In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di mandato e mettiamo a disposizione fac simile di contratto di mandato senza rappresentanza e con rappresentanza da scaricare.
Nozione
Con il mandato, quale contratto tipico espressamente disciplinato dagli artt. 1703-1730 c.c., una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra (mandante) – (art. 1703 c.c.).
La legge configura il mandato come un contratto a titolo oneroso (art. 1709 c.c.) in cui la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi e, in mancanza, è determinata dal giudice.
Si configura mandato collettivo qualora più persone conferiscano mandato ad una terza persona a condizione che il mandato sia conferito con un unico atto e per un interesse comune. Di per sé, il conferimento del mandato con atto unico costituisce un elemento a favore della coincidenza di interessi ma, tuttavia, non dimostra l’esistenza di un affare unico, indivisibile ed indistinto. Solo nel caso in cui sia dimostrata l’unicità dell’affare, la volontà di ciascun mandante è legata da una dipendenza causale tale da giustificare l’applicazione dell’art. 1726 c.c. che prevede, per la sola ipotesi del mandato collettivo, l’inefficacia della revoca prestata da uno solo dei mandanti (Cass., 26 novembre 2002, n. 16678).
Rappresentanza
Mandato con rappresentanza
La contemplatio domini
Nel mandato con rappresentanza, la contemplatio domini — che assolve alla duplice funzione di esteriorizzare il rapporto di gestione rappresentativa esistente tra il rappresentante ed il rappresentato e di rendere possibile l’imputazione al secondo degli effetti del contratto concluso in suo nome dal primo — deve risultare da una dichiarazione espressa ed univoca, anche se non esige l’impiego di formule solenni e l’osservanza di un preciso rituale e può anche essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto concluso sono destinati a prodursi direttamente; (Cass., 17 settembre 2005, n. 18441).
Ove il mandatario, in sede di conclusione del contratto per conto del mandante, non dichiara di agire in nome di costui, si esula dalla fattispecie del mandato con rappresentanza e nessun rapporto si costituisce tra il mandante ed il terzo e gli effetti del contratto si producono in capo al mandatario anche se il contratto involga interessi esclusivamente propri del mandante e l’altro contraente non ignori l’esistenza di quest’ultimo.
Ove la spendita del nome sia contestata, l’onere della relativa prova in giudizio su chi afferma avere assunto la veste di rappresentante e la relativa indagine, involgendo la necessità di indagini su elementi di fatto, è devoluta al giudice di merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici o errori di diritto (Cass., 29 novembre 2006, n. 25247).
Pertanto, nei contratti conclusi dal rappresentante, la prova che il rappresentante abbia espressamente speso il nome del rappresentato può essere fornita anche per presunzioni, diversamente dal caso in cui sia mancata una espressa spendita del nome in cui gli effetti del negozio si consolidano direttamente in capo al rappresentante anche se l’altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato o dell’interesse del mandante nella conclusione dell’affare.
In quest’ultimo caso, infatti, un’eventuale contemplatio domini tacita non può essere desunta da elementi presuntivi (Cass., 12 gennaio 2007, n. 433).
Conflitto di interessi
Qualora il rappresentante utilizzi il potere di rappresentanza che gli è stato conferito per realizzare il proprio interesse o l’interesse di un terzo anziché quello del rappresentato (cd. abuso di rappresentanza) si genera un conflitto di interessi ai sensi dell’art. 1394 c.c., configurandosi, pertanto, un rapporto di incompatibilità tra le esigenze di quest’ultimo e quelle personali del primo. Rapporto, questo, che va riscontrato non in termini astratti ed ipotetici ma con riferimento specifico al singolo atto compiuto.
Il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato che, se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante ai sensi dell’art. 1394 c.c. (applicabile anche ai casi di rappresentanza organica di una persona giuridica), ricorre quando il primo sia portatore di interessi incompatibili con quelli del secondo, sicché la salvaguardia di detti interessi gli impedisce di tutelare adeguatamente l’interesse del “dominus’. Ne segue, pertanto, che non ha rilievo, di per sé, che l’atto compiuto sia vantaggioso o meno per il rappresentato né che sia necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio perché il rappresentato possa domandare o eccepire l’annullabilità del negozio (Cass. 18 luglio 2007, n. 15981).
A tal fine, i vincoli di solidarietà e la comunanza di interessi tra rappresentante e terzo sono indizi che consentono al giudice di merito di ritenere secondo l’id quod plerumque accidit e in concorso con altri elementi – quali l’inesistenza di qualsiasi interesse al contratto ovvero la sussistenza di un pregiudizio non correlato ad alcun vantaggio – quale sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo.
Ai fini della pronuncia di un conflitto di interessi si richiede che l’incompatibilità sia tale da determinare un contrasto attuale idoneo a pregiudicare l’interesse del rappresentato. Il contratto è altresì annullabile anche quando il danno sia solo potenziale ovvero possa consistere in un profitto indiretto del rappresentante, come il caso di una contrazione di un’obbligazione in proprio garantita con ipoteca sui beni del rappresentato.
Non costituiscono cause di annullamento per conflitto di interessi né la mera concorrenza e convergenza degli interessi tra rappresentante e rappresentato né il cattivo uso che il rappresentante faccia del potere concludendo negozi di nulla o scarsa utilità.
Il conflitto di interessi non può essere rilevato d’ufficio dal giudice o dedotto per la prima volta in sede di legittimità ma può essere fatto valere esclusivamente in sede di merito dal solo rappresentato e non anche dal terzo che sia con questi venuto in rapporti.
L’accertamento del conflitto può essere richiesto, in via d’eccezione, anche in appello. Il termine di prescrizione dell’azione di annullamento è quinquennale e decorre, secondo la regola generale di cui all’art. 1442,
comma 3, c.c., dalla data di stipula del contratto, non già da quella della successiva scoperta del conflitto di interessi.
Contratto con se stesso
Nello schema del conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato rientra la figura del contratto che il rappresentante conclude con se stesso o come rappresentante di altri (ad es., avendo una procura a vendere, vende a stesso); ovvero quando, in forza di due distinte procure, agisce come rappresentante di entrambe le parti contrattuali (ad es., avendo la procura a vendere di un soggetto e la procura a comprare di un soggetto diverso, vende al secondo il bene del primo).
In tal caso, il conflitto di interessi si presume e la prova contraria dovrà essere data dal rappresentante.
Nella specie, pertanto, opera una presunzione iuris tantum di conflitto di interessi che può essere superata dalla prova contraria dell’autorizzazione o della predeterminazione del contenuto del contratto; l’espressa autorizzazione del rappresentato e la predeterminazione del contenuto devono essere previste alternativamente: tuttavia, l’autorizzazione deve essere accompagnata da una determinazione degli elementi negoziali sufficiente a garantire la tutela del rappresentato (Cass., 24 marzo 2004, n. 5906).
Quanto alla legittimazione all’impugnazione, il contratto è annullabile solo su domanda del rappresentato. Ove uno stesso soggetto, giovandosi di due diverse procure, rappresenti entrambe le parti del contratto, questo sarà annullabile su domanda di ciascuno dei rappresentanti.
Rappresentanza senza potere
Conseguenze diverse dalla fattispecie dell’abuso di rappresentanza si hanno nel caso di colui che abbia contratto come rappresentante senza averne i poteri (difetto di potere) o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli (eccesso di potere).
Il contratto concluso dal falsus procurator non è nullo né annullabile, ma privo di efficacia e tale inefficacia non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, a sollevare la quale è legittimato soltanto lo pseudo rappresentato (Cass., 7 febbraio 2008, n. 2860, la quale ha precisato che ove la parte, allegando la mancanza di potere rappresentativo, invochi la nullità del contratto concluso dal falsus procurator, non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che ne dichiari la semplice inefficacia, posto che quest’ultima costituisce un minus rispetto alla nullità ed in essa può ritenersi virtualmente compresa).
Il contratto rappresentativo non produce effetti tra il terzo contraente e colui di cui è stato speso il nome (interessato) poiché il falsus procurator difetta di poteri, né produce effetti tra il terzo contraente e il falsus procurator, avendo questi agito non per sé ma per l’interessato.
L’inefficacia del contratto protegge adeguatamente l’interesse del soggetto il cui nome sia stato falsamente speso, non quello del terzo contraente che contava sull’efficacia del contratto. Questi, invero, può pretendere dal falso rappresentante il risarcimento dei danni per avere, senza sua colpa, confidato nell’efficacia del contratto.
La responsabilità del falso rappresentante è di natura aquiliana e non contrattuale e si inquadra nella più generale figura della responsabilità pre contrattuale e il suo fondamento risiede nel comportamento contrario ai più generali doveri di correttezza e buona fede, connessi al divieto del nemi-nem laedere (Cass., 28 agosto 2007, n. 18191).
Il danno risarcibile è il cd. interesse contrattuale negativo che non consiste nel mancato guadagno che l’altro contraente sperava di ricavare dal contratto ma, più limitatamente, nel danno subito a causa dell’infruttuosa contrattazione; una somma corrispondente alla diminuzione patrimoniale che il terzo contraente non avrebbe subito (danno emergente) e al vantaggio che il terzo contraente avrebbe ottenuto (lucro cessante) se non avesse contrattato con il falsus procurator.
Al fine di riconoscere la responsabilità del falsus procurator verso il terzo incolpevole rileva la posizione soggettiva del terzo contraente che, per ottenere il risarcimento del danno, deve provare di avere confidato senza colpa nella validità del contratto (App. Cagliari, 30 maggio 2006, n. 177; Trib. Milano, 7 settembre 2005).
Il rappresentante senza poteri può apparire al terzo contraente, in base a circostanze univoche, dotato di potere rappresentativo. Anche in tale ipotesi, il rischio della falsa rappresentanza ricade sul terzo contraente, salvo ricorrano, da un lato, un malizioso o negligente comportamento del rappresentato apparente tale da far presumere la volontà di conferire al procuratore i suddetti poteri e, dall’altro, l’assenza di colpa del terzo nell’apprezzare il comportamento colposo dell’apparente rappresentato (Trib. Torino, 12 ottobre 2006, n. 6561).
Colpa inescusabile del terzo contraente sussiste qualora tale errore avrebbe potuto essere evitato mediante l’impiego della normale prudenza nella condotta degli affari ovvero l’utilizzazione appropriata degli strumenti legali di pubblicità.
Qualora ricorra l’ipotesi di rappresentanza apparente, il terzo contraente può far valere l’imputabilità del proprio errore al dominus ed agire nei suoi confronti per l’esecuzione del contratto. L’onere di aver confidato, senza sua colpa, nella situazione apparente e che l’errore sia stato determinato dal comportamento colposo di colui il cui nome è stato speso grava su chi invoca a proprio favore il principio dell’apparenza.
L’accertamento degli elementi obiettivi idonei a giustificare la ragionevole convinzione del terzo circa la corrispondenza della situazione apparente a quella reale è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione (Cass., 12 gennaio 2006, n. 408).
La persona in nome della quale il falso rappresentante ha contratto o gli eredi di essa possono ratificare ex art. 1399 c.c. il contratto; a seguito della ratifica, il negozio rappresentativo compiuto dal falsus procurator, quale negozio a formazione progressiva, è produttivo di effetti.
La ratifica costituisce un atto unilaterale recettizio mediante il quale il falsus procurator manifesta al terzo contraente la volontà di fare propri gli effetti del negozio concluso, diretto ad immettere, con effetto retroattivo, nella sfera giuridica dell’interessato, il risultato dell’attività compiuta dal rappresentante senza poteri.
La ratifica deve rivestire la stessa forma prescritta per il contratto rappresentativo. La forma scritta è necessaria per la ratifica quando l’atto da ratificare richiede la forma scritta ad substantiam non anche quando essa è richiesta ad probationem.
La ratifica può essere anche tacita o implicita purché la volontà di fare propri gli effetti del negozio già concluso sia manifestata in modo chiaro ed inequivoco (Cass., 8 aprile 2004, n. 6937, la quale ha affermato che la dichiarazione di ratifica di manifestazione di volontà, espressa dal rappresentante senza poteri, non deve necessariamente estrinsecarsi in maniera esplicita, ma può anche risultare per facta concludentia attraverso un comportamento del rappresentato dal quale sia chiaramente desumibile l’approvazione dell’operato di chi abbia assunto iniziative a suo nome).
Il contratto ratificato diventa efficace dalla sua data e non da quella della ratifica, ma sono salvi i diritti dei terzi (quali gli aventi causa del dominus che abbiano da lui acquistato diritti in epoca successiva al. contratto del falsus procuratore anteriore alla ratifica, nonché i creditori che, nel medesimo periodo, abbiano compiuto atti di esecuzione sui beni del dominus).
Intervenuta la ratifica, il terzo contraente ed il falsus procurator non possono più far uso del mutuo dissenso per sciogliere il contratto.
La ratifica può anche essere sollecitata dal terzo contraente il quale agisce per il risarcimento del danno sofferto per avere confidato, senza sua colpa,
nella validità del contratto concluso dal rappresentante senza poteri; tale facoltà di interpello tutela l’interesse del terzo contraente a che la ratifica non sopraggiunga ad eccessiva distanza di tempo e mira ad eliminare la situazione di incertezza determinata dal fatto che solo il soggetto in nome del quale il falso rappresentante ha contratto è arbitro della sorte del contratto.
Mandato senza rappresentanza
Nel mandato senza rappresentanza nessun rapporto si costituisce tra mandante e il terzo; il mandatario è direttamente obbligato nei confronti dell’altro contraente anche se il contratto coinvolga interessi esclusivamente propri del mandante e l’altro contraente non ignori l’esistenza di quest’ultimo.
Il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato (art. 1705, comma 1, c.c.).
Quanto alla disciplina dell’azione diretta del mandante ex art. 1705 c.c., i terzi nei cui confronti egli può sostituirsi al mandatario sono soltanto quelli con cui il mandatario stesso ha concluso il contratto oggetto del mandato ; non può, viceversa, il mandante far valere i diritti acquisiti dal mandatario nell’ambito di un diverso contratto, realizzando così una illegittima modificazione soggettiva di una parte contrattuale (Cass., 1 dicembre 2004, n. 22596).
La disposizione di cui al comma 2 dell’art. 1705 cc. introduce, per ragioni di tutela dell’interesse del mandante, un’eccezione al principio fondamentale di cui al comma 1, atteso che il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario. La possibilità di sostituzione deve intendersi limitata all’esercizio dei crediti derivanti direttamente dalle obbligazioni contratte dal terzo verso il mandatario e non si estende ad altre azioni derivanti dal contratto stipulato tra mandatario e terzo, in particolare l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento dei danni (Cass., 8 giugno 2007, n. 13375; Cass., 25 agosto 2006, n. 18512; Cass., 21 gennaio 2005, n. 1312; Cass., 10 giugno 2004, n. 11014).
L’azione di cui all’art. 1705, comma 2, c.c. viene configurata come azione diretta in vista del risultato economico-pratico cui mira il complessivo meccanismo del mandato senza rappresentanza e della correlata funzione acceleratoria dell’azione diretta; l’esercizio dei diritti di credito sorti in esito all’attività del mandatario configura una modificazione soggettiva che implica la legittimazione passiva del mandante rispetto alla domanda con cui il terzo reclami la controprestazione o chieda la risoluzione per inadempimento.
Medesimi effetti si verificano qualora il negozio posto in essere dal mandatario ecceda i limiti fissati con il mandato, atteso che l’esercizio dei crediti sorti a seguito della stipula del negozio è sufficiente a dimostrare la volontà del mandante di ratificare l’operato del mandatario, salvo la prova di una scusabile ignoranza relativamente all’eccedenza dell’operato rispetto all’incarico conferito.
L’oggetto
Considerazioni generali
Oggetto del programma negoziale che le parti formulano con esso è il compimento dell’attività del mandatario, non anche l’atto giuridico in cui essa si concretizza, né il suo risultato; trattasi, dunque, di un’attività preordinata al conseguimento di un possibile risultato, preventivamente fissato dal mandante, sicché l’obbligo del mandatario di agire nell’interesse del mandante assume una propria fisionomia, non costituendo un carattere dell’obbligo ma il contenuto di questo.
La nozione di oggetto del mandato non si esaurisce nel compimento di uno o più atti nell’interesse del mandante completandosi, invero, con la constatazione che il compimento degli atti da parte del mandatario costituisce espressione di una specifica esigenza volta a realizzare una singolare forma di collaborazione nel concorde intento delle parti di conseguire un determinato risultato.
La prestazione del mandatario non deve necessariamente consistere nel compimento di negozi giuridici ma può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali che abbiano rilievo giuridico; la stessa, dunque, non deve necessariamente avere ad oggetto esclusivo una dichiarazione di volontà negoziale, potendo comprendere anche tutte quelle attività complementari necessarie allo svolgimento del mandato, nonché l’esecuzione di obbligazioni accessorie che siano espressamente previste dalle parti nella loro autonomia contrattuale.
Requisiti
L’oggetto del mandato deve essere possibile, lecito, determinato e determinabile (art. 1346 c.c.).
Quanto al requisito della liceità, l’oggetto del mandato non deve essere contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.
E’ contrario all’ordine pubblico e al buon costume l’oggetto del mandato che consista nel conferimento dell’incarico di compiere un’attività propriamente illegale, volta a violare leggi inderogabili, come nel caso in cui il mandatario sia incaricato di stipulare, per conto del mandante, un patto leonino ex art. 2265 c.c., ovvero un patto con cui si proibisca di esercitare un’attività commerciale o professionale per un tempo indeterminato.
L’oggetto del mandato si considera determinato quando sia stato precisato in tutti i suoi termini dal momento della conclusione del contratto; è determinabile quando non è stato ancora definito l’oggetto avendo le parti provveduto a fissare i criteri idonei alla successiva determinazione.
La sua determinazione costituisce indagine di fatto non censurabile in Cassazione, se correttamente motivata.
Forma
La conclusione del contratto non richiede forme particolari ma la forma scritta è richiesta a pena di nullità per la conclusione di un negozio per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam e non può essere desunta sulla base di semplici presunzioni dal comportamento esteriore del mandatario.
Il mandato, con o senza rappresentanza, ad acquistare o vendere beni immobili richiede la forma scritta ad substantiam, la stessa forma deve assumere la ratifica dell’operato di colui che ha agito come mandatario a vendere o ad acquistare beni immobili, in assenza del conferimento del mandato.
Il mandato ad alienare o ad acquistare in nome proprio beni immobili non è sottoposto all’obbligo della forma scritta ad susbtantiam quando sia accompagnato da una procura rilasciata per iscritto che conferisce al mandatario il potere di manifestare al terzo il consenso del mandante alla vendita o all’acquisto.
Mandato con rappresentanza
Nel caso in cui il mandato sia con rappresentanza, è applicabile la disposizione di cui all’art. 1392 c.c., espressamente richiamata dall’art. 1704 c.c., a norma della quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere; la norma attiene alla forma della procura non anche alla forma del mandato. Solo la procura deve avere la stessa forma richiesta per il contratto che il rappresentante deve concludere.
Il mandato, essendo un negozio diretto a regolare solo i rapporti interni tra mandante e mandatario, rimane del tutto estraneo al negozio concluso dal mandatario con il terzo e non partecipa delle esigenze formali proprie di questo. Le disposizioni di cui agli artt. 1392 e 1396 c.c. si riferiscono, rispettivamente, alla procura nell’indicare le modalità di conferimento del potere di rappresentanza e alla revoca ed estinzione della procura nell’indicare le possibili vicende di quel potere.
La procura, quale atto unilaterale ricettizio è speciale quando riguarda un singolo determinato affare; generale quando è relativa ad una serie determinata di affari. La procura generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione se non sono espressamente indicati nella procura, in analogia con quanto l’art. 1708, comma 2, c.c. dispone per il mandato.
Al pari del mandato, la procura può avere ad oggetto la conclusione di contratti ovvero il compimento di “altri atti giuridici” (art. 1703 c.c.) siano essi l’oggetto esclusivo della procura o atti accessori al contratto da concludere (art. 1708, comma 1, c.c.).
E’ ammessa la procura informale qualora la forma è voluta dalle parti e non è imposta dalla legge. La procura può essere anche tacita qualora non sia richiesta la forma scritta; in tal caso, il potere di rappresentanza può anche desumersi da fatti univoci e concludenti, avuto conto del comportamento tenuto dal rappresentante e dal rappresentato di fronte ai terzi.
La procura conferita per il compimento dell’atto di costituzione in mora non richiede la forma scritta e può pertanto risultare da un comportamento univoco concludente posto in essere anche da un mandatario, idoneo a rappresentare al terzo che l’atto è compiuto per un altro soggetto, nella cui sfera giuridica è destinato a produrre effetti.
Non vengono posti requisiti di forma per la dichiarazione di modifica e revoca della procura. Le modificazioni e la revoca della procura, che possono avvenire anche tacitamente qualora il rappresentato assuma un comportamento incompatibile con la volontà di mantenere in capo al rappresentante il potere di rappresentanza, devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In mancanza, esse non sono opponibili ai terzi se non si prova che questi non le conoscevano al momento della conclusione del contratto (art. 1396, comma 1, c.c.).
Sul rappresentato grava il difficile onere di portare la revoca o la modifica a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (l’idoneità del mezzo scelto dal rappresentato è liberamente apprezzata dal giudice tenuto conto del caso concreto; la discrezionalità della scelta viene meno quando la legge prescriva una qualche forma di pubblicità, come ad esempio nel settore della rappresentanza commerciale).
La dottrina estende alla procura le regole previste per il mandato dall’art. 1723 c.c., laddove nel caso in cui la procura sia conferita anche nell’interesse del rappresentante o di terzi essa non può essere revocata se non per giusta causa.
In applicazione di detto principio e sulla base del disposto di cui all’art. 1726 c.c., si considera irrevocabile separatamente dal singolo rappresentato la procura collettiva, salvo che ricorra una giusta causa.
Mandato senza rappresentanza
Il mandato senza rappresentanza avente ad oggetto il trasferimento di beni immobili richiede, a pena di nullità ex art. 1325 c.c., la forma scritta ad substantiam. Per il mandato avente ad oggetto una compravendita è necessario che risultino per iscritto sia la proposta del mandante sia l’accettazione del mandatario, anche se non espresse contestualmente.
Il requisito della forma scritta può considerarsi soddisfatto solo in presenza di un documento contenente la manifestazione della volontà di conferire il potere di rappresentanza.
L’inosservanza del requisito della forma scritta ad substantiam nei casi richiesti dalla legge rende inammissibile l’actio mandati per il risarcimento dei danni, poiché la nullità del negozio derivante dalla mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c. impedisce che si costituisca il rapporto giuridico e che sorga alcuna obbligazione tra le parti.
Obblighi del mandatario
Obbligo di eseguire il mandato. Modalità
La fase attuativa del mandato pone in primo piano l’attività del mandatario, coinvolgendo solo marginalmente il mandante. Il profilo esecutivo del mandato, che riveste un ruolo centrale nell’ambito della fattispecie, si sostanzia nell’obbligo del mandatario di compiere l’attività gestoria affidatagli.
Il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, ossia con quella diligenza che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza, cosciente delle relative responsabilità.
E’ sulla scorta di tale criterio, di generale applicazione in tema di adempimento delle obbligazioni (art. 1176 c.c.), che deve valutarsi la condotta del mandatario, onde stabilire se egli sia venuto meno alle sue obbligazioni nei confronti del mandante, sicché, se a giustificazione dell’eventuale inadempimento venga addotto il fatto del terzo, per liberarlo da responsabilità è necessario che tale fatto sia del tutto estraneo ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, nel senso che egli non abbia omesso di sperimentare quei rimedi che avrebbero dovuto apparirgli necessari o utili per rimuovere l’ostacolo all’esecuzione dell’obbligo assunto ex contractu.
Ai fini dell’esecuzione del mandato, particolare rilievo rivestono anche i criteri di correttezza e buona fede, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. La buona fede costituisce una regola di condotta diretta a regolare il comportamento dei soggetti nei reciproci rapporti al fine di assicurare l’osservanza dei canoni di solidarietà e di liceità nello svolgimento del rapporto obbligatorio.
La diligenza nell’esecuzione del mandato deve valutarsi in relazione alla volontà e agli intendimenti del mandato, con riferimento ai limiti oggettivi dell’incarico e alle istruzioni impartite al mandatario. Ove costui abbia agito nei limiti fissati nel mandato, attenendosi alle istruzioni ricevute per attuare in toto l’interesse che il mandante ha riconosciuto come proprio, non è ravvisabile una responsabilità per negligente esecuzione del negozio gestorio anche se lo stesso non appaia rispondente all’interesse obiettivo del mandante.
Ove a giustificazione dell’inadempimento sia addotto il “factum principis’, a liberare il mandatario da responsabilità è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità costituisca un fatto interamente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, nel senso che il mandatario non abbia omesso di attivare quei rimedi che avrebbero dovuto apparirgli utili per rimuovere l’ostacolo all’esecuzione del mandato.
Nel caso di contratto concluso dal rappresentante con se stesso il mandatario ha il diritto di esercitare l’azione di responsabilità per la non diligente esecuzione del mandato e l’azione di annullamento del contratto, fondandosi ciascuna delle due azioni su un titolo autonomo e distinto aventi, rispettivamente, il fine di ripristinare il patrimonio del mandante e di annullare gli effetti giuridici del contratto concluso dal mandatario.
Qualora il mandato sia gratuito, la legge prevede cha venga valutata con minor rigore la colpa del mandatario (art. 1710 c.c.); laddove, infatti, la stessa venisse accertata, il mandatario sarà tenuto a rispondere dell’intero danno sofferto dal mandante solo in quanto conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento.
Qualora si accerti che il mandante non sarebbe comunque stato in condizione di revocare o modificare il mandato, il mandatario non è responsabile per non aver comunicato le circostanze sopravvenute di cui al comma 2 del citato articolo, non rilevanti sotto il profilo causale.
In applicazione del principio dettato dall’art. 1223 c.c. — che elimina dall’area della risarcibilità gli eventi pregiudizievoli che si sarebbero in ogni caso verificati anche in caso di esatto adempimento dell’obbligazione — non costituisce fonte di responsabilità contrattuale la violazione del mandatario dell’obbligo di informazione di cui all’art. 2702 comma 2 c.c. qualora il mandante non fosse in condizioni di poter utilizzare le informazioni, modificando o revocando il mandato.
Ai fini di una corretta esecuzione del mandato, il mandatario deve comunicare al mandante tutte le circostanze che riguardano l’attività gestoria: in caso di rifiuto, il silenzio del mandatario, se non giustificato dalla carenza di un interesse del mandante a conoscere, viola il dovere a lui imposto di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia.
In particolare, il mandatario è tenuto a comunicare al mandante le circostanze sopravvenute che possano comportare la revoca o la modifica del mandato (art. 1710, comma 2, c.c.) riferendosi a fatti che, obiettivamente rilevanti, risultino idonei ad incidere sulle vicende del rapporto giuridico indipendentemente dalle mere considerazioni soggettive del mandante.
L’obbligo di comunicazione è riferito alle circostanze sopravvenute, a quei fatti che si siano verificati dopo il conferimento dell’incarico. Invero, il termine “sopravvenute” non ha un significato rigorosamente temporale, dato che esso va riferito alla conoscenza che le parti devono avere in merito alle circostanze relative all’attività gestoria.
L’obbligo sussiste non solo quando si tratti di vere e proprie circostanze sopravvenute ma anche quando si tratti di circostanze che si sono verificate prima del conferimento dell’incarico la cui conoscenza sia sopravvenuta successivamente. In considerazione della ratio della norma, diretta ad ovviare allo squilibrio tra la conoscenza del mandatario e l’ignoranza del mandante, devono ricomprendersi anche le circostanze conosciute dal mandatario prima del mandato, ovvero assunte contestualmente alla conclusione del contratto. Si ritiene sussistente l’obbligo di comunicazione anche dopo l’estinzione del mandato in relazione a fatti verificatisi all’epoca di operatività del mandato o comunque ad essa collegabili.
Il mandatario è tenuto, altresì, a rispettare i limiti fissati dal mandato, restando a suo carico l’atto che esorbiti dal mandato in mancanza di ratifica del mandante (art. 1711 c.c.). La norma costituisce una concreta applicazione del disposto di cui all’art. 1218 c.c. in tema di esatto adempimento, individuando la sfera di discrezionalità del mandatario.
Il problema dei limiti del mandato nasce quando manchino o siano imprecise le istruzioni del mandante, riconoscendosi al mandatario una maggiore discrezionalità nell’esecuzione dell’incarico.
Il negozio stipulato dal mandatario eccedente i limiti del mandato non è annullabile ma inefficace nei confronti del mandante, come confermato dal rilievo che esso è suscettibile di ratifica ex art. 1711 c.c.
In ordine all’inefficacia degli atti compiuti dal mandatario eccedenti i limiti fissati dal mandato, occorre distinguere tra il mandato senza rappresentanza ed il mandato con rappresentanza. Rispettivamente, nel primo caso, gli effetti del superamento dei limiti ricadono sul mandatario, il quale potrà trasferire le conseguenze dell’atto gestorio sul mandante solo in presenza di ratifica da parte di quest’ultimo. La ratifica — che presuppone l’eccesso di mandato, la conoscenza dell’eccesso da parte del mandante e la volontà del medesimo di fare propri gli effetti dell’atto eccedenti il mandato — deve essere compiuta con l’osservanza della forma scritta, anche se non necessariamente espressa con formule solenni, qualora per il negozio gestorio la forma scritta sia richiesta ad substantiam.
Nella seconda ipotesi, si distingue la duplice possibilità del superamento dei limiti della procura e del superamento dei limiti del mandato ma non della procura. Nella prima fattispecie, l’atto compiuto non produce effetti nei confronti del mandante e dei terzi e il mandatario che ha agito come un falsus procurator è responsabile di inadempimento contrattuale nei confronti del mandante e sarà tenuto a risarcire i danni subiti dal terzo che in buona fede aveva confidato nella validità del contratto.
In tal caso, la ratifica del mandante renderà retroattivamente efficace l’atto eccedente la procura. Nel caso di atto eccedente i limiti del mandato, ma non della procura, l’atto produce effetti nei confronti del mandante che rimarrà impegnato nei confronti dei terzi; il mandante ha comunque diritto di chiedere al mandatario il risarcimento del danno subito.
La ratifica del mandante esclude la rivalsa nei confronti del mandatario.
Per soddisfare le esigenze di una regolare esecuzione del mandato, al mandatario è consentito discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la propria approvazione (art. 1711 comma 2 c.c.); tra le circostanze di cui al citato articolo rientrano tutti quei fatti che si sono verificati prima del conferimento dell’incarico, la cui conoscenza sia avvenuta solo in un momento successivo.
L’art. 1712, comma 2, c.c. contempla l’ipotesi in cui il ritardo del mandante a rispondere, dopo avere ricevuto la comunicazione del mandatario, per un tempo superiore a quello richiesto dalla natura dell’affare, importa approvazione anche se il mandatario si è discostato dalle istruzioni o ha ecceduto i limiti del mandato. La norma ha un ambito operativo limitato ai soli rapporti interni tra mandante e mandatario, senza dar modo ai terzi di avvalersi della approvazione tacita del mandante in luogo della mancata ratifica di cui agli artt. 1398 e 1399 c.c.
Particolare rilievo assume, altresì, l’obbligazione del mandatario di rendere conto del suo mandato al mandante ex art. 1713 c.c. (Cass., 30 maggio 2006, n. 12848).
L’obbligo posto a carico del mandatario di rimettere al mandante tutto quello che ha ricevuto a causa del mandato non sorge soltanto a seguito della conclusione dell’attività gestoria, ma anche quando si accerti l’impossibilità di eseguirla o quando via sia la revoca del mandato, poiché in entrambi questi ultimi due casi il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante.
L’obbligazione del mandatario di rendere conto del suo operato comporta che lo stesso giustifichi in che modo abbia svolto la sua opera mediante la prova di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico sia stato eseguito e di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione, in conformità con quanto disposto dall’art. 1710 c.c. (Trib. Milano, 2 novembre 2005).
L’obbligo di rendere il conto deve comprendere non solo i dati contabili delle entrate e delle uscite e del saldo finale, ma la descrizione e giustificazione documentata dell’attività gestoria in quanto l’obbligo de quo sussiste anche nel caso in cui l’esecuzione del mandato non abbia determinato perdite o incrementi nel patrimonio del mandante.
Il mandatario può essere esonerato dall’obbligo del rendiconto, oltre che in via preventiva (art. 1713 comma 2 c.c.) anche in una fase successiva in forza di una manifestazione espressa di volontà, ovvero in modo tacito per facta concludentia.
La dispensa — che non può avere l’effetto di esonerare il mandatario dall’obbligo di rimettere al mandante tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato e, a sua volta, di esimere il mandante dall’obbligo di rimborsare al mandatario sue eventuali anticipazioni — comporta il trasferimento a carico del mandante dell’onere di provare che il mandatario abbia acquistato beni che debbano essergli trasmessi o utilizzati in un dato modo e l’onere di dimostrare che l’obbligo di trasmissione o di utilizzazione non sia stato concretamente e diligentemente rispettato. La sussistenza della dispensa dall’obbligo di rendiconto deve essere provata dal mandatario.
A carico del mandatario è, altresì, posto l’obbligo di corrispondere gli interessi legali sulle somme riscosse per conto del mandante, oltre all’obbligo di risarcire gli eventuali maggiori danni che il mandante dimostri avere subito (art. 1714 c.c.); la norma, operando come sanzione per l’inesatto inadempimento dell’incarico, non trova applicazione nel caso in cui il mandante abbia lasciato il mandatario quale depositario delle somme riscosse omettendo di impartirgli le necessarie istruzioni.
Tra le obbligazioni accessorie poste a carico del mandatario assume rilievo l’obbligazione avente ad oggetto la custodia delle cose ricevute dal mandante per l’attuazione del mandato e di quelle dategli dal terzo contraente in esecuzione dell’atto gestorio, nonché la tutela dei diritti del mandante nei confronti del vettore qualora le cose siano state consegnate in ritardo ovvero presentino segni di deterioramento.
In caso di urgenza, al mandatario è riconosciuta la facoltà di procedere alla vendita coattiva dei beni deteriorabili secondo le modalità indicate all’art. 1515 c.c. (vendita all’incanto o a mezzo di ufficiale giudiziario). Il mandatario ha altresì il potere di proporre azioni giudiziali di natura cautelare o a cognizione ordinaria, nonché azioni petitorie e possessorie avverso eventuali usurpazioni da parte di terzi.
Sostituzione del mandatario nell’esecuzione del mandato
Il mandato, pur essendo un contratto caratterizzato dall’elemento della fiducia, non è tuttavia basato necessariamente sull’intuitus persone sicché al mandatario non è vietato avvalersi dell’opera di un sostituto meno che il divieto non sia stato espressamente stabilito ovvero si tratti di attività rientrante nei limiti di un incarico fiduciario affidato intuitu persone.
L’art. 1717 cc. prevede, infatti, tre diverse ipotesi di sostituzione del mandatario: a) sostituzione non autorizzata dal mandante o non necessaria per la natura dell’incarico, in cui il mandatario risponde dell’operato del sostituto; b) sostituzione autorizzata dal mandante senza indicazione della persona del sostituto, in cui il mandatario risponde dell’operato del sostituto solo se è dimostrata la sua colpa nella scelta di quest’ultimo; c) sostituzione autorizzata dal mandante con contemporanea indicazione del sostituto, in cui il mandatario è esonerato da responsabilità. In tutte le tre ipotesi il mandante può agire direttamente contro la persona del sostituto.
Il Legislatore ha previsto, altresì, da un lato, una responsabilità del mandatario per le eventuali istruzioni impartite al sostituto (art. 1717, comma 3, c.c.) e, dall’altro, la possibilità per il mandante di agire direttamente contro il sostituto (art. 1717, comma 4, c.c.) anche quando la sostituzione non sia stata autorizzata né era necessaria.
La norma in esame non disciplina una sostituzione nel solo adempimento dell’obbligazione, come invece disposto ex art. 1228 c.c. in tema di responsabilità per fatto degli ausiliari, ma una figura di sostituzione al mandatario (sostituente) nel rapporto obbligatorio di un altro debitore (sostituto), tenuto anch’egli alla esecuzione della medesima prestazione già a carico del mandatario originario.
Ne segue che, nel caso di sostituzione autorizzata o necessitata dalle circostanze, il mandatario sostituente è esonerato da responsabilità nei confronti del mandante in ordine all’esecuzione dell’incarico, diversamente dal caso della sostituzione non autorizzata né necessitata, dove al mandatario si aggiunge il sostituto, quale condebitore in solido del mandante.
Obbligazioni del mandante
In generale
Nel quadro delle varie situazioni soggettive passive di cooperazione del mandante possono aversi meri oneri di cooperazione creditoria, obbligazioni che integrano contemporaneamente oneri di cooperazione ed obbligazioni pure. Dette distinzioni rilevano anche ai fini della determinazione dei mezzi di tutela riconosciuti al mandatario nel caso di inosservanza, da parte del mandante, dei singoli oneri ed obblighi giustificando, rispettivamente, l’inattuazione dei primi l’applicazione in favore del mandatario dei rimedi della mora del creditore e della liberazione coattiva del debitore ai sensi degli artt. 1206 ss. c.c. e la non esecuzione degli altri l’operatività dei normali rimedi contro l’inadempimento contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Somministrazione dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato
L’art. 1719 c.c. prevede che il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che, a tal fine, il mandatario ha contratte in proprio nome.
L’inciso “salvo patto contrario” non va inteso nel senso che l’onere economico richiesto per conseguire il risultato dell’attività gestoria possa ricadere sul mandatario, rivestendo lo stesso un significato meramente temporale circa l’adempimento degli obblighi del mandante e postulando la possibilità di una regolamentazione diversa da quella legale per quanto attiene alla sua esecuzione.
Con il termine “mezzi”, il legislatore ha inteso ricomprendere gli esborsi di tipo patrimoniale che il mandante deve effettuare per l’esecuzione del mandato nonché tutte le attività ed operazioni che il mandante deve eseguire ed esercitare.
Il mandante è tenuto a fornire i soli mezzi necessari che occorrono effettivamente per rendere possibile la realizzazione dell’attività gestoria del mandatario; il carattere necessario del mezzo costituisce il criterio in base al quale, di norma, è possibile determinare il contenuto dell’obbligo del mandante.
Rimborso delle anticipazioni fatte dal mandatario
Costituisce una specifica applicazione del principio enunciato dall’art. 1719 c.c. la disposizione che prevede, a carico del mandante, l’obbligo di rendere indenne il mandatario degli oneri patrimoniali relativi all’esecuzione del mandato mediante rimborso delle anticipazioni fatte dal mandatario stesso (art. 1720 c.c.).
Accanto all’obbligo di rimborso delle anticipazioni fatte, l’art. 1720 c.c. sancisce, altresì, a carico del mandante, quello relativo alla corresponsione degli interessi legali che vanno computati dal giorno in cui sono state fatte le anticipazioni, non già dal giorno in cui il mandatario ha reso disponibili le relative somme. Gli interessi sono dovuti anche quando l’anticipazione abbia avuto ad oggetto beni diversi dal denaro, trovando applicazione la regola per cui il mandatario, salvo patto contrario, non è tenuto a sopportare le conseguenze economiche dell’attività gestoria e deve essere compensato per tutti gli esborsi fatti, compresi gli accessori quale che sia l’oggetto dell’anticipazione.
L’art. 1720 c.c. prevede, altresì, che le parti possano stabilire un compenso e, nella loro autonomia negoziale, predeterminare l’entità delle spese rimborsabili in una somma che comprenda forfetariamente il compenso e le spese stesse. Il mandante è tenuto a compensare il mandatario indipendentemente dal buon esito dell’affare a condizione che l’inesecuzione non sia dipesa da causa imputabile al mandatario, nel qual caso, quest’ultimo, per ricevere il compenso, deve fornire la prova di avere eseguito l’incarico.
Quanto all’entità del compenso, in mancanza di indicazioni convenzionali, è lecito ricorrere, in caso di mandato oneroso, ad alcuni criteri legali suppletivi quali le tariffe professionali, eventuali usi normativi e la determinazione equitativa del giudice.
Il ricorso all’equità è reso possibile non solo in conformità con il principio di cui all’art. 1374 c.c., ma anche in considerazione del fatto che in altre ipotesi identiche a quelle in oggetto, come quelle relative alla spedizione e alla commissione, il criterio equitativo è espressamente riconosciuto per la determinazione del compenso dovuto allo spedizioniere e al commissionario.
L’art. 1720 c.c. prevede, da ultimo, che il mandante debba risarcire i danni subiti dal mandatario a causa dell’incarico, richiedendo al fine della risarcibilità del danno un nesso di causalità tra il danno e l’attività gestoria.
Tutela dei crediti del mandatario
Alle obbligazioni poste a carico del mandante corrispondono altrettanti diritti del mandatario, diritti cui la legge appresta una efficace tutela agli artt. 1721, 2756 e 2761 c.c.
L’art. 1721 c.c. stabilisce che il mandatario ha diritto di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha concluso, con precedenza sul mandante e sui creditori del medesimo.
La prelazione di cui al citato articolo presuppone una stretta correlazione tra l’attività del mandatario e il credito derivato al mandante e rappresenta una deroga alla par condicio creditorum, sicché ha natura eccezionale e non è suscettibile di interpretazione analogica.
Estinzione del mandato
In generale
L’art. 1722 c.c. individua, quali cause tassative di estinzione del mandato
-la scadenza del termine o il compimento, da pane del mandatario, dell’affare per il quale è stato conferito
-la revoca da parte del mandante
-la rinuncia del mandatario
Da ultimo, la norma stabilisce che il mandato che ha per oggetto atti relativi all’esercizio dell’impresa non si estingue se l’esercizio dell’impresa è continuato salvo il diritto di recesso delle parti.
Revoca del mandato
La revoca del mandato ha natura di recesso unilaterale con efficacia ex nunc, priva di effetti estintivi rispetto al rapporto e dotata della capacità di paralizzare l’efficacia del rapporto medesimo per il futuro, ossia da quando la relativa dichiarazione di volontà sia stata indirizzata al mandatario e sia decorso l’eventuale preavviso.
Ne deriva che la revoca non elimina l’attività gestoria compiuta dal mandatario ed il mandante è tenuto a far fronte alle obbligazioni in precedenza contratte per suo conto dal mandatario nei confronti dei terzi.
La revoca non è ammessa quando via sia un patto di irrevocabilità, salvo ricorra una giusta causa (art. 1723, comma 1, c.c.) nelle diverse ipotesi di mandato conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi (art. 1723, comma 2, c.c.) ovvero nei casi di mandato oneroso (art. 1723, comma 2, c.c.).
In quest’ultimo caso, la legge prevede a carico del mandante l’obbligo di risarcire i danni se, rispettivamente, la revoca sia stata fatta prima della scadenza del termine del compimento dell’affare nel mandato conferito per un tempo determinato o per un determinato affare e se non sia stato dato un congruo preavviso nel mandato a tempo indeterminato, salvo, in entrambi i casi, la ricorrenza di una giusta causa (art. 1725 c.c.).
Il concetto di giusta causa di cui agli artt. 1723 e 1725 c.c. fa capo all’esistenza di fatti pregiudizievoli per il recedente che non consentono la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.
La giusta causa, avente di norma una natura soggettiva, può consistere anche in fatti estranei al comportamento del mandatario purché si tratti di eventi sopravvenuti o preesistenti, ma in tal caso non conosciuti o non conoscibili dal mandante con l’ordinaria diligenza, in modo che la loro mancata considerazione non possa essere ricollegata ad una condotta omissiva e negligente del mandante medesimo.
Al pari della revoca, la rinunzia di cui all’art. 1727 c.c. è un atto unilaterale recettizio, produttivo di effetti per la sola dichiarazione di volontà comunicata al mandante. Per la rinunzia, che ha effetto ex nutre, non sono previsti particolari oneri di forma, ma deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso di impedimento grave da parte del mandatario.
Nell’ipotesi di mandato a tempo indeterminato la legge riconosce al mandatario la facoltà di rinunzia, prevedendo a suo carico l’obbligo al risarcimento qualora la rinunzia non sia sorretta da una giusta causa e sia mancato un congruo preavviso al mandante. L’onere del congruo preavviso tutela l’interesse del mandante a conoscere adeguatamente e tempestivamente l’estinzione del rapporto.
Il mandatario è soggetto all’ulteriore obbligo di porre in essere la rinunzia in modo ed in tempi tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso di impedimento grave del mandatario (art. 1727 comma 2 c.c.); il grave impedimento può essere ravvisato anche qualora la prestazione del mandatario, pur essendo possibile, si presenti eccessivamente gravosa.
Modello Contratto di Mandato
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di mandato senza rappresentanza e un fac simile contratto di mandato con rappresentanza in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di mandato può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.