In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di know how e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto di cessione di know how e un fac siile di contratto di licenza di know how da scaricare.
Caratteristiche generali
Del termine inglese know-how, sintesi della locuzione to know how to do che tradotta letteralmente significa ‘sapere come fare’ e che trova un suo equivalente nell’espressione francese `savoir faire’ (che indica quella «connaissance technique transmissible mais non immediatement accessibile au public et non brevetée»), sono state date, da parte della dottrina italiana e straniera, un numero così ampio di definizioni da risultare assai complesso individuarne una univoca o definitiva e che possa comprendere tutti gli aspetti evidenziati, di volta in volta, da coloro che ne hanno approfondito lo studio.
Nel tentativo di far chiarezza e consapevoli che i termini della questione non possono essere esaurientemente ricostruiti in questa sede, distinguiamo:
a) il c.d. know-how in senso stretto, intendendo per tale un insieme di conoscenze e nozioni tecniche caratterizzate dalla loro segretezza e che, proprio in funzione di questo requisito, acquistano un certo valore economico e attribuiscono al loro titolare un vantaggio di natura competitiva (c.d. lead lime). In questo senso si è pronunciata la Suprema Corte affermando che «requisiti della novità e della segretezza del know-how ricorrono quando, per un verso, le conoscenze comportino vantaggi di ordine tecnologico o competitivo sul piano della produzione o del marketing e, per altro verso, esse non siano di dominio comune ovvero non siano divulgate, la loro divulgazione presupponga un atto di concessione del divulgatore ed i terzi possano acquisirle soltanto attraverso la predetta concessione oppure creandosele in via autonoma» Cass., 20 gennaio 1992, n. 659; v. anche Cass., 27 febbraio 1985, n. 1699). È doveroso sottolineare che, per parte della dottrina, sarebbe più corretto parlare soltanto di segretezza inglobando quest’ultimo elemento anche il requisito della novità. Queste conoscenze possono comprendere sia le invenzioni brevettabili che quelle che il titolare non intende (perché, per esempio, preferisce sottrarsi all’onere di utilizzazione che la concessione dei brevetti richiede o, più semplicemente, desidera sfruttarle in segreto o, ancora, intende «”congelare” temporaneamente l’invenzione, sottraendosi all’onere di attuazione che la concessione del brevetto comporta, e riservando(si) così di farlo in un momento successivo») o non può brevettare (per esempio, riprendendo il 4° Considerando del Regolamento della Commissione della CEE n. 240 del 31 gennaio 1996, descrizioni di processi produttivi, composizioni, formule, modelli e disegni). Un orientamento minoritario ritiene che debbano invece essere escluse le invenzioni brevettabili e, di conseguenza, definisce il know-how, come «un’idea utile non brevettabile». La differenza è sostanziale laddove si considerino i riflessi che ne derivano sul piano giuridico. Basti pensare che, qualora il know-how comprenda invenzioni brevettabili, il contratto con cui queste vengono trasferite dovrà individuare il soggetto cui spetta il diritto al brevetto, o, che, soltanto in caso di invenzioni brevettabili, si applicano le norme sull’invenzione dei dipendenti;
b) il c.d. know-how in senso ampio in cui le uniche ma sostanziali differenze rispetto alla precedente definizione consistono nella possibile mancanza del carattere segreto e nel fatto che vi rientrano non soltanto conoscenze e nozioni, ma anche la messa a disposizione di esperienze o di capacità-che consentono, al soggetto cessionario del know-how, di imparare come utilizzare le informazioni trasmesse. Quest’ultimo aspetto è stato ben evidenziato dalla Suprema Corte che ha compreso in questa definizione <de esperienze strettamente connesse a capacità o abilità personali, le quali non si traducono in nozioni razionali e definite, suscettibili di comunicazione ad altri soggetti» (Cass., 27 febbraio 1985, Cass. 29 luglio 1987, n. 6548), a differenza di quanto previsto nel Regolamento del Consiglio CEE del 6 febbraio 1962, n. 17, che aveva escluso che tali competenze potessero rientrare nella definizione di know-how e le aveva considerate come parte dell’avviamento «avendo carattere meramente soggettivo e non oggettivo, e non potendo le stesse separarsi dalla persona che le ha conseguite». In merito alla mancanza della segretezza, laddove si accolga questa seconda definizione, è interessante osservare che ciò non esclude il pregio economico del know-how; valore rappresentato, in questo caso, dal risparmio di tempo e di denaro che il soggetto cui viene trasferito avrebbe impiegato per conoscerlo in via autonoma. Su questo aspetto va anche segnalato che ciò che attribuisce valore al know-how non è tanto la sua intrinseca segretezza quanto il fatto che esso sia ignoto al soggetto cui viene comunicato. Depone in questo senso anche la definizione di ‘segreto’ contenuta nel Regolamento comunitario n. 240/96 («tale termine non va inteso in senso stretto, cioè che ogni singola componente del know-how deve essere assolutamente sconosciuta o non ottenibile al di fuori dell’azienda del licenziante»).
Nel caso in cui invece il contratto abbia ad oggetto il trasferimento di conoscenze note al soggetto che le riceve saremmo di fronte ad un’altra tipologia di contratto (per esempio, il contratto di consulenza o quello di assistenza tecnica).
Inoltre, secondo l’orientamento prevalente della dottrina e della giurisprudenza, le nozioni o regole di condotta non propriamente industriali ma che attengono alle modalità di organizzazione aziendale o alla gestione delle fasi della commercializzazione (il c.d. know-how commerciale) debbono farsi rientrare nella prima delle definizioni appena esposte: <de conoscenze che, nell’ambito della tecnica industriale, sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia e le regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale, attinenti al settore organizzativo o a quello commerciale in senso stretto, quando presentino, quale connotato essenziale il carattere della novità e della segretezza, sono qualificabili come know-how in senso stretto» (Cass., 20 gennaio 1992, n. 659). Tra le molte definizioni contenute nei diversi Regolamenti della Commissione della Comunità Economica Europea (e, segnatamente, i Regolamenti 19/65, 2821/71, 2349184, 418/85, 4067/88) va segnalata in particolare quella riportata nel Regolamento relativo ai contratti di licenza di know-how (il Reg. 240/96) in cui questo si risolve in «un insieme di informazioni tecniche segrete, sostanziali e identificate in una qualsiasi forma appropriata»; intendendo per sostanzialità il vantaggio concorrenziale che deriva dal loro trasferimento in capo al soggetto che le riceve mentre per identificazione la loro incorporazione in un supporto fisico. In conclusione, ci sembra che, tra tutte, la definizione più appropriata sia quella per la quale il know-how è un insieme di conoscenze tecniche e commerciali, trasferibili a mezzo contratto, non brevettate ma brevettabili nonché quelle non brevettabili, aventi comunque il carattere della segretezza assoluta o relativa.
Da un punto di vista strettamente giuridico la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate in merito alla possibilità di qualificare il know-how come un ‘bene’ giuridico. Sul punto, senza voler entrare nel merito di una questione assai complessa, ci limitiamo a condividere l’orientamento che ammette tale possibilità in funzione dell’interpretazione, ormai pacifica, della norma di cui all’art. 810 cc. («Sono beni anche quelle utilità economiche cui siano correlate esigenze, interessi e bisogni che l’ordinamento consideri meritevoli di tutela») e dell’ulteriore considerazione per cui le entità incorporali (…) assumono la fisionomia di bene autonomo e rilevante per il diritto in funzione di una determinata utilità socialmente e giuridicamente meritevole. Ne consegue che se si ammette, come ammettiamo, che il know-how abbia un’utilità sociale ed economica, si deve altresì concludere che esso rappresenta un bene giuridico.
II contratto di know-how
Il contratto di know-how è un contratto sinallagmatico che ha per oggetto il trasferimento, nelle più diverse forme, di conoscenze e nozioni contro un corrispettivo. Se diverse espressioni sono state utilizzate per definire questo contratto (concessione di know-how, contratto di comunicazione di know-how), quella che abbiamo riportato, seppure non precisi il modo con cui si comunica il know-how limitandosi ad indicare soltanto il bene di cui si dispone, sembra meglio corrispondere alla fattispecie in esame.
In merito alle forme in cui può avvenire questo trasferimento, anche sulla base dell’art. 6, par. 2, del richiamato Regolamento n. 240/96, distinguiamo la cessione (o, più correttamente, la compravendita) in cui si ha il trasferimento della titolarità del know-how, e la licenza, in cui invece si ha la costituzione di un diritto di godimento, e lo sfruttamento, del know-how per un determinato periodo di tempo. Sul punto è necessario aggiungere che, data l’estrema rapidità con cui il know-how diventa obsoleto, la scelta della prima modalità non rappresenta una soluzione particolarmente più conveniente rispetto alla seconda. Sulla natura tipica o atipica, ci sembra di poter concludere nel senso della tipicità di questo contratto; conclusione avanzata dapprima dalla giurisprudenza (cfr. Cass., 20 gennaio 1992) e successivamente confermata, a livello legislativo, dal Regolamento comunitario appena citato che, seppur dettato al fine di esentare dall’applicazione dell’art. 85, comma 1, del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, gli accordi di licenza del know-how, sembra aver ‘sconfinato’ in un terreno diverso da quello propriamente antitrust, finendo per dettare, almeno in parte, la disciplina positiva di questo genere di contratti (in tal senso alcuni Autori hanno parlato di «un tipo contrattuale di origine comunitaria»).
La disciplina applicabile
Oltre ai richiamati Regolamenti comunitari e alle previsioni contrattuali pattuite dalle parti, la disciplina del contratto in esame è da rintracciare nella normativa generale del contratto (ex art. 1323 c.c.), nelle norme di legge previste per alcuni contratti tipici e applicabili in via analogica in quanto compatibili e negli eventuali usi (ex art. 8 preleggi c.c.).
Distinzione da altre figure tipiche
Prima dell’emanazione del Regolamento comunitario 240/96, il contratto in esame era stato assimilato ad alcuni contratti tipici.
In particolare quello d’opera di cui agli artt. 2222 ss. c.c. e quello d’appalto privato di cui agli artt. 1655 ss. c.c.
Tale conclusione non è tuttavia condivisibile laddove si accolga l’orientamento per cui il know-how è un bene giuridico (cfr., in questo senso, Cass., 27 febbraio 1985) e ricordando che l’oggetto dei contratti appena menzionati è la prestazione di un servizio e non il trasferimento di un bene. Inoltre, una conclusione del genere non potrebbe valere per gli accordi di licenza, posto che l’opera, nei contratti tipici suddetti, appartiene al committente in modo esclusivo. Si tenga altresì presente che questi due contratti si configurano come di durata mentre quello oggetto della nostra analisi è, secondo l’orientamento prevalente, ad esecuzione istantanea.
La qualificazione del know-how come bene giuridico potrebbe far ritenere il contratto in esame assimilabile a quello di locazione; analogia suggerita anche dalla prassi dell’Amministrazione fiscale in sede di applicazione della tassa di registro. Ad escluderlo è tuttavia la disciplina contenuta nel Regolamento comunitario 240/96 in cui l’elemento che contraddistingue questo genere di accordi sembra essere quello associativo; carattere del tutto estraneo al rapporto di locazione. Su questo aspetto sono necessarie alcune considerazioni che, oltre a consentirci di escludere ogni tentativo di assimilazione alla locazione di cose, permettono una migliore comprensione della logica seguita dal legislatore comunitario nel disciplinare gli accordi di licenza di know-how.
Il carattere associativo
Per carattere associativo intendiamo riferirci a quello spirito di collaborazione che sembra ispirare il rapporto tra le parti degli accordi di licenza di know-how come disciplinati dalle previsioni del Regolamento citato; e, segnatamente, quelle relative ai c.d. miglioramenti.
L’art. 2, par. 1, n. 4, riconosce come «generalmente non restrittiva della concorrenza.> la clausola che prevede un obbligo delle parti di comunicarsi reciprocamente gli eventuali miglioramenti del know-how licenziato (<d’obbligo del licenziatario di accordare una licenza al licenziante per ì perfezionamenti o le nuove applicazioni apportate dal licenziatario alla tecnologia sotto licenza» e l’obbligo del licenziante «di concedere uria licenza, esclusiva o non esclusiva, sui propri perfezionamenti»).
Dalla lettura di queste previsioni emerge il carattere ‘cooperativo’ di questo genere di accordi: ad un iniziale interesse, soltanto unilaterale, al trasferimento di conoscenze e nozioni segue un interesse bilaterale alla condivisione degli eventuali miglioramenti.
Distinzione da altre figure atipiche
Alcune figure di contratti atipici sono state avvicinate a quella in esame:
-il contratto di consulting engineering che potrebbe essere definito, in estrema sintesi, come il contratto con il quale una parte si obbliga nei confronti dell’altra e verso il pagamento di un determinato corrispettivo ad elaborare un progetto di natura urbanistica, architettonica o industriale, e
-il contratto di package licensing con il quale una parte si impegna nei confronti dell’altra e verso il pagamento di un determinato corrispettivo a fornire un insieme (package) di elementi (know-how, brevetti, macchinari, ecc.) necessari per la realizzazione di un prodotto o l’applicazione di un processo produttivo.
Anche in questi casi siamo portati ad escludere ogni ipotesi di assimilazione.
Infatti, ad un’attenta analisi, risulta che, da un lato, non necessariamente questi accordi comportano un trasferimento di know-how, e, dall’altro, qualora ciò sia invece previsto, la comunicazione del know-how non ne rappresenta la prestazione principale o esclusiva quanto una delle prestazioni che ne costituiscono l’oggetto (in molti casi si potrebbe parlare del trasferimento del know-how come di una prestazione accessoria alle altre indicate nel contratto).
Forma
Il contratto di know-how non è soggetto a particolari requisiti di forma; può dunque essere concluso anche in forma orale. Si tengano comunque presenti due importanti aspetti. Il primo è che la complessità del rapporto che si instaura tra le parti impone nella pratica l’adozione della forma scritta; il secondo attiene al fatto che questa (ed in particolare il ricorso ad allegati descrittivi del know-how oggetto del trasferimento) è necessaria per soddisfare il requisito dell’identificabilità del know-how stesso richiesto dal Regolamento comunitario 240/96. Va anche notato che sovente questo contratto viene redatto secondo schemi o formulari predisposti da associazioni di categoria o organismi internazionali.
Oggetto
Il trasferimento delle conoscenze, nozioni e tecniche che, come si è visto, costituiscono il know-how rappresenta l’oggetto del contratto in esame. In proposito va subito rilevato che tale oggetto rimane identico indipendentemente dalle modalità (licenza o cessione) con cui si realizza tale trasferimento con l’unica eccezione rappresentata dalla possibilità, in caso di licenza, di limitare l’utilizzo del know-how da parte del licenziatario soltanto a determinati settori di attività rimanendo il titolare libero di sfruttare tali conoscenze in altri settori, anche attraverso la conclusione di ulteriori contratti di licenza. Due aspetti vanno considerati.
Natura delle obbligazioni del licenziante
Il primo attiene alla necessità di chiarire, nel testo del contratto, se le obbligazioni assunte dal soggetto che trasferisce il know-how debbano essere intese come dì mezzi (e quindi, si esaurirebbero nella mera messa a disposizione del know-how) o, piuttosto, come obbligazioni di risultato (in questo caso, la comunicazione del know-how dovrebbe consentire il raggiungimento di un risultato utile). Profilo questo che, com’è noto, ha importanti riflessi nella configurazione dell’eventuale
Individuazione delle informazioni da trasferire
Il secondo aspetto attiene all’esatta individuazione delle informazioni che devono essere trasferite. Questo per due ordini di motivi.
Il primo deriva dalla definizione di know-how contenuta nel citato Regolamento comunitario 240/96 che, come si è già detto, richiede, insieme alla segretezza e al carattere sostanziale, la sua identificazione “in una qualsiasi forma appropriata” e la cui mancanza impedisce l’applicazione del Regolamento stesso. Il secondo dipende dall’esigenza del soggetto che riceve il know-how, di aver garantito che l’insieme delle conoscenze, nozioni e informazioni che gli vengono trasferite siano effettivamente quelle discusse nel corso delle trattative e per le quali si è determinato alla conclusione del contratto stesso.
Per questi due motivi sovente le parti redigono accurati allegati al contratto nei quali viene descritto in modo dettagliato il know-how oggetto del trasferimento e i termini e le modalità con cui il soggetto che ne è titolare lo comunica a colui che ne è licenziatario o cessionario.
In merito alla determinazione del know-how oggetto del trasferimento va anche segnalato che la fase precontrattuale delle trattative rappresenta il momento più delicato per il suo titolare. Se, da un lato, questi deve necessariamente esplicitare il suo know-how per convincere l’altra parte alla conclusione del contratto, dall’altro, cercherà di essere il più cauto possibile limitandosi, per ovvi motivi, a comunicarne soltanto lo stretto indispensabile. Per queste ragioni è assai frequente la sottoscrizione di impegni di riservatezza relativi alle informazioni scambiate tra le parti nel periodo delle trattative e con cui il titolare del know-how cerca di proteggersi per il caso in cui, non giungendo alla conclusione del contratto, il potenziale licenziatario sfrutti abusivamente le sue conoscenze.
È peraltro da precisare che il nostro ordinamento appresta una tutela per casi del genere attraverso le norme in materia di concorrenza sleale (artt. 2598 ss. c.c.; V. anche Trib. Milano, 6 giugno 1985).
Previsioni che, tuttavia, come è stato autorevolmente rilevato, valgono soltanto, sul piano limitato dei rapporti tra concorrenti e non offrono alcuna tutela rispetto al caso in cui non si arrivi alla sottoscrizione di un contratto e il know-how venga divulgato a qualsiasi terzo (in buona fede) dal potenziale licenziatario. Detto ciò occorre osservare che qualche forma di tutela di fronte ad un rischio del genere è prevista dal nostro ordinamento giuridico. Si pensi, anzitutto, al fatto che la comunicazione non autorizzata a terzi di un segreto professionale (quale è il know-how come si è detto) integra un’ipotesi di atto illecito proprio in considerazione della sua natura segreta e determina un obbligo di risarcimento in capo al responsabile. Inoltre, le previsioni di cui agli artt. 621, 622 e 623 c.p. garantiscono una sufficiente tutela laddove sanzionano:
i) il primo, la rivelazione da parte di un terzo del contenuto di documenti segreti in assenza di una giusta causa o il suo utilizzo a proprio o ad altrui profitto qualora da ciò derivi nocumento al soggetto che ne è il titolare, e,
ii) il secondo e il terzo, la rivelazione dei segreti professionali o scientifici o industriali.
Obblighi delle parti
Gli obblighi del soggetto titolare del know-how
L’obbligo di comunicare il know-how
L’obbligo principale del titolare del know-how consiste nel trasmettere al cessionario o licenziatario la documentazione tecnica ad esso relativa secondo le modalità e i termini indicati nel contratto stesso (F023-1); documentazione che, generalmente, è elencata, come si è detto, negli allegati del contratto. Va ricordato che, qualora il contratto si configuri come una compravendita, una volta avvenuto il trasferimento del know-how, il cessionario potrà utilizzarlo e disporne senza alcuna limitazione mentre il titolare non potrà più farne uso. Questo deriva dal fatto che con la cessione il sonetto cessionario acquista tutti i diritti sul know-how senza limitazioni. Effetto che, evidentemente, non si produce qualora il rapporto si configuri come una licenza.
L’obbligo di prestare un’attività di assistenza
Accessorio all’obbligo appena citato è quello di prestare al licenziatario o cessionario l’assistenza necessaria per consentirgli di utilizzare in modo corretto il know-how trasferito (F023-3). È frequente l’invio del suo personale presso gli uffici del soggetto cui è stato trasmesso il know-how al fine di ‘insegnare’ ai dipendenti di quest’ultimo l’utilizzo delle conoscenze trasferite nonché la prestazione di un’attività di consulenza, sempre da parte del titolare del know-how, per l’intera durata del contratto, in caso di licenza, o per un certo periodo di tempo dopo la sua sottoscrizione, in caso di compravendita.
La clausola del licenziatario più favorito
Soltanto in caso di licenza, si può prevedere l’obbligo di applicare al licenziatario le condizioni economiche più convenienti eventualmente accordate ad altri soggetti licenziatari del medesimo know-how.
A differenza dei due precedenti obblighi che potremmo definire essenziali e la cui mancanza non è ipotizzabile, quest’ultimo non è necessario pur essendo assai frequente nella prassi.
Gli obblighi del soggetto che riceve il know-how 5.2.1. Il pagamento del corrispettivo
L’obbligo principale del soggetto cui viene trasferito il know-how consiste nel pagamento del corrispettivo nei confronti del soggetto che ne è titolare. Distinguiamo tre diverse forme di pagamento:
– lump-sum, in cui si ha il pagamento di un importo forfetario talvolta suddiviso in rate. Formula questa assai frequente nel caso di contratto di cessione;
– royalties, in cui si prevede il pagamento di canoni a scadenze prefissate e il cui importo, generalmente, è calcolato in base al risultato economico ottenuto dal licenziatario (in molti casi queste sono rappresentate da una percentuale del fatturato o dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti realizzati dal licenziatario o cessionario attraverso lo sfruttamento delle conoscenze trasferite);
– fees, in cui il compenso è commisurato al tempo impiegato dal personale del titolare del know-how per prestare l’assistenza tecnica necessaria ai dipendenti del licenziatario o cessionario per utilizzare le conoscenze trasmesse.
Nella prassi è frequente determinare il corrispettivo attraverso una combinazione di almeno due delle forme appena indicate (per esempio, il pagamento una tantum di una lump-sum al momento della sottoscrizione del contratto di licenza e la corresponsione royalties per tutta la sua durata).
In merito a questo obbligo si tenga presente che è possibile anche prevedere che, indipendentemente dalla forma di pagamento scelta, il corrispettivo venga pagato anche al venir meno della segretezza del know-how trasferito. Sul punto è intervenuto il Regolamento comunitario 240/96 che, all’art. 2, par. 1, n. 7, lett. a), definisce come «generalmente non restrittiva della concorrenza» la clausola che prevede non soltanto <d’obbligo del licenziatario di continuare a versare i canoni per tutta la durata del contratto secondo l’ammontare, le scadenze e le modalità di pagamento liberamente pattuite dalle parti, qualora il know-how diventi di dominio pubblico per ragioni non imputabili al licenziante», ma anche «un risarcimento supplementare dei danni nell’eventualità che il know-how diventi di dominio pubblico in seguito a violazioni contrattuali da parte del licenziatario».
Il divieto di comunicare a terzi il know-how trasferito
Il titolare del know-how ha interesse a prevedere nel contratto di licenza una clausola con la quale si impone al licenziatario di non divulgare a terzi le conoscenze trasferitegli per tutto il periodo di durata del contratto e anche per un certo tempo successivo alla sua cessazione.
Pattuizione che, ai sensi dell’art. 2, par. 1, n. 1, del Regolamento comunitario 240/96, non è ritenuta restrittiva della concorrenza.
Su questa clausola vorremmo sottolineare che nel predisporla bisogna prestare particolare attenzione agli effetti che si intendono produrre e agli obiettivi che si desidera raggiungere. In altri termini, saremmo portati a ritenere che una clausola del genere abbia un suo significato soltanto se: (i) diretta a tutelare l’interesse del titolare del know-how a mantenere il suo carattere segreto e (ii) se queste conoscenze siano destinate a essere utilizzate soltanto all’interno dell’impresa del soggetto licenziatario (per esempio, perché consistenti in un processo produttivo). Qualora invece servano alla realizzazione di un prodotto finito destinato alla commercializzazione una clausola del genere rischia di essere vanificata laddove semplicemente si osservi che, come è stato autorevolmente sostenuto «chi sia intenzionato a conoscere le caratteristiche e gli attributi di un prodotto finito può aver successo» (e, di certo, di ciò non se ne può fare una colpa al licenziatario).
L’estensione territoriale della licenza
Questo aspetto assume particolare rilevanza per gli obblighi che ne derivano in capo al soggetto licenziatario. Questi sarà infatti tenuto a non utilizzare le conoscenze che gli sono state trasmesse al di fuori dell’area geografica per la quale gli è stata attribuita la licenza.
Più precisamente, e riprendendo quanto previsto dal Regolamento comunitario 240/96, il licenziatario:
-non potrà utilizzare nel territorio del licenziante la tecnologia concessa;
-dovrà astenersi dal fabbricare od utilizzare il know-how trasmessogli nei territori degli altri eventuali licenziatari;
-dovrà anche astenersi dal praticare una politica attiva di immissione in commercio dei prodotti realizzati con l’utilizzo del know-how licenziato nei territori degli altri eventuali licenziatari e del licenziante e dal fare pubblicità espressamente destinata a questi territori, costruirvi succursali e mantenervi depositi per la distribuzione di questi prodotti;
-dovrà astenersi dall’immettere in commercio i prodotti realizzati con il know-how licenziato nei territori degli altri eventuali licenziatari in risposta a domande di fornitura non sollecitate.
In relazione a questi obblighi si tenga presente che il Regolamento comunitario prevede una durata che va, a seconda dei casi, da cinque a dieci anni (che decorrono dalla sottoscrizione del contratto o dalla prima immissione in commercio dei prodotti realizzati con il know-how licenziato) e che non può essere assolutamente estesa.
Modello Contratto di Know How
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di know how in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di know how può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.