In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche della cessione del credito e mettiamo a disposizione un fac simile di scrittura privata da scaricare.
Caratteri generali
La cessione dei crediti è disciplinata nel capo V del libro IV del codice civile dagli artt. 1260-1267 c.c.: mediante tale contratto un creditore (detto cedente) trasferisce ad un altro soggetto (detto cessionario) un diritto di credito che vanta nei confronti di un proprio debitore (detto ceduto), determinandosi, così, una successione a titolo particolare nel lato attivo dell’obbligazione. La cessione dei crediti è, dal punto di vista del perfezionamento, un contratto consensuale e, quanto agli effetti, un contratto con effetti reali: il trasferimento del credito avviene, quindi, per effetto immediato del consenso del cedente e del cessionario, non essendo necessario (salvo incedibilità relativa del credito per carattere strettamente personale di esso o per divieto legale o convenzionale) il consenso del debitore ceduto, al quale comunque la cessione stessa deve essere notificata o dal quale deve essere accettata.
Da quanto detto discende la struttura bilaterale della cessione dei crediti, benché nei casi di incedibilità relativa del credito alcuni ravvisino una struttura trilaterale per la necessaria accettazione del ceduto.
In merito alla natura e alla struttura del contratto di cessione dei crediti anche la giurisprudenza ha recentemente ribadito che L’autonomo rilievo negoziale della cessione è sostenuto da gran parte della dottrina sulla base di un attento esame testuale delle norme del codice civile che disciplinano la fattispecie in oggetto: si sottolineano, cioè, sia l’espressione “effetto della cessione” di cui all’art. 1263 c.c. che disciplina il trasferimento degli accessori del credito, sia la formula “la cessione ha effetto” di cui all’art. 1264 c.c. relativo all’efficacia della cessione rispetto al debitore ceduto, e infine si rileva che l’art. 1266 c.c., disciplinando l’obbligo di garanzia del cedente, riferisce alla cessione le qualificazioni di “oneroso” e “gratuito”, con ciò attribuendole caratteri che sono propri unicamente dell’atto negoziale riguardato nel suo contenuto e non degli effetti giuridici che dall’atto stesso derivano. Un ulteriore indizio della affermata autonomia negoziale della fattispecie in parola è individuato in ragioni di ordine sistematico: mentre, infatti, prima del codice del 1942 la cessione dei crediti era inserita e regolata nell’ambito della vendita, come forma particolare di questa, il legislatore del 1942 ha trasportato la materia della cessione dei crediti dalla disciplina della vendita a quella delle obbligazioni, dedicandole una serie di nonne (artt. 1260-1267 c.c.).
Per quanto attiene al profilo causale, secondo tale dottrina non può parlarsi della cessione dei crediti come di un negozio astratto, ossia come di un mezzo di trasferimento del diritto soggettivo, svincolato dalla funzione particolare, per la quale ogni singola cessione è posta in essere. Si afferma che se la cessione fosse veramente un negozio astratto, essa dovrebbe essere non solo carente di una causa tipica, ma anche indifferente alla funzione per la quale la cessione stessa è stata attuata. Dovrebbe, quindi, sussistere una separazione, prevista da una specifica disposizione normativa, tra le vicende del rapporto causale sottostante e quelle della cessione. Non vi è, però, alcuna norma che giustifichi l’irrilevanza della funzione, per la quale la cessione stessa è attuata, rispetto ai soggetti che sono parti del negozio; il problema dell’astrazione della causa potrebbe, invece, porsi con apparente maggior fondamento nei confronti del ceduto. L’art. 1264, infatti, stabilisce che la cessione ha effetto nei confronti del ceduto quando questa gli sia stata notificata o questi l’abbia accettata: in tale disposizione potrebbe essere ravvisato il fondamento dell’obbligo del ceduto di adempiere nei confronti del cessionario anche qualora il negozio causale sottostante la cessione fosse, per qualsiasi ragione, improduttivo di effetti. Coloro che ritengono esistente il predetto obbligo, invece, lo giustificano non sulla base dell’art. 1264 c.c., ma o in virtù di una situazione di indifferenza del ceduto rispetto alla validità del negozio di cessione oppure inquadrando l’obbligo in parola come una particolare applicazione dell’art. 1189 c.c., nonna che riconosce efficacia liberatoria al pagamento eseguito al creditore apparente.
A tali interpretazioni si replica per un verso che la carenza di interesse del debitore può giustificare la previsione normativa per cui la cessione è valida senza il suo consenso, ma non può escludere che una situazione giuridica sia efficace per tutti e che tutti quindi possano contestarla, per altro verso, invece, si evidenziano le sostanziali differenze intercorrenti fra l’art. 1264 c.c. e l’art. 1189 c.c.: quest’ultimo, infatti, non pone alcun obbligo di adempimento verso il cessionario, ma si limita a considerare liberatorio un pagamento eseguito ad un non creditore (ma creditore apparente) qualora ricorrano determinate condizioni soggettive meritevoli di tutela.
Quanto all’art. 1264 c.c., dunque, la dottrina in parola nega che esso possa giustificare l’irrilevanza nei confronti del ceduto delle anomalie del negozio di cessione, ma ritiene che esso si limiti a segnare il momento di rilevanza degli effetti del negozio di trasferimento nei confronti del debitore, senza stabilire che tale rilevanza si verifichi anche qualora non sussista alcun effetto tra le parti che hanno posto in essere la cessione. Di conseguenza si esclude che la cessione del credito sia un negozio astratto, pur ritenendosi che essa sia carente di una sua causa tipica, poiché essa può adempiere a svariate funzioni (come ad es. vendita, donazione, adempimento, garanzia), le quali sono variabili a seconda della fattispecie concreta, mentre non variabile è la funzione costante del trasferimento del diritto soggettivo.
La cessione del credito è, perciò, definita come uno schema incompleto nel quale accanto alla funzione, costante, del trasferimento si inseriscono le diverse funzioni concrete che completano la fattispecie: tali ultime funzioni rilevano ai (mi della validità e dell’efficacia della cessione.
Altra dottrina nega alla cessione dei crediti un autonomo rilievo negoziale, non attribuendole di conseguenza natura contrattuale autonoma; nello stesso senso si esprime anche quella giurisprudenza che, con un orientamento le cui origini risalgono ad anni precedenti gli anni settanta, con decisione sostiene che la cessione di credito non è un tipo contrattuale a sé stante, ma è un negozio avente uno schema incompleto e va integrato, per operare giuridicamente, con il sottostante contratto, a titolo oneroso o gratuito, che ne sta a base e ne rappresenta la causa; per conseguenza la cessione di credito non ha causa tipica, ma costituisce un negozio a causa variabile o generica (così Cass., 20 novembre 1975, n. 3887; di recente ha qualificato la cessione dei crediti come un negozio a causa variabile Cass., 2 aprile 2001, n. 4796).
La dottrina da ultimo richiamata sostiene che non si può riconoscere autonomia negoziale alla cessione dei crediti sulla base di esili dati testuali e di una presunta individuazione dell’elemento causale della cessione in un interesse generico al trasferimento che, in quanto causa incompleta, si combina con uno schema contrattuale, variabile a seconda della fattispecie.
Non si condivide, dunque, la centralità attribuita da altri all’effetto traslativo del credito al fine di configurare una fattispecie autonoma, e si afferma, invece, che le operazioni devono essere considerate nella loro complessità causale: scindere il concetto di causa del negozio in due tipologie causali, una concreta ed una astratta non è sufficiente a far acquisire autonomo rilievo negoziale alla cessione. Il trasferimento del credito ha una sua variabilità causale perché può realizzare obiettivi diversi coincidenti o meno con schemi contrattuali tipici o atipici (la causa è variabile perché il cedente può vendere il credito, può donarlo, può cederlo in luogo di adempimento e così via).
In giurisprudenza, a sostegno della variabilità della causa della cessione del credito, di recente si è sostenuto che il trasferimento del credito ex art. 1260 c.c. non costituisce la causa, bensì l’oggetto del negozio di cessione, come può argomentarsi dall’art. 1376 c.c.; la causa della cessione (intesa come l’intento pratico che il negozio è diretto a realizzare) è da individuarsi invece nel titolo del trasferimento, che può essere costituito dalla vendita, dalla donazione o anche dalla garanzia, la quale, ex art. 1322 c.c., rientra tra gli interessi meritevoli di tutela (in tale senso Cass., 10 gennaio 2001, n. 280; definisce la cessione del credito «un negozio a causa variabile, che può essere stipulata anche a fine di garanzia» anche Cass., 3 dicembre 2002, n. 17162).
Quanto all’aspetto strutturale la dottrina in esame ritiene eccessivamente rigido lo schema bilaterale in cui altri inquadrano la cessione dei crediti. Si sostiene, quindi, che ad un esame approfondito, ma globale dell’istituto risulta evidente che oltre alle ipotesi di struttura bilaterale esistono casi in cui la cessione dei crediti assume struttura trilaterale e altre in cui il mutamento di titolarità del credito si verifica a seguito di manifestazione negoziale unilaterale del cedente (esempio di quest’ultimo caso è la cessione dei crediti nei confronti della P. A. in pagamento di debiti previdenziali del cedente). Si fa ricorso ad una struttura trilaterale della cessione del credito qualora l’accettazione del debitore sia richiesta nei casi di incedibilità relativa anche legale. In tali ipotesi l’intrasferibilità della titolarità è posta a tutela dell’interesse debitore di adempiere al creditore originario; con una apposita dichiarazione il debitore stesso può rimuovere l’incedibilità volontaria o legale (ipotesi che si riscontra, ad esempio in materia di pubblici appalti), posta a tutela del suo interesse. Secondo la dottrina in parola in siffatti casi non sembra aver senso né qualificare la struttura della cessione come bilaterale e sostenere che benché l’effetto traslativo si sia prodotto la cessione non produce effetti nei confronti del debitore, né tanto meno inquadrare l’accettazione fra i negozi di carattere autorizzativo, anche se di carattere privatistico. Sembrerebbe, invece, più ragionevole valutare caso per caso se le dichiarazioni dei singoli soggetti coinvolti nella cessione siano necessarie o meno per la produzione degli effetti tipici del negozio traslativo del credito, ed ammettere, se l’accettazione si riveli necessaria a tal fine, che nelle ipotesi di incedibilità relativa la dichiarazione del debitore (essendo essenziale) sia considerata partecipazione in senso tecnico, potendosi individuare, così, una struttura trilaterale della cessione.
Negli altri casi, a prescindere cioè dalle ipotesi di incedibilità, ex art. 1264 c.c., l’accettazione è parificata alla notifica della cessione al ceduto, con essa il debitore dichiara di essere a conoscenza del mutamento della titolarità del credito, rendendo superflua sia la notifica che la prova della effettiva conoscenza a carico del cessionario in caso di mancata notifica; l’accettazione in ogni caso non ha valenza di riconoscimento del debito e nel caso in cui si ammetta che possa essere preventiva rispetto al perfezionamento dell’atto traslativo si richiede generalmente una integrazione che comunichi l’avvenuta cessione.
Contrastanti opinioni si registrano anche in ordine al momento traslativo della cessione del credito. Una parte della dottrina ritiene che esistano nella cessione due momenti di efficacia: l’uno tra le parti del negozio e l’alto fra il cessionario e i terzi, fra i quali è compreso il ceduto. Fra i primi l’effetto traslativo si verifica allorché il negozio viene posto in essere, mentre per il debitore il trasferimento ha efficacia con la notifica o con l’accettazione.
Tale impostazione è stata criticata poiché sembra consentire che nel momento intercorrente fra la conclusione del negozio traslativo e la notifica o l’accettazione vi sia un lasso temporale in cui al diritto di credito non corrisponde una situazione soggettiva passiva e di converso alla situazione debitoria non ne corrisponde più una creditoria.
Dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono che il diritto soggettivo si trasferisce al momento dell’incontro dei consensi, sussistendo contemporaneità fra perfezione del negozio e momento traslativo. Si ritiene, perciò, che ?accettazione o la notifica del debitore costituisca elemento di esclusione di liberatorietà del pagamento eseguito nei confronti del cedente, oppure secondo alcuni condizione di esigibilità del pagamento da parte del cessionario.
In giurisprudenza, fra le altre (e oltre alle pronunce già richiamate) affermano la natura consensuale del contatto di cessione dei crediti: Cass., 16 marzo 2007, n. 6157 (secondo la quale Una posizione minoritaria, invece, identifica il momento traslativo del credito nella notifica al debitore o nell’accettazione di quest’ultimo.
Oggetto della cessione del crediti e cessione del crediti futuri
Si ritiene, autorevolmente, che l’ambito oggettivo dell’istituto in esame sia ampio e che esso possa abbracciare ogni situazione giuridica soggettiva suscettibile di costituire titolo per una prestazione.
Di conseguenza potrebbero formare oggetto di cessione non solo i diritti di credito, ma anche i diritti potestativi, quelli personali di godimento e secondo alcuni anche l’aspettativa di diritto.
Quanto ai diritti di credito si ritiene che possano essere ceduti i crediti nascenti da atti unilaterali, indipendentemente dall’assenso del promittente, i crediti che hanno la loro fonte in un’obbligazione naturale e i crediti nascenti da un contratto sinallagmatico se la prestazione non è stata ancora eseguita da parte del cedente; si ritiene inoltre che la prestazione possa avere ad oggetto un dare, ma anche un facere o un non lacere.
In merito all’oggetto della cessione in giurisprudenza si è detto che <d’art. 1260 c.c., nel consentire al creditore di trasferire il proprio credito anche senza il consenso del debitore, non prevede che tale credito debba avere i requisiti della liquidità ed esigibilità. Può, pertanto, formare oggetto di cessione anche un credito non determinato nell’ammontare o un credito non esigibile» (Cass., 24 maggio 2001, n. 7083).
In merito all’ambito oggettivo del credito deve ricordarsi che ex art. 1263 c.c. per effetto della cessione il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie reali e personali e con gli altri accessori (es. facoltà di scelta nelle obbligazioni alternative e interessi, è invece discusso il trasferimento della clausola penale e della caparra poiché accedono più al contratto che al credito). L’espressione “altri accessori” è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che nell’oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché alla tutela del credito. Di conseguenza è stato ritenuto incluso nell’oggetto della cessione di un credito il diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo nel pagamento del credito stesso (e maturatosi al momento della cessione), trattandosi di diritto che non può esistere o estinguersi se non congiuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale. Non è stato reputato come un ostacolo a tale inclusione la previsione dell’ultimo comma dell’art. 1263, secondo la quale la cessione non comprende, salvo patto contrario, i frutti scaduti e, quindi, gli interessi scaduti, poiché da essi il suddetto credito risarcitorio differisce ontologicamente e funzionalmente, essendo meramente eventuale e condizionato alla perdita di valore della moneta durante il ritardo nel pagamento, mentre i detti interessi, essendo certi nell’esistenza e nell’ammontare, costituiscono entità autonoma nel patrimonio del creditore cedente all’atto della cessione (Cass., 15 settembre 1999, n. 9823).
Il cedente, ai sensi dell’art. 1263, comma 2, c.c., non può trasferire al cessionario il possesso della cosa ricevuta in pegno senza il consenso del costituente: in caso di dissenso di quest’ultimo il cedente rimane custode del pegno.
Non può, inoltre, trasferirsi automaticamente l’ipoteca, poiché l’art. 2843 c.c. prevede che la trasmissione per cessione dell’ipoteca deve essere annotata a margine dell’iscrizione sui registri immobiliari. Infine, ex art. 1263, comma 3, c.c. è escluso l’automatico trasferimento dei frutti, poiché, salvo patto contrario, la cessione non comprende i frutti scaduti.
Può formare oggetto di cessione anche un credito futuro: dottrina e giurisprudenza dominanti (fra le pronunce di legittimità di recente in tal senso di v. Cass., 10 maggio 2005, n. 9761, cit, secondo la quale la cessione può riguardare anche crediti futuri e «rileva nel momento in cui questi vengono a giuridica esistenza») ritengono valida la cessione di crediti futuri, tranne il caso di una cessione di credito futuro a titolo gratuito essendo in tale ipotesi applicabile la norma di cui all’art. 771 c.c. (secondo cui è nulla la donazione di beni futuri).
La validità della cessione di beni futuri non è espressamente sancita, ma si ritiene configurabile in virtù di quanto espresso nell’art. 1348 c.c. relativamente alla possibilità di dedurre in contratto la prestazione di cose future.
Autorevole dottrina e gran parte della giurisprudenza hanno sostenuto che la cessione di crediti futuri è configurabile purché quando essa viene conclusa, già esista il rapporto giuridico di base da cui i crediti nasceranno, in modo che questi siano determinati o almeno determinabili, precisandosi che la non esistenza del contratto impedirebbe la determinazione o la determinabilità dell’oggetto della cessione (m tal senso ad es. Cass., 13 novembre 1996, n. 9938; App. Milano, 2 febbraio 1996; App. Firenze, 20 dicembre 1988).
Altra parte della dottrina, invece, ponendo l’accento sulla differenza fra attualità della fonte e determinabilità dell’oggetto della cessione, ritiene che l’inesistenza attuale della fonte non impedisce la configurabilità del trasferimento. Il bene ceduto può, cioè, essere individuato con la sola indicazione della futura fonte obbligatoria o di altri elementi che consentono di individuarla. La negoziazione di crediti inesistenti ma futuri può essere uno strumento efficace per il finanziamento diretto o indiretto del cedente: tale ipotesi non è neanche impedita dal fatto che il debitore ceduto ancora non esiste poiché il suo consenso non è richiesto in linea generale dall’art. 1260 c.c. Anche in giurisprudenza si è ritenuto che non è necessario che al momento della stipulazione sussista già la fonte obbligatoria dei futuri crediti (Trib. Milano, 16 ottobre 1989; App. Bari, 13 luglio 1990).
Si è anche affermato che rientra nel concetto di credito futuro anche un credito semplicemente sperato, ossia meramente eventuale, senza che l’aleatorietà che in tal caso caratterizza il contratto di cessione ne comporti l’invalidità essendo insita nella nozione di cosa futura, espressamente prevista come possibile oggetto di prestazione dall’art. 1348 (Cass., 11 maggio 1990, n. 4040; contra cfr. Cass., 26 ottobre 2002, n. 15141); mentre si è precisato che «non è cedibile a terzi il credito futuro di rivalsa dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore in virtù di un contratto per la responsabilità civile (nella specie è stata esclusa la validità della cessione del credito di rivalsa effettuata dall’assicurato a favore del soggetto nei cui confronti aveva compiuto un atto illecito rientrante nella garanzia prestata dalla assicurazione)» (così Trib. Venezia, 22 settembre 2003). In merito, poi, al credito derivante da fatto illecito si è ritenuto che esso sia «attuale e non futuro; di conseguenza in caso di cessione del credito, legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto è esclusivamente il cessionario, poiché egli è titolare del diritto di credito, già all’atto dell’incontro del consenso delle parti.
La possibilità che il debito ex delicto non sia riconosciuto in giudizio non incide sugli effetti della cessione, perché questa forma di invalidità opera in tema di garanzia che il cedente può prestare e si traduce nell’obbligo di quest’ultimo di risarcire il danno al cedente» (così Cass., 5 novembre 2004, n. 21192).
I dubbi espressi in passato circa la cedibilità dei crediti futuri sono stati superati; a maggior ragione tali crediti si considerano cedibili a seguito dell’introduzione della disciplina dettata dall’art. 3 1. 21 febbraio 1991, n. 52: tale disposizione, al fine di ampliare la diffusione del factoring soprattutto fra le piccole e medie imprese, ha sancito la cedibilità dei crediti futuri anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno.
Nella cessione di credito futuro il trasferimento del credito si verifica soltanto al momento in cui esso viene ad esistenza; prima di allora il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria (sul punto in giurisprudenza si riscontra un orientamento consolidato, di cui si ricordano ad es.: Cass., 22 aprile 2003, n. 6422, Cass., 3 dicembre 2002, n. 17162, secondo la quale «qualora la cessione abbia ad oggetto crediti futuri, l’effetto traslativo si produce solamente quando il credito viene ad esistenza, mentre tale effetto non si produce affatto nell’ipotesi in cui sia desumibile dal contratto la volontà del cedente di non privarsi della titolarità del credito e di realizzare solamente effetti minori, quali l’attribuzione al cessionario della mera legittimazione alla riscossione del credito»; Cass., 19 giugno 2001, n. 8333, Cass., 29 marzo 2000, n. 3782, Cass., 29 gennaio 1999, n. 785, App. Milano, 23 giugno 1998).
Quanto all’efficacia verso terzi della cessione del credito futuro si ritiene che l’efficacia obbligatoria di tale cessione si traduca in una inopponibilità: la cessione sarà opponibile successivamente alla venuta ad esistenza del credito. Recentemente, in merito al delicato problema dell’efficacia verso terzi della cessione dei crediti futuri in giurisprudenza, in termini innovativi rispetto al tradizionale orientamento si è affermato che «in materia di efficacia della cessione di crediti futuri in pregiudizio del creditore pignorante, e quindi del fallimento e delle altre procedure concorsuali, occorre distinguere tra crediti maturandi con origine da un unico e già esistente rapporto base, quali i crediti di lavoro o altri crediti futuri, e crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi.
La cessione dei primi prevale sul pignoramento e sulle altre procedure concorsuali, in applicazione analogica dell’art. 2918 c.c., nell’ambito di un triennio, purché, prima del pignoramento stesso, sia stata notificata o accettata dal debitore ceduto, mentre, affinché possa prevalere la cessione dei secondi, è necessaria la notificazione o accettazione dopo che il credito sia venuto ad esistenza, ma prima del pignoramento o dell’apertura della procedura concorsuale» (Cass., 28 ottobre 2002, n. 15141).
Di conseguenza, a parere della Corte, nel caso di crediti futuri ma probabili perché nascenti da un unico rapporto-base (come quelli di lavoro), il contratto di cessione, perfetto ab inizio pur se con effetto reale differito, può essere assimilato alla cessione del credito attuale e quindi deve prevalere sul pignoramento se notificato al debitore, già identificato grazie al rapporto base, o da questi accettato prima del pignoramento stesso.
Forma
In merito alla forma del contratto di cessione di crediti è pacifico che, pur non essendo richiesta una forma determinata, può sussistere l’onere della forma scritta o dell’atto pubblico in dipendenza della causa del negozio.
Di conseguenza, non richiedendo la cessione del credito una particolare forma ed in assenza di una specifica norma, si ritiene che l’ordinamento giuridico abbia lasciato ai privati piena autonomia per il modo in cui la volontà debba manifestarsi all’esterno. La volontà dei privati può quindi liberamente esplicarsi e nel contratto di cessione dei crediti le parti possono prevedere che la cessione avvenga pro sopendo o pro so/uto e inserire o meno nella medesima scrittura privata la contestuale accettazione del debitore ceduto.
L’onere della forma scritta o dell’atto pubblico tuttavia può, come detto, sussistere in relazione alla causa del negozio, come accade per la donazione, o derivare da particolari prescrizioni di legge (m giurisprudenza è stata infatti dichiarata nulla la cessione del credito con causa donativa ove mancante la forma prescritta dall’art. 782 c.c., in tal senso v. App. Napoli, 1 luglio 2005, mentre per quanto riguarda la cessione di un credito nei confronti della pubblica amministrazione si è ritenuto che «a norma dell’art. 69, comma 3, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, la notificazione alla pubblica amministrazione della cessione di un credito del privato nei confronti della stessa, in tanto è produttiva di effetti, in quanto la cessione sia stata fatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, per quest’ultima intendendosi quella effettuata, ad opera di notaio od altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le forme di cui all’art. 2703 c.c.
A tal fine, è pertanto improduttiva di effetti la cessione documentata da una scrittura privata le cui sottoscrizioni siano state autenticate ai sensi del-l’art. 20 1. 4 gennaio 1968, n. 15 dal segretario comunale o da altro funzionario incaricato dal sindaco, giacché detta norma prevede l’autenticazione di questi ultimi esclusivamente con riferimento alle firme apposte su istanze rivolte alla pubblica amministrazione e non anche per atti di natura negoziale – quale la cessione – intervenuti tra soggetti diversi dalla pubblica amministrazione medesima», così Cass., 24 gennaio 2002, n. 844).
Notificazione
Nell’art 1264 c.c. si subordina l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto alla sua accettazione o alla avvenuta notificazione, mentre nel successivo comma 2 della medesima disposizione si precisa che se il ceduto paga al cedente, anche prima della notificazione, non è liberato se il cessionario dimostra che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione.
Per quanto riguarda la natura giuridica della notifica si ritiene che essa sia un atto non negoziale, ma una dichiarazione di scienza.
Non sono previste prescrizioni in merito al contenuto della notificazione poiché esso dipende anche da chi la effettui, potendo essa avvenire o per opera del cedente o del cessionario. Nella prassi una modalità di notificazione della cessione del credito è l’invio di fatture da parte del cedente al ceduto con la stampigliatura indicante il nuovo creditore in quanto rappresenta notizia idonea per il debitore ad apprendere la mutata titolarità nel rapporto obbligatorio (Trib. Bologna, 15 marzo 1985, pronunciatosi in merito ad un contratto di factoring).
Secondo l’opinione prevalente la notificazione al debitore ceduto, prevista dall’art 1264 c.c. come condizione per il perfezionamento della cessione del credito, non si identifica con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera che, come tale, può concretarsi nell’atto di citazione per il pagamento (Cass., 2 settembre 1997, n. 8387; Cass., 12 maggio 1990, n. 4077), o nella presentazione del titolo (Cass., 25 giugno 1979, n. 3522), o nella raccomandata con ricevuta di ritorno (Trib. Pavia, 15 dicembre 1985) o infine anche verbalmente (App. Milano, 31 gennaio 1995). Recentemente la giurisprudenza ha più volte ribadito questo orientamento sostenendo sia, più in generale, che la notificazione prevista dall’art 1264 c.c. «non si identifica con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera che, come tale, può concretarsi in qualsivoglia atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio» (così Cass., 18 ottobre 2005, n. 20144), sia, più specificamente, che essendo pertanto la notificazione ex art. 1264 c.c. un atto a forma libera, essa «può essere effettuata anche mediante comunicazione scritta – eventualmente mediante citazione in giudizio – con la quale il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto o anche successivamente, nel corso del giudizio» (così Cass., 18 ottobre 2005, n. 20143; e nello stesso senso v. anche Cass., 30 luglio 2004, n. 14610). Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito che Pertanto, si è ritenuto che non identificandosi l’accettazione o la notificazione con gli istituti dell’ordinamento processuale, ma essendo atti a forma libera, «ove la notificazione, consistente in una dichiarazione recettizia, venga fatta in forma scritta, non deve essere necessariamente sottoscritta dal creditore cedente, essendo al riguardo sufficiente che vi siano inequivoci elementi indicanti la relativa provenienza, in modo che risulti al debitore ceduto pienamente assicurata la prova e la non problematica conoscenza dell’avvenuta cessione» (così Cass., 26 aprile 2004, n. 7919).
Negli stessi termini ora descritti si esprime anche la giurisprudenza di merito (v. ad esempio App. Bologna, 8 gennaio 2002, secondo il quale In tema di cessione dei crediti verso lo Stato, derivanti da contatti di somministrazione, fornitura o appalto, ancora in corso di esecuzione, di recente la giurisprudenza si è espressa nel senso che «dopo l’emissione degli ordinativi di pagamento a favore dell’appaltatore-cedente e prima del loro pagamento da parte del tesoriere, la comunicazione a quest’ultimo da parte dell’amministrazione appaltante dell’avvenuta cessione del credito con l’indicazione del cessionario, preclude l’effetto liberatorio del pagamento all’originario creditore, poiché la comunicazione dell’avvenuta cessione effettuata dalla P.A. al tesoriere, cui aveva ordinato il pagamento, deve essere equiparata alla notifica da parte del cessionario; ciò perché il tesoriere si inserisce nel rapporto tra la P.A. ed il cessionario del credito, come soggetto che deve dare esecuzione al pagamento, con compiti meramente esecutivi, sicché il medesimo non può provvedere al pagamento stesso allorché l’amministrazione competente gli abbia comunicato tempestivamente la variazione del soggetto, al quale il pagamento deve essere effettuato» (Cass., 1 febbraio 2008, n. 2466).
L’art. 1265 c.c., al pari dell’art. 1264 c.c., in tema di efficacia della cessione riguardo a terzi, richiede anch’esso notifica o accettazione. Al fine di dirimere controversie tra più acquirenti dello stesso credito la disposizione in parola sancisce che prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata accettata dal debitore con atto di data certa.
Benché la certezza della data sia testualmente riferita all’accettazione un’interpretazione conforme alla rado della norma ha evidenziato che essa è peculiare ad ogni atto predisposto al fine di dirimere controversie fra più acquirenti dello stesso credito, e quindi anche alla notifica.
La giurisprudenza, con un orientamento consolidato ma ultimamente superato, ha affermato che la notifica di cui all’art. 1265 debba essere intesa nel suo più rigoroso significato tecnico giuridico e che quindi debba effettuarsi a mezzo di ufficiale giudiziario ai sensi dell’art 137 c.p.c. In dottrina, invece, si ritiene che non sia necessaria la notifica formale di cui all’art. 137 c.p.c., poiché non espressamente richiesta, e di conseguenza ammette anche forme di notificazione diverse purché idonee ad attribuire la certezza della data.
Di recente anche in giurisprudenza è stato affermato che l’opponibilità a terzi della cessione del credito non presuppone che la relativa notifica al debitore ceduto venga necessariamente eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, «costituendo quest’ultima una semplice species (prevista esplicitamente dal codice di rito per i soli atti processuali) del più ampio “genus” costituito dalla notificazione intesa come attività diretta a produrre la conoscenza di un atto in capo al destinatario. Ne consegue che, tanto ai fini di cui all’art. 1264, quanto a quelli di cui ai successivi artt. 1265 e 2914, n. 2, c.c., la notificazione della cessione (così come il correlativo atto di accettazione), non identificandosi con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, costituisce atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità» (così Cass., 21 dicembre 2005, n. 28300; Cass., 12 maggio 1998, n. 4774).
Per quanto riguarda le ipotesi di cessione dei crediti in blocco e la cartolarizzazione dei crediti il Garante per la protezione dei dati personali è recentemente intervenuto con provvedimento del 18 gennaio 2007 (in CU., 30 gennaio 2007, n. 24) per semplificare le procedura di informativa da produrre. La funzione dell’informativa, in questo ambito, è di comunicare al debitore l’esistenza e l’identità di un nuovo titolare del trattamento (non più la società cedente, bensì la cessionaria): il debitore ha, infatti, diritto ad essere informato dell’avvenuto trasferimento del credito per comprendere a quale soggetto deve corrisponderlo e quali operazioni saranno compiute sui propri dati. In assenza di tale semplificazioni, la cessionaria avrebbe il compito di inviare comunicazioni ad personam (e quindi una per ogni debitore) contenente gli elementi previsti dell’art 13 del Codice della privacy e, in particolare, l’indicazione del nuovo titolare: operazione da compiere nella fase immediatamente successiva alla realizzazione della cessione e antecedente all’inizio di ogni nuova attività. La procedura di comunicazione al debitore, prima molto gravosa e di difficile realizzazione, è stata, quindi, notevolmente semplificata dall’Autorità Garante e ora l’obbligo di informativa grava unicamente sulla società cessionaria. Con il trasferimento dei diritti di credito, infatti, la cedente si libera da ogni obbligo nei confronti del debitore. Appena realizzata la cessione, inoltre, l’obbligo di informativa può essere assolto mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (e non più mediante comunicazione ad personam); successivamente deve essere poi assolto anche singolarmente con riguardo a ogni debitore, ma non più mediante l’invio di una comunicazione specifica “ad hoc’ da realizzarsi prima dell’inizio delle attività di trattamento, bensì, come chiarito dal provvedimento «alla prima occasione utile» che coincide con la prima comunicazione che la cessionaria, o chi agisce su suo mandato, invia al debitore.
Libera trasferibilità dei crediti e divieti di cessione e sistema
Nell’art. 1260 c.c., si afferma il principio della libera cedibilità dei crediti: in virtù di detto principio il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, “anche senza il consenso del debitore purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge”. La disposizione in parola e la successiva delineano poi i limiti al suddetto principio. Le limitazioni poste dagli artt. 1260 e 1261 c.c. prevedono, infatti, l’una forme di intrasferibilità legate al credito (profilo oggettivo) e l’altra forme di non trasferibilità legate ai soggetti (profilo soggettivo).
Preliminarmente occorre tener presente che, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1260 c.c., comma 1, promosso dal Tribunale ordinario di Viterbo con ordinanza del 9 luglio 2005 (in G.U., n. 39 del 2005, I Serie speciale), la Corte Costituzionale ha chiarito che cessione del credito e cessione del contratto sono istituti giuridici differenti e non assimilabili cosicché non può eccepirsi alcuna violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione per un regime normativo diversificato, infatti, precisa la Corte «il diritto di credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive, e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente» (Corte cost., 10 marzo 2006, n. 95).
Tra le limitazioni alla libera cedibilità del credito inerenti l’aspetto oggettivo rientrano per espressa menzione dell’art. 1260 c.c. i crediti con carattere strettamente personale e quelli non liberamente trasferibili per previsione normativa. La legge prevede l’incedibilità del credito, data la natura stessa del diritto, per il credito alimentare (art. 447 c.c.), e per i crediti del minore, incedibili nei confronti dei genitori (art. 323, comma 1, c.c.) o del tutore e del protutore (art. 378 c.c.). Sono incedibili anche i crediti degli appaltatori nei confronti dello Stato o di altri Enti pubblici (secondo Cass., 23 novembre 2000, n. 15153, il credito verso lo Stato derivante dai contratti di somministrazione, fornitura e appalto può essere ceduto quando detti contatti sono in corso solo previa adesione dell’amministrazione, ma ultimata la fornitura non sussiste alcuna ragione per procrastinare, in deroga al principio di cui all’art. 1260 c.c. della generale cedibilità dei crediti indipendentemente dal consenso del debitore, la “inefficacia provvisoria” della cessione dei crediti residui sui quali l’amministrazione non possa vantare ulteriori diritti). Altra ipotesi di incedibilità del credito è, inoltre, quella relativa ai crediti degli impiegati relativi a stipendi, mentre in merito alla legittimità della cessione del credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto la Corte di Cassazione si è espressa in senso positivo sostenendo che «in tema di cessione del credito, in mancanza di espliciti divieti legali (dovendosi escludere la natura strettamente personale del credito), va affermata la legittimità della cessione del credito del lavoratore per trattamento di fine rapporto, stante anche l’inapplicabilità in via analogica delle eccezioni normative al principio generale della libera cedibilità dei crediti, costituenti ius singolare» (Cass., 1 aprile 2003, n. 4930). La Corte ha inoltre precisato che la regola posta dall’art. 1260 c.c. è quella della cedibilità dei crediti, salvo che si tratti di crediti di carattere strettamente personale o il loro trasferimento sia vietato dalla legge: tali divieti, costituendo eccezione alla regola generale della libera cedibilità dei crediti, non possono, a norma dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, essere applicati oltre i casi espressamente contemplati. Poiché manca, quindi, un esplicito divieto legale, il credito per T.f.r. dei lavoratori del settore privato può essere ceduto senza limitazioni, infatti le disposizioni di cui al d.P.R. n. 180 del 1950, il quale stabilisce in via generale la regola della incedibilità degli emolumenti di qualunque tipo, incluse le indennità di fine rapporto, erogati nell’ambito del pubblico impiego, non possono essere estese al settore del lavoro privato, né la disciplina concernente il sequestro, il pignoramento e la cessione degli emolumenti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni è comparabile rispetto alla disciplina in tema di cessioni per i dipendenti privati. Infine, secondo la Corte di legittimità «qualora il lavoratore abbia ceduto, a garanzia di un finanziamento ricevuto, il proprio futuro credito per trattamento di fine rapporto, va escluso che la cessione integri un’ipotesi di frode alla legge, consistente nella violazione del divieto del patto commissorio relativo al credito suddetto, essendo legittima cessione del credito anche a fine di garanzia e non essendo estensibile in via analogica, oltre le alienazioni di diritti reali e la costituzione di ipoteca e di pegni anche di crediti, la disciplina di cui all’art. 2744 c.c., costituente norma di natura eccezionale» (Cass., 1 aprile 2003, n. 4930, cit.).
Si ritengono incedibili poiché legati alla natura personale del credito i erediti collegati ad altri diritti, quelli con oggetto un facere, quelli collegati allo status della persona, quelli collegati a prestazioni di tipo intellettuale o artistico.
Il sistema dell’incedibilità per ragioni legate al titolo o all’oggetto del credito mira a tutelare l’interesse del debitore ad adempiere esclusivamente nei confronti del creditore rispetto al quale è sorto il rapporto obbligatorio o comunque si pone quale garanzia del debitore in considerazione della rilevanza che assume la persona del creditore ai fini dell’esecuzione della prestazione.
L’incedibilità del credito può essere anche legata alle qualità soggettive di taluni soggetti: l’art. 1261 c.c., infatti, pone delle limitazioni legate a determinati soggetti per taluni rapporti obbligatori. I magistrati dell’ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i patrocinatori e i notai non possono, infatti, (neppure per interposta persona) rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni. Si è sostenuto che la norma sarebbe posta a garanzia non solo dell’interesse privato del cedente, ma più in generale a tutela del prestigio della terzietà degli operatori della giustizia. Il divieto secondo taluni deriverebbe da una c.d. incapacità speciale, per altri da incapacità giuridica, altri ancora hanno fatto riferimento all’incapacità di agire, oppure si è parlato di legittimazione a ricevere o ad acquistare o più in generale di incompatibilità; altra dottrina, invece, ritiene di doversi prescindere dall’analisi della situazione dei soggetti e che invece si debba concentrare l’attenzione sul giudizio di liceità della negoziazione: si afferma che confermando il divieto che l’attività negoziale è in contrasto con una norma imperativa e di ordine pubblico, tale attivita e illecita. L’art. 1261 c.c. sancisce, in caso di violazione del divieto, la sanzione dei danni e della nullità (assoluta se si interpreta la norma a tutela di valori costituzionali o relativa se la si interpreta a tutela di interessi privatistici, alcuni diversamente parlano di inefficacia del negozio che non può produrre i suoi effetti per un impedimento esterno costituito dalla carenza di legittimazione del soggetto che si deve rendere destinatario del trasferimento). In merito la giurisprudenza si è espressa nel senso che «in tema di divieto di cessione di crediti litigiosi a favore di soggetti esercenti determinate attività (nella specie, un avvocato), il dato testuale dell’art. 1261 c.c. (che fa espresso riferimento ad una “sorta controversia” avanti all’autorità giudiziaria), nonché la “ratio” di detta norma (diretta ad impedire speculazione sulle liti da parte dei soggetti in essa contemplati) comportano che il divieto stesso non trova applicazione riguardo a crediti per i quali non sia ancora sorta una controversia giudiziaria» (così Cass., 16 luglio 2003, n. 11144).
Secondo quanto previsto dall’art. 1260, comma 2, l’incedibilità del credito può essere, infine, sancita anche da un accordo delle parti.
Il patto però ha effetto solo inter partes, per cui se il cedente lo viola la cessione è valida ed efficace nei confronti del cessionario, salvo che il debitore ceduto dimostri che il terzo fosse a conoscenza, al momento della cessione in suo favore, del patto di non cedibilità. Nel conflitto, quindi, tra l’interesse del debitore a non mutare il creditore e l’interesse del cessionario che ha acquistato il credito reputandolo non vincolato, si tutela quest’ultimo nonostante la diversa convenzione fra cedente e ceduto.
Si discute in dottrina in ordine all’applicabilità analogica o meno dell’art. 1379 c.c. alla circolazione del credito. L’art. 1379 c.c. oltre ad affermare che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, sancisce anche che tale patto «non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti». Gran parte della dottrina ritiene tale disposizione applicabile anche nell’ambito della cessione del credito, sicché si ritiene che se la clausola di incedibilità tende a rafforzare la posizione del debitore ceduto senza un apprezzabile motivo o comunque per un periodo di tempo eccessivamente lungo, tale clausola non è meritevole di tutela e quindi non è reputata valida.
Cessione del credito a scopo di garanzia
Giurisprudenza e dottrina dominanti ritengono possibile che la cessione del credito avvenga al fine di garantire l’adempimento dell’obbligazione del cedente nei confronti del cessionario; è stato, infatti, chiarito che la cessione «può essere stipulata anche a fine di garanzia senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia “pro solvendo” e non già “pro soluto”, con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto» (così Cass., 3 dicembre 2002, n. 17162, cit).
È opinione diffusa, quindi che la cessione del credito, avendo causa variabile, può avere anche funzione esclusiva di garanzia, comportando in questo caso l’effetto (tipico della cessione ordinaria) immediatamente traslativo del diritto al cessionario.
Il credito ceduto entra quindi nel patrimonio del cessionario e diventa un credito proprio di quest’ultimo, il quale è pertanto legittimato ad azionare sia il credito originario sia quello che gli è stato ceduto in garanzia, sempre che persista l’obbligazione del debitore garantito; qualora, invece, si verifichi l’estinzione, totale o parziale, dell’obbligazione garantita, il credito ceduto a scopo di garanzia, nella stessa quantità, si ritrasferisce automaticamente nella sfera giuridica del cedente, con un meccanismo analogo a quello della condizione risolutiva, senza che occorra, da parte del cessionario, un’attività negoziale diretta a tal fine, in tal senso Cass., 2 aprile 2001, n. 4796, cit.; v. anche Cass., 9 settembre 2004, n. 18176, la quale espressamente ribadisce che l’efficacia traslativa nella cessione di credito in garanzia viene meno con l’adempimento dell’obbligazione garantita; conseguentemente, da tale momento, il credito ceduto torna automaticamente al cedente».
La cessione a scopo di garanzia attua generalmente un trasferimento di titolarità immediata. Se alla scadenza dell’obbligazione il cedente adempie, il cessionario deve restituire il credito ceduto, altrimenti si può soddisfare sul credito ceduto non quale creditore del cedente, ma come titolare dello stesso, evitando che gli altri creditori (del cedente) possano concorrere sullo stesso credito.
Come in tutti i rapporti di garanzia vige il principio dell’accessorietà per cui l’obbligazione di garanzia sussiste in quanto esiste l’obbligazione principale. Al verificarsi, quindi, dell’estinzione totale o parziale dell’obbligazione garantita il credito ceduto si ritrasferisce al cedente automaticamente.
Di norma il cessionario si impegna ad esigere il credito ceduto solo in caso di inadempimento o di insolvenza del cedente all’obbligazione originaria garantita. Il trasferimento del credito, inoltre, comporta che il cessionario è legittimato ad esigere il credito ceduto in garanzia alla scadenza (o in caso di inadempimento o insolvenza) del credito garantito.
Coloro che negano una propria autonomia negoziale alla cessione del credito reputano che il trasferimento della titolarità del credito possa avvenire a scopo di garanzia in virtù della variabilità della causa, chi invece guarda alla cessione del credito come ad un atto negoziale autonomo ritiene che la genericità della causa della cessione consente la finalità di garanzia che essa può avere.
Anche la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la cessione di credito, come negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a scopo di garanzia, senza che ciò escluda l’effetto tipico della cessione di trasferire il credito al cessionario, quando tale trasferimento è lo strumento prescelto dalle parti per realizzare la garanzia (App. Milano, 29 gennaio 1998).
La cessione del credito a scopo di garanzia può essere configurata come un negozio indiretto (così App. Firenze, 20 dicembre 1988) o come un negozio indiretto con patto fiduciario, o ancora come un negozio sottoposto a condizione sospensiva al mancato adempimento da parte del cedente o risolutiva all’adempimento (per cui se il debito garantito viene adempiuto, si verifica la condizione annessa alla cessione ed il credito trasferito in funzione di garanzia torna automaticamente nella titolarità del cedente, in tal senso Trib. Milano, 13 ottobre 1986).
Lo schema contrattuale in esame si presta a determinare una garanzia efficace per il cessionario poiché prevede un effetto traslativo del diritto, ma quest’ultimo può anche rivelarsi esuberante rispetto alla funzione di rafforzamento del credito. La fattispecie potrebbe risultare in contrasto con il divieto del patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c. in virtù del quale il creditore non può appropriarsi della cosa data in garanzia.
A fronte di una struttura che può sembrare simile a quella del patto vietato, però, si evidenzia che la rado del divieto di cui all’art. 2744 c.c. è evitare che il creditore si possa avvantaggiare, appropriandosi di un bene di valore maggiore rispetto al credito insoddisfatto, perciò si ritiene che sia superato il divieto in parola se il creditore trattenga soltanto la somma necessaria al soddisfacimento delle sue ragioni creditorie restituendo l’eventuale esubero, ciò in analogia con quanto previsto dall’art. 2803 c.c. in tema di pegno di crediti.
La giurisprudenza sull’argomento si è espressa nel senso che è «legittima cessione del credito anche a fine di garanzia e non essendo estensibile in via analogica, oltre le alienazioni di diritti reali e la costituzione di ipoteca e di pegni anche di crediti, la disciplina di cui all’art. 2744 c.c., costituente norma di natura eccezionale» (in tal senso Cass., 1 aprile 2003, n. 4930, city.
Dottrina minoritaria, invece, sostiene che la cessione del credito a scopo di garanzia configuri la violazione di cui all’art. 2744 c.c., non essendo concepibile una coesistenza tra causa di garanzia e causa di alienazione.
La cessione a scopo di garanzia può essere sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito, non essendo la funzione di garanzia incompatibile né con la funzione onerosa né con quella gratuita.
Obblighi delle parti
Obblighi del cedente
In virtù del dettato dell’art. 1262 c.c. il cedente ha l’obbligo di consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che sono in suo possesso e il comma 2 della medesima disposizione precisa, poi, che se è stata ceduta solo una parte del credito, il cedente ha l’obbligo di consegnare al cessionario una copia autentica dei documenti (la consegna della documentazione comprovante il credito può anche essere riportata nel contratto di cessione). Si ritiene che se i documenti non sono in possesso del cedente, questi non è tenuto a procurarli al cessionario.
La consegna, dunque, non è elemento perfezionativo della cessione del credito, né il possesso dei documenti è necessario per pretendere l’adempimento. I documenti probatori del credito sono, quindi, elementi sufficienti per richiedere la prestazione ed agevolano di certo l’eventuale onere probatorio del cessionario poiché non è parte del rapporto fonte del credito, ma questi può provare la cessione anche prescindendone dal possesso.
Poiché, però, in base alla regio dell’art. 1262 c.c. il cedente deve consentire al cessionario di poter effettivamente esercitare il diritto di credito, qualora il documento probatorio sia necessario per l’esercizio del credito, il cedente è tenuto a procurarlo comunque al cessionario, anche se non ne ha il possesso; in mancanza sarà considerato inadempiente. La violazione dell’obbligo di cui all’art. 1262 c.c. costituisce un inadempimento rilevante (Cass., 27 febbraio 1998, n. 2156) ed il cessionario è legittimato ex art. 2930 c.c. a chiedere la consegna giudiziale o la risoluzione, salvo che le parti non abbiano escluso convenzionalmente l’obbligo in parola.
Altro obbligo del cedente è, inoltre, quello di garantire l’esistenza del credito: l’art. 1266 c.c. prevede, infatti, che quando la cessione del credito è a titolo oneroso il cedente ha l’obbligo di garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione. In virtù della garanzia il cessionario deve ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti: rimborso delle spese sostenute, restituzione della prestazione eseguita al cedente e i danni derivanti dalla perdita e dal mancato guadagno.
Nella cessione di credito il cedente deve garantire non solo che il credito è sorto, ma anche che non si è ancora (per qualunque ragione, compresa quella data dall’avvenuta prescrizione) estinto al tempo della cessione (Cass., 5 febbraio 1988, n. 1257). Il cedente deve, quindi, garantire al cessionario il c.d. nomen verum del credito; tale obbligo di garanzia, analogamente a quanto avviene con la garanzia per evizione nella vendita, rappresenta un effetto naturale del negozio, di conseguenza, come previsto dall’art. 1266 c.c. medesimo, la garanzia per la veritas nominis può essere esclusa dalle parti con espressa convenzione, ma in tal caso il cedente sarà comunque obbligato per fatto proprio: qualora, cioè, il cedente trasferisca arbitrariamente il credito o se la responsabilità deriva da un fatto che risale alla sua volontà o si converte in un suo esclusivo vantaggio, la garanzia può essere comunque evocata dal cessionario malgrado la diversa pattuizione.
Non è pacifico se la garanzia per l’esistenza del credito si limiti alla sola ipotesi di inesistenza di esso o se si estenda anche ai casi di invalidità del negozio dal quale il credito trae origine e all’indisponibilità del credito da parte del cedente. Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che l’art. 1266 c.c. si applichi, oltre alle ipotesi di inesistenza del credito, anche qualora il credito stesso derivi da un negozio invalido per nullità o annullabilità o non appartenga al cedente. Tuttavia vi è anche chi reputa che l’art. 1266 c.c. non possa avere una tale estensione: mentre, cioè, nell’ipotesi di inesistenza obiettiva del credito unico rimedio sarebbe l’azione di nullità e obbligo al risarcimento ex art. 1266 c.c., negli altri casi di invalidità del negozio genetico del diritto e di indisponibilità del credito il cessionario potrebbe far ricorso alla risoluzione per inadempimento dal quale deriva ex art. 1223 c.c. l’obbligo della parte inadempiente al risarcimento del danno.
In giurisprudenza in merito alla cessione di credito pecuniario è stato affermato che poiché l’obbligazione di garanzia del cedente ex art. 1266 c.c. ha natura di obbligazione accessoria ed adempie alla funzione di assicurare comunque il ristoro del cessionario quando l’effetto traslativo della cessione manchi in tutto o in parte, l’obbligazione di garanzia ha l’identica natura di debito di valuta, produttivo dell’obbligo risarcitorio relativo agli interessi ed al maggior danno di cui all’art. 1224 c.c. dal giorno della mora che si verifica con l’ordine di pagamento rivolto dal creditore ai sensi dell’art. 1183, comma 1, cc. e pertanto decorre dall’intimazione fatta per iscritto (Cass., 18 dicembre 1987, n. 9428).
L’art. 1266, comma 2, cc. prevede che se la cessione del credito è a titolo gratuito la garanzia per l’esistenza del credito è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la garanzia per l’evizione è posta a carico del donante (art. 797 c.c.). Il cedente è dunque tenuto alla garanzia se questa è stata espressamente pattuita, se il fatto dipende da dolo o fatto personale del cedente o se la cessione può qualificarsi come donazione indiretta sottoposta ad onere o remuneratoria, fino a concorrenza dell’ammontare dell’onere o delle prestazioni ricevute dal cedente.
L’art. 1267 c.c., infine, stabilisce che il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia: dunque, salvo patto contrario la cessione si intende pro soluto, altrimenti è pro solvendo. La differenza tra la cessione pro solvendo e la cessione pro solido è individuabile nel trasferimento del rischio dell’insolvenza del debitore al cessionario che si verifica nel secondo tipo di cessione (App. Bologna, 10 aprile 1987).
Nel contratto di cessione le parti possono indicare se la cessione avviene pro solido o pro solvendo specificando se il cedente assume o meno la responsabilità della solvenza del debitore ceduto, parimenti, come detto, il cedente può specificare se garantisce o meno (ferma in quest’ultima ipotesi la responsabilità per fatto proprio) la sussistenza del credito.
Se il cedente ha assunto la garanzia della solvenza del debitore (nomen bonum), in caso di insolvenza di quest’ultimo, risponde nei limiti di quanto abbia eventualmente ricevuto (deve cioè corrispondere non quanto sarebbe stato adempiuto dal debitore, ma quanto ha ricevuto come corrispettivo), deve poi corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle sostenute dal cessionario per escutere il debitore, ed infine è tenuto al risarcimento del danno (il quale secondo l’opinione prevalente è limitato ai soli danni emergenti e non anche al lucro cessante poiché complessivamente la situazione del cessionario non può essere migliorativa rispetto a quella conseguente alla eventuale esatta prestazione da parte del debitore ceduto). Per solvenza si intende non solo il puntuale adempimento, ma anche la capienza del patrimonio del debitore in caso di soddisfazione coattiva.
Ogni patto tendente ad aggravare la responsabilità del cedente è nullo.
La garanzia cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore.
La giurisprudenza si è espressa nel senso che «nella ipotesi di cessione di un credito “pro solvendo”, in cui il creditore cessionario diviene titolare di due crediti concorrenti, l’uno verso il proprio debitore e l’altro verso il debitore ceduto, si è in presenza di distinte obbligazioni, ciascuna avente una propria autonoma causa ed un’attitudine ad essere oggetto di autonomi atti di disposizione, con l’unico limite costituito dal fatto che l’obbligazione originaria è destinata ad estinguersi con la riscossione del credito dal debitore ceduto (art. 1198, comma 1, c.c.), ma senza che tale collegamento, concernente il momento estintivo delle due obbligazioni, comporti la necessità di una loro vita parallela in capo allo stesso titolare» (così Cass., 28 giugno 2002, n. 9495; sul rapporto intercorrente fra l’art. 1267 c.c. e l’art. 1198 c.c., v. di recente anche Cass., 29 mano 2005, n. 6558, secondo la quale dal rinvio effettuato dall’art. 1198 c.c. all’art. 1267, comma 2, c.c., emerge che il cedente è liberato in caso di realizzazione del credito ceduto ovvero quando vi sia stato un comportamento negligente del cessionario ai fini del conseguimento del credito; il credito originario resta quindi inesigibile finché il cessionario non abbia inutilmente escusso il debitore ceduto, mentre si estingue in caso di realizzazione del credito ceduto).
Obblighi del ceduto
A seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario (Cass., 17 gennaio 2001, n. 575, Cass., 6 agosto 1999, n. 8485). In argomento la giurisprudenza ha precisato che la responsabilità del debitore ceduto è configurabile solo in relazione al mancato adempimento di un debito effettivo, mentre, ove egli dimostri la inesistenza del credito che ha formato oggetto della cessione, tale fatto è impeditivo della nascita della pretesa creditoria, ancorché la cessione sia stata notificata al debitore ai sensi dell’art. 1264 c.c. (in tal senso Cass., 26 luglio 2002, n. 11073).
È discusso se possa configurarsi in capo al ceduto un obbligo di non fornire false informazioni al cessionario circa l’eventuale esistenza di altre cessioni opponibili.
Obblighi del cessionario
Il cessionario é tenuto al rispetto di un c.d. “pactum de non petendo” configurabile nell’ambito delle cessioni del credito a scopo di garanzia: qualora, cioè, la cessione sia risolutivamente condizionata all’adempimento dell’obbligazione da parte del cedente e sia stato pattuito che il ceduto potrà adempiere nei confronti del cedente solo nel caso in cui questi abbia provveduto ad estinguere direttamente l’obbligazione nei confronti del cessionario, quest’ultimo è obbligato a non pretendere la prestazione dal ceduto fino a quando il cedente non risulti inadempiente.
Ove prevista, poi, il cessionario deve eseguire la controprestazione nei confronti del cedente.
Si rammenta, inoltre, che in tema di cessione del credito “pro solvendo”, la garanzia del cedente per mancata realizzazione del credito da parte del cessionario è condizionata alla dimostrazione, da parte di quest’ultimo, dell’adempimento dell’onere di cui all’art. 1267 c.c. (richiesta di pagamento di quanto dovuto al debitore ceduto, o quantomeno, dimostrazione della totale inutilità delle istanze di pagamento, attesa la notoria insolvenza del debitore al momento della cessione) (Cass., 24 febbraio 2000, n. 2110).
Infine è anche onere del cessionario provare l’esistenza e l’ammontare del credito, salva la responsabilità del cedente per la mancata consegna dei documenti su cui è fondato.
Altro
Quale azione esperibile dal cessionario, si ritiene che questi possa promuovere l’azione di nullità quale terzo interessato ex art. 1421 c.c., ma non quella di annullamento e di rescissione. Quanto, invece, alla legittimazione a proporre l’azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., si discute se essa spetti al cedente o al cessionario.
In dottrina, al fine di non esporre il cessionario ad una sorta di vuoto di tutela di fronte ad un eventuale inadempimento, si è configurata tale alternativa: o si ritiene che l’azione è posta a tutela del credito e quindi è esercitabile anche dal cessionario, almeno nelle cessioni pro soluto, oppure si ritiene che il cedente è ancora legittimato ma è responsabile nei confronti del cessionario nei casi in cui non eserciti l’azione.
In ordine alla posizione del debitore ceduto, qualora questi abbia accettato la cessione, l’eccezione di compensazione opponibile nei confronti del cedente per altri rapporti di debito-credito fra loro intercorrenti, non potrà essere opposta al cessionario, né a quest’ultimo potranno essere opposte altre eccezioni relative ad altri rapporti di debito-credito intercorrenti con il cedente; il ceduto può comunque accettare la cessione con riserva di compensazione.
Il debitore ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto (Cass., 17 gennaio 2001, n. 75; Cass., 6 agosto 1999, n. 8485).
Si ritiene pertanto che, dopo il perfezionamento della cessione, la risoluzione consensuale del contratto, da cui traeva origine il credito ceduto, convenuta tra l’originario creditore cedente il debitore ceduto, non è opponibile al cessionario: «una volta realizzato il trasferimento del diritto, infatti, il cedente perde la disponibilità di esso e non può validamente negoziarlo, recedendo dal contratto, mentre il debitore ceduto, a conoscenza della cessione non può ignorare tale circostanza» (in tal senso Cass., 10 maggio 2005, n. 9761, cit.; Cass., 25 febbraio 2005, n. 4078; Cass., 27 gennaio 2003, n. 1145).
Fac Simile Scrittura Privata Cessione del Credito
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