il mediatore può far valere il diritto alla provvigione, salvo che il mediatore provi la frode dei soggetti messi in relazione per escludere il suo diritto. Ne deriva, viceversa, che la conclusione non è ravvisabile se l’affare è giuridicamente nullo ab origine, come nel caso difetti la forma essenziale per la sua esistenza, mentre le vicende successive alla costituzione del vincolo negoziale sono irrilevanti per il mediatore. La prova dell’esistenza giuridica del vincolo giuridico tra i soggetti intermediati può essere fornita dal mediatore con qualsiasi mezzo, anche presuntivo, essendo egli terzo rispetto al contratto concluso per effetto della sua attività (Cass., Sez. III, 26 settembre 2005, n. 18779).
La nozione di affare di cui agli ara. 1754 e 1755 c.c. va intesa come una operazione di natura economica che si risolva in una utilità patrimoniale, suscettibile, peraltro, di conseguenze giuridiche. Essa, pertanto, stante la sua maggiore estensione rispetto al concetto di contratto, è riferibile non solo ai contratti propriamente detti, ma anche a qualsiasi operazione che sia tale da fare sorgere obbligazioni. In sostanza, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso ogni volta che tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio, ovvero anche per il risarcimento del danno.
Deve essere, pertanto, cassata la pronuncia del giudice di merito che abbia affermato che la stipula di un contratto preliminare costituisce il minimum per fare sorgere il diritto alla mediazione in favore del mediatore, posto che anche la conclusione di una opzione può, in astratto, fare sorgere tale diritto. L’opzione, infatti, a differenza della proposta irrevocabile, ha natura di negozio giuridico bilaterale nel quale due parti convengono che una di essa resti vincolata alla propria dichiarazione mentre l’altra resta libera di accettarla o meno (Cass., Sez. III, 21 luglio 2004, n. 13590).
In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui, tra le parti avvalsesi della sua opera, si sia costituito un vincolo giuridico che consenta a ciascuna di esse di agire per l’esecuzione del contratto, con la conseguenza che anche un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi “atto conclusivo dell’affare”, idoneo a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla provvigione, senza che, in senso contrario, spieghi influenza la circostanza che non sia poi seguita la stipula del contratto definitivo; tale principio opera salvo che le parti abbiano inteso derogare alla disciplina legale attribuendo il diritto della provvigione al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita (Trib. Brescia, Sez. II, 24 settembre 2003).
Il concetto di affare, di cui alla disciplina della mediazione, deve essere inteso in senso estensivo sì da renderlo riferibile non solo a tutte le situazioni in cui l’affare intermediato sia costituito da un solo contratto o da una pluralità di negozi tra loro collegati e diretti a realizzare un unico interesse economico, ma anche da qualsiasi operazione di natura economica che si risolva in un’utilità patrimoniale, prodotta attraverso strumenti giuridici (Cass., Sez. III, 11 dicembre 2002, n. 17628).
Società di mediazione
La norma dell’art. 3, comma 5, l 3 febbraio 1989, n. 39, modificata dal-l’art. 18 l n. 57 del 2001 stabilisce che tutti coloro che esercitano, a qualsiasi titolo, le attività disciplinate dalla presente legge per conto di imprese organizzate anche in forma societaria per l’esercizio di attività di mediazione debbono essere iscritte nel ruolo. Inoltre qualora una società intenda delegare l’attività di mediazione ad un preposto, i requisiti necessari per l’iscrizione andranno accertati oltre che nei confronti di quest’ultimo anche nei confronti del o dei legali rappresentanti della società medesima, che dovranno pertanto risultare anch’essi iscritti nel ruolo per poter esercitare le funzioni di delega, previste dal citato art. 3, comma 2, l n. 39 del 1989 (TAR Campania, Napoli, 6 settembre 2006, n. 7946).
In caso di esercizio dell’attività di mediazione da parte di una società, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso in favore di chi assume di aver svolto attività di mediatore è necessaria, a norma dell’art. 11 del regolamento di attuazione emanato con d.m. 21 dicembre 1990, n. 452, l’iscrizione nel ruolo dei legali o del legale rappresentante della società stessa, ovvero di colui che è preposto dalla società a tale ramo di attività. Ne consegue, pertanto, che per gli ausiliari l’iscrizione nel ruolo è prescritta solo quando risultino assegnati allo svolgimento dell’attività mediatizia in senso proprio e per la quale compiono atti a rilevanza esterna. Essa, invece, non è richiesta per quei dipendenti o collaboratori che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai so :netti a ciò preposti. Nella specie, la società immobiliare, provando di avere pubblicizzato la vendita dell’immobile su quotidiani e giornali specializzati, di avere fatto accompagnare i potenziali acquirenti a visionarlo, di averli ricevuti per le trattative presso i propri uffici, ha diritto al pagamento dell’attività di mediazione, a nulla rilevando l’ulteriore circostanza che l’attività materiale era stata posta in essere da un collaboratore della società, privo dell’iscrizione nel ruolo, perché nessuna delle attività decisionali o di rilevanza esterna sono state da lui compiute, come risulta dalle prove in atti (App. Napoli, Sez. III, 5 giugno 2006).
Tutti coloro che esercitano l’ attività di mediazione per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, devono essere iscritti nell’apposito ruolo professionale, a norma dell’art. 3, comma 5, l 3 febbraio 1989, n. 39, mentre secondo l’art. 11 del relativo regolamento di attuazione, emanato con d.m. 21 dicembre 1990, n. 452, in caso di esercizio dell’attività di mediazione da parte di una società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante della società ovvero da colui che da quest’ultima è preposto a tale ramo di attività. Se ne ricava che per gli ausiliari della società di mediazione è prescritta l’iscrizione nel ruolo solo quando, per conto della società, risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, ed impegnativi per l’ente da cui dipendono; essa non è invece richiesta per quei dipendenti della società che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Trib. Monza, 24 gennaio 2006).
Il legale rappresentante di una società di mediazione, iscritto a titolo personale, non può ritenersi ipso facto abilitato, anche in tale ulteriore qualità, a svolgere legittimamente l’attività predetta anche per la società, atteso che l’iscrizione nel ruolo dei mediatori della società non consegue automaticamente all’iscrizione di una persona fisica che rivesta, nel contempo, la qualità di rappresentante legale della società stessa (App. Roma, Sez. II, 24 febbraio 2005).
Imparzialità
Per integrare l’elemento essenziale del contratto di mediazione è necessario che il mediatore sia un soggetto imparziale e che la sua attività consista nel mediare tra le parti poste in contatto per la conclusione dell’affare.
Qualora, però, all’incarico di procurare un altro contraente in un determinato affare si accompagni quello di svolgere attività preliminari non meramente accessorie al procurato incontro tra le parti, quali quelle di ricercare non un qualsiasi contraente bensì di procedere ad una vera e propria scelta intuito persone di una controparte affidabile, nonché a verificare la concreta praticabilità dell’affare, implicanti valutazioni di discrezionalità professionale richiedenti cognizioni tecnico-giuridiche, si è in presenza, in virtù del quid pluris che connota siffatte prestazioni rispetto a quella di semplice mediazione, di un più complesso contratto d’opera professionale, che, non rientrando nella previsione di esclusività di cui alla 1. 3 febbraio 1989, n. 39, ben può essere stipulato con un avvocato e dar luogo al diritto alla retribuzione di quest’ultimo (Cass., Sez. II, 26 settembre 2005, n. 18748).
La pattuizione in base alla quale i rischi ed i benefici economici dell’affare, che il mediatore deve concludere nell’interesse del preponente, siano ripartiti in parti uguali tra gli stessi esclude la configurabilità del contratto di mediazione, in quanto fa venir meno il requisito dell’imparzialità che deve contraddistinguere l’attività del mediatore (Cass., Sez. III, 6 agosto 2004, n. 15161).
In tema di contratto di mediazione, l’imparzialità del mediatore, che caratterizza siffatto contratto, non è esclusa dalla clausola che prevede la attribuzione al mediatore di una provvigione corrispondente al supero, rispetto ad una cifra stabilita, ricavabile dalla vendita di un immobile, ove conclusa, entro una certa data, sia con l’intervento del mediatore sia direttamente da parte del proprietario; tuttavia deve escludersi che configuri un “patto di sovrapprezzo”, compatibile con il contratto di mediazione, la pattuizione in virtù della quale il maggior prezzo eventualmente ottenuto sia attribuito al mediatore, al promittente venditore e ad un terzo, in quanto in siffatta ipotesi il mediatore persegue non solo l’interesse ad una più alta provvigione, ma anche ad un più elevato prezzo, in pregiudizio dell’acquirente ed in favore del terzo che, eventualmente, può non avere svolto alcuna attività (Cass., Sez. III, 6 agosto 2004, n. 15161).
Figure affini
L’attività di mediazione e il diritto alla provvigione, a prescindere dalla natura contrattuale, o meno, della fattispecie disciplinata dagli artt. 1754 ss. c.c., sono conseguenza dell’incontro delle volontà dei soggetti interessati —sia che esse risultino da dichiarazioni esplicite, sia che si manifestino per fatti concludenti — e dell’utile messa in contatto delle parti dello stipulando contratto, “utile contatto” individuabile, quanto alla sua portata semantico-giuridica, nell’espressione “mediazione di contratto” (piuttosto che in quella “contratto di mediazione”), attesa l’esistenza di fattispecie mediatizie che non postulano un formale accordo tra le parti (ciò che attribuisce alla mediazione il carattere della atipicità). Pertanto, a differenza dal mandato (nel quale il mandatario è tenuto a svolgere una determinata attività giuridica, con diritto a ricevere il compenso dal mandante indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, anche se l’affare non sia andato a buon fine), il mediatore, interponendosi in maniera neutra ed imparziale tra due contraenti, ha soltanto l’onere di metterli in relazione tra loro, appianarne le eventuali divergenze, farli pervenire alla conclusione dell’affare divisato alla quale è oltretutto subordinato il suo diritto al compenso, senza che la sua indipendenza venga sostanzialmente meno anche in ipotesi di incarico unilaterale ovvero di compenso previsto a carico di una sola delle parti ovvero ancora in misura diseguale tra esse (Cass., Sez. III, 7 aprile 2005, n. 7251).
La mediazione va tenuta distinta dal conferimento di un mandato poiché, nell’incarico alla mediazione, perché sorga il diritto alla provvigione è necessario verificare, giusta disposto dell’art. 1755 c.c., se “l’affare si è concluso”, bastando a tal fine che la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’opera svolta, ancorché quest’ultima consista nella semplice attività di reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’affare, sempre che l’attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore, poi valorizzata dalle parti. Ne consegue che anche nel caso di mediazione negoziale atipica, se dopo la scadenza dell’incarico il mediatore reperisce l’altro contraente, una volta che l’affare si concluda, egli avrà diritto alla provvigione. Per contro non sussiste il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate.
Qualora detta assoluta autonomia della seconda attività di mediazione non sussista e l’affare sia concluso per l’intervento di più mediatori (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in base allo stesso incarico o a più incarichi), a norma dell’art. 1758 c.c. ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione (Cass., Sez. III, 18 marzo 2005, n. 5952).
SubmediazIone ed azione diretta
Il mediatore ha diritto alla provvigione anche se abbia svolto un’attività di ritrovamento e indicazione dell’altro contraente e di segnalazione dell’affare, qualora la conclusione di quest’ultimo sia ricollegabile all’opera da lui posta in essere. Non è necessario che tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, essendo sufficiente, in particolare quando il procedimento di formazione della volontà delle parti si sia protratto nel tempo e altri soggetti si siano nelle more adoperati per la conclusione dell’affare, che l’intervento del mediatore si sia presentato come l’antecedente di tale conclusione anche se in concorso con altri fattori. L’interruzione delle trattative è un evento di per sé non preclusivo del diritto del mediatore a ricevere la provvigione, ove l’affare, sia pure attraverso fasi successive, sia stato concluso. La submediazione ricorre quando l’affare viene concluso per l’intervento di un soggetto al quale l’incombenza di mettere in relazione le parti sia stata conferita da un mediatore investito di quell’incarico (Trib. Bologna, Sez. II, 6 luglio 2004).
In caso di submediazione, la parte che in origine abbia dato incarico al mediatore ha — in applicazione analogica dell’art. 1595 c.c. — azione diretta nei confronti del submediatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il mediatore originariamente incaricato, che continua, perciò, ad essere tenuto anche alle obbligazioni di informazione, di comunicazione e di avviso, derivanti dall’art. 1759 c.c., se di tale norma sussistano le condizioni di applicabilità in relazione alle circostanze a lui note (Cass., Sez. III, 8 marzo 2002, n. 3437).
In assenza di un divieto della legge, è ammissibile con riguardo all’autonomia negoziale la submediazione, cioè un rapporto di mediazione corrente tra il mediatore già incaricato ed un terzo, cui sia deferito dal primo l’incarico afferente alla conclusione dell’ affare a lui affidato da altri soggetti; in tal caso, mentre alla parte che in origine abbia dato incarico al mediatore spetta, in applicazione analogica dell’art. 1595 c.c., la facoltà di agire per la tutela dei suoi diritti anche nei confronti del submediatore, l’obbligo di corrispondere la provvigione al submediatore resta a carico del solo mediatore, che direttamente gli ha conferito l’incarico, senza che possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 1758 c.c. che riguarda l’ipotesi di più mediatori incaricati dalla medesima parte (Cass., Sez. II, 3 settembre 1991, n. 9350).
Forma
Posto che il contratto di mediazione si conclude in seguito ad accettazione da parte del venditore della proposta di acquisto sottoscritta dal compratore, come ogni proposta diventa irrevocabile nello stesso momento in cui giunge a conoscenza del destinatario. Nella specie, pur avendo il potenziale compratore dimostrato la circostanza secondo cui prima della conoscenza della proposta dal parte del venditore, si era addivenuti con il mediatore ad un accordo cadu-catorio della proposta, deve rilevarsi che l’accordo fu solo verbale, laddove, trattandosi di vendita di un bene immobile, per il quale è prevista la forma scritta a pena di nullità, tale regime è condizionante anche degli atti prenegoziali, quali sono le dichiarazioni unilaterali recettizie destinate ad incidere sulla formazione del vincolo traslativo (Trib. Bari, Sez. II, 29 giugno 2006).
Il consenso per ritenere concluso il contratto di mediazione, ove non vi sia specifico incarico, può essere manifestato per facta concludenti, quando la parte si avvalga consapevolmente dell’opera del mediatore, la cui opera non è però necessaria sino all’accordo definitivo (Trib. Brescia, Sez. I, 4 aprile 2003).
Il consenso necessario per ritenere concluso il contratto di mediazione ove non sia frutto di uno specifico incarico conferito al mediatore, può essere manifestato validamente anche per facta concludentia come quando la parte si avvalga consapevolmente dell’opera del mediatore ai fini della conclusione dell’affare (Cass., Sez. III, 22 maggio 2001, n. 6963).
Obblighi delle parti
Provvigione
In tema di mediazione, posto che ai sensi dell’art. 6, comma 1, l. n. 39 del 1989 hanno diritto alla provvigione solo i mediatori iscritti nel ruolo degli agenti di affari in mediazione, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l’attività espletata è onere di chi agisce in giudizio per ottenere tale riconoscimento dare prova della sua iscrizione nel suddetto ruolo. L’eccezione di nullità del contratto di mediazione per la mancanza della summenzionata condizione (il cui accertamento rientra tra i doveri del giudice, da verificare prima di accogliere la domanda in tal senso), costituendo una eccezione in senso lato è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Trib. Catania, Sez. IV, 20 luglio 2006).
In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui, tra le parti avvalsesi della sua opera, si sia validamente costituito un vincolo giuridico, che consenta a ciascuno di esse di agire per l’esecuzione del contratto (Trib. Monza, 27 mano 2006).
In tema di contratto di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione resta insensibile alle vicende successive alla stipula sia che esse riguardino il contratto sia che riguardino il rapporto da esso generato e sorge anche a seguito di un mero preliminare di vendita di cosa altrui (da considerarsi atto conclusivo dell’affare), venendo meno solo nel caso in cui la mediatrice abbia omesso di comunicare alle parti circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare e suscettibili di influire sulla conclusione dello stesso (Trib. Catania, Sez. I, 3 febbraio 2006).
In tema di mediazione, ai sensi dell’art. 1758 c.c., è data alla parte che si avvale di tale contratto la facoltà di affidare a più mediatori la conclusione di un medesimo affare. In tal caso, nell’ipotesi in cui il suddetto affare sia concluso in dipendenza dell’attività svolta da tutti i mediatori, l’unico effetto che ne deriva è quello di rendere parziaria l’obbligazione relativa alla provvigione, avendo ciascun mediatore diritto la pagamento di una quota di essa in proporzione alla entità e alla importanza dell’opera prestata (Trib. Monza, 3 luglio 2006).
Nella fattispecie relativa alla ripetizione di provvigione indebitamente percepita da un mediatore non iscritto all’albo, qualora si chieda l’accertamento della nullità del contratto di mediazione e l’inesistenza in capo al mediatore del diritto a percepire la provvigione (con conseguente condanna dello stesso a restituire la somma ricevuta a tale titolo), occorre far riferimento, in via alternativa, o al luogo ove è stato concluso il contratto di mediazione, o a quello in cui avrebbe dovuto essere adempiuto l’obbligo di pagare la provvigione stessa, se dovuta (Cass., Sez. III, 20 aprile 2005, n. 8253).
Attesa la pacifica non necessità di un conferimento scritto dell’incarico, all’agente immobiliare deve essere riconosciuta la provvigione per la vendita dell’immobile che sia risultata conclusa grazie alla sua attività di mediazione, comprovata dimostrando a mezzo testi di aver messo in contatto l’acquirente con il venditore, ulteriormente facendogli visitare l’appartamento, sottoscrivere le due proposte di acquisto, occupandosi presso il proprio ufficio della stipula del preliminare e presenziando anche alla stipula del rogito presso lo studio del notaio prescelto dall’acquirente. Peraltro, è ininfluente la circostanza per la quale, successivamente alla stipula del contratto preliminare, il venditore abbia avuto contatti diretti con il compratore ed il notaio, atteso che il diritto del mediatore matura con la stipula del compromesso.
Ciò detto si osserva che l’onere probatorio circa l’affermazione del convenuto secondo la quale il M. gli avrebbe garantito di esonerarlo dal versamento della mediazione è a carico del convenuto che non lo ha assolto: infatti, tale assunto del convenuto trova conferma solo nelle dichiarazioni della teste V., scarsamente attendibili, in considerazione della errata collocazione nel tempo, da parte della teste, dell’epoca della visita del M. nell’ufficio del convenuto, alla quale ella presenziò e in considerazione dei rapporti di colleganza e collaborazione che legano la teste al convenuto (Trib. Genova, Sez. III, 22 giugno 2006).
Rimborso spese
In tema di mediazione la parte che conferisce l’incarico ad un mediatore è libera di concludere o meno l’affare una volta che il mediatore l’ha posta in relazione con l’altra persona interessata e poiché la provvigione spetta al mediatore solo in caso di conclusione dell’affare stesso, ne deriva che di nulla può dolersi quest’ultimo se il committente, avvalendosi nel suo libero apprezzamento della facoltà che la legge gli attribuisce, non addivenga a detta conclusione, avendo egli solo diritto, in tal caso, al rimborso delle spese ai sensi dell’art. 1756 c.c., non residuando, in capo al committente, alcun obbligo di risarcire i danni che il mediatore deduca di avere patito per non avere percepito la mediazione del caso (Trib. Monza, 12 maggio 2005).
Secondo il disposto dell’art. 1 l. 28 novembre 1984, n. 792, nell’ambito delle attività proprie del broker si distingue quella della collaborazione intellettuale con l’assicurando per la copertura dei rischi e la assistenza alla determinazione del contenuto dei futuri contratti, seguita logicamente e cronologicamente dall’eventuale intermediazione nella conclusione e gestione dei contratti assicurativi; nel contempo la medesima disposizione normativa riporta il broker al ruolo di mediatore di assicurazione e riassicurazione, legittimando il rinvio alle norme codificate sulla mediazione. Conseguentemente, il conferente l’incarico è libero di concludere o meno l’affare, senza che, in caso negativo, al mediatore spetti altro che il rimborso delle spese, di cui all’art. 1756 c.c., e rimanendo escluso anche il diritto al risarcimento del danno da perdita del compenso (Cass., Sez. I, 1 febbraio 2005, n. 1991).
Colui che dà incarico ad un mediatore è libero di concludere o meno l’affare, e poiché la provvigione spetta al mediatore solo in caso di conclusione dell’affare stesso, ne deriva che di nulla può dolersi il mediatore se il committente, avvalendosi nel suo libero apprezzamento della facoltà che la legge gli attribuisce, non addivenga a detta conclusione, avendo egli solo diritto, in tal caso, al rimborso delle spese ai sensi dell’art. 1756 c.c., non residuando, in capo al committente, alcun obbligo di risarcire i danni che il mediatore deduca di avere patito per non avere percepito la mediazione del caso (Cass., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11244).
In tema di mediazione, l’art. 1756 c.c., nell’attribuire al mediatore — salvo patti o usi contrari — il mero diritto al rimborso delle spese nell’ipotesi in cui, indipendentemente dal motivo, l’affare non sia stato concluso, copre ogni possibile ipotesi di mancata conclusione del contratto tra le persone messe in relazione dal mediatore (Cass., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11244). Nella mediazione tipica per l’affare non concluso al mediatore spetta soltanto il diritto al rimborso delle spese (art. 1756 c.c.), essendo il committente dominus della conclusione o meno del contratto ed anche della revoca dello stesso incarico senz’altro onere (Trib. Brescia, Sez. I, 11 luglio 2003).
FidelussIone del mediatore
La garanzia personale che, ai sensi dell’art. 1763 c.c., il mediatore può prestare per l’adempimento delle prestazioni di una delle parti del contratto concluso per il suo tramite è regolata dai principi propri della fideiussione ed, ai sensi dell’art. 1937 c.c., deve, quindi, risultare da una volontà espressa: che, cioè, anche se non sono necessarie la forma scritta o formule sacramentali, sia espressamente manifestata in un patto del quale è possibile la prova con ogni mezzo, ed anche, quindi, con testimoni o per presunzioni (Cass., Sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11413).
La garanzia prestata dal mediatore per l’adempimento delle prestazioni di una delle parti del contratto concluso per suo tramite è regolata dai principi propri della fideiussione e deve pertanto risultare da una espressa manifestazione di volontà (Cass., Sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11413).
Responsabilità del mediatore
In materia di mediazione grava sul mediatore, ai sensi dell’art. 1759, comma 1, c.c. l’obbligo di comunicare alle parti circostanze a lui note circa la valutazione e la correttezza dell’affare, che possano in qualche modo influire sulla sua conclusione, obbligo che si ritiene ottemperato laddove, come nella specie, il mediatore si cura di sottoporre il bene al vaglio del probabile acquirente, consentendo allo stesso di rendersi conto in prima persona della rispondenza dell’immobile alle sue aspettative.
Pertanto, la circostanza per la quale la parte abbia ritenuto di effettuare celermente e in ore serali la predetta valutazione non vale a fondare la pretesa di annullamento della proposta di contratto ritualmente sottoscritta, adducendo, proprio a causa della suddetta circostanza, di essere incorsa in errore circa una qualità essenziale dell’immobile (Trib. Catania, Sez. I, 14 luglio 2006).
Nella mediazione, che consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, i soggetti del contratto sono tenuti all’obbligo generale e reciproco della buona fede, il quale si concreta a norma del-l’art. 1759 c.c. nel dovere del mediatore di fornire tutte le informazioni di cui egli sia a conoscenza compreso lo stato d’insolvenza dell’altra parte, che comprende sia le circostanze conoscendo le quali le parti o taluna di esse non avrebbero dato il consenso a quel contratto, sia le circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere il contratto a diverse condizioni.
E consegue che la parte tenuta al pagamento della provvigione può far valere, secondo i principi di cui all’art. 1218 c.c. l’inadempimento del mediatore rispetto a tali obblighi per sottrarsi al pagamento della stessa provvigione (Cass., Sez. Il, 15 marzo 2006, n. 5777).
In tema di mediazione quantomeno nella sua forma tipica, è inconflgurabile la responsabilità precontrattuale, ex artt. 1337 e 1338 c.c.
Ne consegue che il conferente l’incarico di mediazione può, anche in assenza di giusta causa, liberamente recedere dal proseguire in questo suo intento, senza incorrere nella responsabilità di cui all’art. 1337 c.c. nei confronti del mediatore; né egli risponde nei confronti di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1338 c.c. per non avergli dato notizia della sussistenza di una causa d’invalidità del contratto oggetto dell’attività di mediazione, giacché di detto contratto il mediatore, in quanto tale, non è parte (Cass., Sez. III, 24 maggio 2002, n. 7630).
Mancata iscrizione nell’Albo
In tema di mediazione, l’art. 8 l. 3 febbraio 1989, n. 39 commina una sanzione amministrativa a carico di chi eserciti tale attività in assenza di iscrizione nel ruolo e prevede in tal caso l’obbligo di restituzione delle provvigioni pagate, con conseguente nullità di ogni diversa pattuizione, mentre l’art. 11 del relativo regolamento di attuazione d.m. n. 452 del 1990 dispone che, qualora l’attività di mediazione sia esercitata da una società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo devono essere posseduti dal legale rappresentante, il quale, se non iscritto per conto della società stessa, non può esercitare attività mediatoria.
Ne consegue che è nullo per contrarietà a norma imperativa il contratto di mediazione stipulato con il legale rappresentante di una società non iscritto nell’albo dei mediatori (Cass., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11247).
In tema di mediazione, non può ritenersi nulla per contrarietà a norme imperative la clausola relativa alla previsione della misura pattizia della provvigione inserita in un modulo a stampa contenente le condizioni di contratto predisposte dal mediatore, la cui copia non sia stata depositata secondo le modalità previste dall’art. 5, comma 4, l. n. 39 del 1989, atteso che le norme contenenti obblighi o divieti, anche se sanzionati penalmente o in sede amministrativa, possono essere considerate imperative, in difetto di un’espressa sanzione civilistica di invalidità, solo se dirette alla tutela di un interesse pubblico generale (Cass., Sez. III, 8 marzo 2002, n. 3438).
Modello Contratto di Mediazione
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di mediazione in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di mediazione può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.