In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di franchising e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto da scaricare.
Definizione e caratteristiche generali
Il franchising (detto anche affiliazione commerciale o concessione aggregativi) non è regolato dal codice civile. La definizione generale del franchising è contenuta nella l. 6 maggio 2004, n. 129 (Nonne per la disciplina dell’affiliazione commerciale), il cui art. 1 recita: «L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi».
La Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato di Milano, nella sua Raccolta degli usi in materia di franchising (approvati con delibera della Giunta n. 1161 del 9 dicembre 1991) definisce nel modo seguente il contratto di franchising (art. 1): «Con il contratto di franchising un’impresa detta affiliante, concede ad un’altra, detta affiliata, contro corrispettivo, di utilizzare un insieme di diritti relativi a proprietà industriale o intellettuale, marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi».
In sintesi, il franchising può definirsi come una concessione, dietro corrispettivo, del diritto di sfruttamento beni immateriali (marchio, insegna, brevetto, know how) al fine di commercializzare beni e/o servizi dell’affiliante; tale concessione implica: a) l’uso obbligatorio di segni distintivi comuni da parte dell’affiliato e b) il trasferimento, dall’affiliante all’affiliato, di un know how commerciale e/o produttivo, nonché la prestazione di un’attività di assistenza tecnica e/o commerciale (c.d. Franchigia). Da ultimo, merita essere ricordata l’esistenza del Regolamento dell’Associazione italiana del Franchising (AIF) (approvato nel mese di ottobre 1994 ed in vigore dal 1° gennaio 1995); tale Regolamento, che è vincolante per tutti i soci dell’Assofranchising, integra il Codice Deontologico e lo Statuto dell’Associazione stessa ed «ha lo scopo di imporre agli affilianti […] l’adozione di regole di comportamento ispirate a principi di correttezza e professionalità».
Con il contratto di franchising l’impresa affiliante realizza i vantaggi rappresentati dal decentramento della propria attività (produttiva e/o distributiva) in termini di penetrazione nel mercato, mentre l’impresa affiliata sfrutta l’avviamento costituito da un marchio affermato presso i consumatori e partecipa al patrimonio di tecniche (produttive e/o commerciali) sviluppato e accumulato dall’affiliante; in questi termini si era già, prima della l. n. 129 del 2004, espressa la giurisprudenza di merito, nel riconoscere il contratto di franchising meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., dal momento che <de reciproche prestazioni di servizi permettono all’affiliante di aumentare le proprie capacità di penetrazione sul mercato e, in pari modo, permettono all’affiliato di giovarsi della posizione di affidabilità e di prestigio acquisita dall’affiliante e di inserirsi quindi nel mercato sfruttando la conoscenza da parte dei consumatori del nome dell’impresa primaria e mantenendo una facciata di imprenditorialità» (Trib. Milano, 28 febbraio 2002).
Ora l’art. 3, comma 2, l. n. 129 del 2004, precisa che: «per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale». In relazione a queste finalità, si possono pertanto individuare varie tipologie di franchising.
Nel franchising di servizi l’affiliato vende un servizio utilizzando l’insegna, la ditta o il marchio dell’affiliante. L’affiliato ha l’obbligo di seguire, nella fornitura del servizio, le modalità prefissate dall’affiliante (es. di franchising di servizi: l’esercizio di palestre, l’esercizio di agenzie immobiliari).
Nel franchising di distribuzione l’affiliato rivende i prodotti dell’affiliante presso un proprio punto vendita, che utilizza l’insegna e l’immagine dell’affiliante.
Nel franchising di produzione (o franchising industriale) l’affiliato realizza direttamente, sotto le istruzioni dell’affiliante, dei prodotti che vengono commercializzati con il marchio dell’affiliante.
È internazionale il franchising i cui contraenti appartengono a Stati differenti. La prassi operativa prevede generalmente la stipulazione di un master franchising, contratto con il quale l’affiliante attribuisce all’affiliato il diritto di concludere dei subcontratti di franchising nell’ambito dello Stato di appartenenza dell’affiliato.
Nella realtà economica, tuttavia, è possibile rinvenire una commistione fra i tre tipi di franchising sopra descritti (franchising misto): la prestazione di servizi può essere associata alla distribuzione di prodotti ed il franchising di distribuzione può richiedere la prestazione di servizi (pre e post vendita) alla clientela.
Nell’esperienza italiana, il franchising che ha ottenuto la più vasta diffusione è quello relativo alla vendita di beni e alla prestazione di servizi. Le parti del contratto sono rappresentate, come si è visto nella definizione, da imprenditori. Nel franchising di distribuzione il rapporto può intercorrere tra produttore e dettagliante o tra produttore e grossista o, infine, tra grossista e dettagliante.
Attualmente, delle varie tipologie di franchising elencate, solo il franchising distributivo e quello di servizi trovano sicura collocazione nella l. n. 129 del 2004, mentre si dubita dell’applicabilità della legge al franchising di produzione. Peraltro l’art. 2 della novella codifica due ulteriori ipotesi: 1) il contratto di affiliazione commerciale principale con il quale un’impresa concede all’altra, giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi; 2) il contratto con il quale l’affiliato, in un’area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale oggetto di affiliazione (c.d. corner franchising).
L’oggetto del contratto
In senso generale oggetto del contratto di franchising è l’attribuzione, dietro pagamento di un corrispettivo, dall’affiliante all’affiliato, di una serie di diritti. In particolare, nel franchising di distribuzione l’oggetto è rappresentato da una concessione di rivendita affiancata alla trasmissione del know how commerciale, alla prestazione di servizi da parte dell’affiliante verso l’affiliato ed alla licenza d’uso dei segni distintivi dell’affiliante.
Nel franchising di servizi viene posto in primo piano la concessione d’uso del marchio e dell’insegna dell’affiliante, unitamente alla trasmissione del know how tecnico concernente la prestazione del servizio. Il problema pratico di distinguere il franchising dalla concessione di vendita si pone in relazione al franchising di distribuzione (dal momento che l’attività fondamentale è rappresentata dalla vendita di prodotti realizzati dall’impresa affiliante).
Gli elementi che valgono a qualificare un determinato contratto come franchising anziché concessione di vendita possono essere indicati nei seguenti: a) diritto/obbligo dell’affiliato di utilizzare i segni distintivi dell’impresa affiliante; b) previsione dell’obbligo dell’affiliante di trasferire all’affiliato le proprie conoscenze tecniche e/o commerciali (c.d. know how); c) previsione del versamento, da parte dell’affiliato, di una somma fissa a fronte del diritto di entrare a far parte della catena commerciale-distributiva dell’affiliante (c.d. entry fee o front money) odi un corrispettivo periodico variabile (royalty).
Analoghe considerazioni valgono a il franchising dal contratto di agenzia, l’agente, inoltre, non opera autonomamente, ma agisce in nome e per conto del preponente. In alcuni casi un’apposita clausola espressamente esclude, ad abundantiam, la presenza di un contratto di agenzia.
I centri commerciali costituiscono strutture nelle quali operano imprenditori commerciali appartenenti a differenti categorie merceologiche, la cui attività, peraltro, è svolta sotto un marchio o un’insegna comuni (ad es. “Centro Commerciale X”). Il rapporto dei singoli commercianti nei confronti della proprietà del centro commerciale si distingue dal franchising in quanto oggetto del contratto è la concessione in godimento di un punto vendita, dietro il versamento di un canone periodico fisso ed, eventualmente, di una percentuale variabile del fatturato. Il concedente si limita a mettere a disposizione i locali del punto vendita e a predisporre i servizi comuni (custodia, pulizia, riscaldamento, ecc.), senza operare nessun trasferimento di know how commerciale (che, d’altra parte, egli neppure possiede).
Con il contratto di licenza, una parte – concedente – attribuisce all’altra licenziatario – il diritto di utilizzare un proprio marchio, brevetto o know how, per un determinato periodo dietro la corresponsione di un compenso (fisso, periodico, a percentuale). Il contratto di licenza si distingue dal franchising per i seguenti profili: a) il licenziatario non entra a far parte della catena del concedente e quand’anche, come nel franchising di produzione, l’affiliato realizza i prodotti, questi ultimi sono venduti con il marchio dell’affiliante; b) nel franchising (di vendita o di servizi) l’attività dell’affiliato consiste nel vendere beni prodotti dall’affiliante o servizi uguali a quelli forniti da quest’ultimo, laddove nel contratto di licenza la concessione è sovente strumentale alla lavorazione per conto del concedente (subfornitura).
La forma
Il franchising è un contratto che richiede la forma scritta a pena di nullità (art. 3 della l. 129 del 2004). 11 comma 4 dell’art. 3 citato individua il contenuto necessario, per il quale opera l’onere di forma ad substantiam, ed il contenuto eventuale del contratto di affiliazione commerciale; esso stabilisce che il testo contrattuale deve espressamente indicare:
a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso. In relazione alla disciplina prevista dagli artt. 1341 e 1342, comma 2, c.c. (c.d. clausole vessatorie), è necessaria la specifica approvazione scritta delle clausole relative a: a) obbligo dell’affiliato di praticare alla clientela i prezzi e le condizioni contrattuali imposte dall’affiliante; b) diritto di esclusiva a favore dell’affiliante; c) patto di non concorrenza a favore dell’affiliante; d) obbligo dell’affiliato di tenere indenne l’affiliante da responsabilità verso i terzi; e) proroga tacita del contratto; O clausola risolutiva espressa e relative clausole che disciplinano gli effetti della risoluzione.
Le obbligazioni delle parti
Obblighi precontrattuali
L’art. 6 l. n. 129 del 2004, sotto la rubrica «Obblighi precontrattuali di comportamento», dispone: «L’affiliante deve tenere, in qualsiasi momento, nei confronti dell’aspirante affiliato, un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e deve tempestivamente fornire, all’aspirante affiliato, ogni dato e informazione che lo stesso ritenga necessari o utili ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, a meno che non si tratti di informazioni oggettivamente riservate o la cui divulgazione costituirebbe violazione di diritti di terzi. L’affiliante deve motivare all’aspirante affiliato l’eventuale mancata comunicazione delle informazioni e dei dati dallo stesso richiesti». Tale previsione, per quanto attiene all’affiliante, deve essere necessariamente integrata con l’art. 4 della medesima legge, dove si dispone che: «Almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato dei seguenti allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza». Si tratta di una disciplina integrativa degli ara. 1337 e 1338 c.c., che pone da un lato un obbligo generale di informazione e d’altro lato un obbligo di fornire l’informazione contrattuale principale con un determinato anticipo sulla data di conclusione del contratto.
L’una e l’altra previsione sono finalizzate a consentire all’aspirante affiliato un adeguato spatium deliberandi ed un’idonea valutazione dei dati, contrattuali e non, che l’affiliante è tenuto a fornirgli, al fine di colmare la disparità informativa tra le due parti e consentire la corretta e consapevole formazione della volontà contrattuale.
In linea di massima l’informazione richiesta deve essere fornita per iscritto, mediante copia degli atti indicati dal medesimo art. 4, anche al fine di precostituire per l’affiliante la prova dell’adempimento dell’obbligo.
È chiaro che sono sottratti all’obbligo di comunicazione tutti i dati che, attenendo, ad esempio, al contenuto del know how o dei diritti di privativa oggetto della c.d. franchigia, non possano essere rivelati all’aspirante affiliato senza pregiudicare la stessa posizione contrattuale dell’affiliante.
La sanzione per l’omessa, incompleta o inveritiera informazione in fase precontrattuale è rappresentata dall’obbligo di risarcire i danni subiti dall’altra parte. Il dovere di informazione grava in maniera simmetrica sull’aspirante affiliato (art. 6, comma 3, l. n. 129 del 2004) e anch’egli è tenuto a comportarsi con lealtà, correttezza e buona fede. L’art. 8 della 1. prevede inoltre che: «se una parte ha fornito false informazioni, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 del c.c.».
Sembra che con tale disposizione il legislatore della novella abbia inteso associare alla tradizionale, ma spesso insoddisfacente, tutela risarcitoria, un ampliamento delle ipotesi di dolo contrattuale ed il conseguente scioglimento del vincolo con correlati obblighi restitutori.
Obbligazioni dell’affiliante
Le principali obbligazioni dell’impresa affiliante sono riconducibili alle seguenti: a) concessione in uso dei propri segni distintivi per la durata prevista nel contratto; b) trasferimento del know how e prestazione di assistenza; c) rispetto dell’esclusiva.
Nel franchising di distribuzione l’affiliante concede all’affiliato una licenza d’uso dell’insegna e del marchio di fabbrica.
L’insegna contraddistingue i locali dove l’attività dell’impresa viene svolta e può essere costituita da un nome o da un emblema.
Il marchio di fabbrica contraddistingue i prodotti (o alcuni di essi) dell’impresa affiliante. Esso può essere costituito da parole (c.d. marchio denominativo) o da figure (c.d. marchio figurativo; in questo caso il marchio può consistere anche in raffigurazioni astratte, particolari combinazioni di linee e colori, ecc.). Inoltre, il marchio può essere costituito da una combinazione di parole e figure. Nel franchising di servizi, la concessione riguarda l’insegna ed il marchio di servizio, che contraddistingue il particolare servizio offerto dall’impresa affiliante.
La liceità della concessione in licenza dell’uso del marchio, sulla cui sussistenza in passato erano sorti alcuni dubbi, è ora espressamente sancita dall’art. 2573, comma 1, c.c., nel testo modificato dall’art. 83 d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, che ammette la concessione in licenza del marchio «per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato», a condizione che «non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico».
Per know how deve intendersi, in generale, il complesso di conoscenze tecnico-applicative atte a conseguire un dato risultato industriale e/o commerciale, e che sono, pertanto, suscettibili di una valutazione economica (per la rilevanza dell’obbligo del franchisor di aggiornare ed esplicare il c.d. know how al franchisee per permettergli di mettere a disposizione degli utenti i servizi realizzati secondo le istruzioni trasmesse dal franchisor, v. Trib. Milano, 28 febbraio 2002). Nel franchising di produzione (o franchising industriale) la trasmissione del know how avviene, generalmente, con la concessione di una licenza d’uso relativa ad un brevetto di cui è titolare l’impresa affiliante.
Il brevetto consiste in un diritto di esclusiva (di durata ventennale) per l’utilizzazione dell’invenzione (brevetto per invenzione industriale).
Possono ottenersi, altresì, brevetti per modelli di utilità (aventi ad oggetto una novità tecnologica destinata a conferire ad un prodotto industriale esistente una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego; durata dieci anni) e brevetti per modelli o disegni ornamentali (che proteggono un’invenzione puramente estetica; durata quindici anni).
Al di là di quanto consacrato in un brevetto per invenzione industriale, il know how deve possedere i requisiti precisati dal citato Regolamento Commissione CEE, n. 4087/1988, il quale, sebbene posto in essere non ai fini della regolamentazione giuridica del contratto di franchising, ma allo scopo di delimitare l’esenzione dal divieto di accordi restrittivi della concorrenza (art. 85, par. 1, Trattato CEE), contiene una definizione di franchising operante in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Il know how è definito come un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante (art. 1, par. 3, lett. f, Regolamento n. 4087/1988). Tale patrimonio, inoltre, deve essere segreto, intendendosi per tale il patrimonio di conoscenze non generalmente noto, né facilmente accessibile nel suo insieme; non è necessario, pertanto, che ogni singola componente del know how sia totalmente ignota o impossibile ad ottenere al di fuori dell’impresa affiliante (art. 1 par. 3 lett. g, Regolamento n. 4087/1988).
Deve inoltre essere sostanziale, nel senso che il know how deve comprendere conoscenze importanti per la vendita di beni o la prestazione di servizi agli utilizzatori finali, in modo tale da essere utile all’affiliato al fine di incrementarne la competitività, migliorandone l’attività o consentendone l’accesso ad un nuovo mercato (art. 1, par. 3, lett. 4 Regolamento n. 4087/1988).
Il know how deve poi essere accertato, nel senso di essere descritto in modo sufficientemente comprensibile, tale da consentire la verifica con i criteri di segretezza e sostanzialità (sopra, lett. b e c).
La descrizione del know how può essere contenuta nell’accordo di franchising o in un documento separato, oppure secondo qualsiasi altra modalità adeguata (art. 1, par. 3, lett. i, Regolamento n. 4087/1988).
L’art. 1, comma 3, lett. a), l. n. 129 del 2004, contiene la definizione del know how come: <patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto si intende, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità». La definizione della novella ricalca il Regolamento CE n. 4087/88 nonché il Regolamento n. CE 556/89, restringendo la propria portata al solo know how commerciale e non anche quello industriale.
Si ritiene che il trasferimento del know how e la presenza nello stesso dei requisiti legali attengano agli elementi essenziali del contratto, in quanto il know how costituisce oggetto necessario del franchising.
Oltre alla trasmissione del know how come sopra descritto e qualificato, l’affiliante si obbliga a fornire all’affiliato l’assistenza tecnica e commerciale (ad es. fornitura schede tecniche, di risultati di ricerche di mercato, di manuali applicativi, ecc.), la necessaria consulenza e, dove previsto, anche la formazione del personale. Il contratto può prevedere un’assistenza limitata alla fase iniziale di attività dell’affiliato (c.d. assistenza una tantum) o un’assistenza continuativa, che può avere ad oggetto la gestione del punto vendita.
La stipulazione di una clausola di esclusiva non è indispensabile; tuttavia frequentemente la prassi ne contempla l’inserimento nell’accordo, assolvendo la duplice funzione di tutelare l’investimento dell’affiliato e di creare un’omogenea rete di vendita, identificata con i prodotti o servizi distribuiti. Solitamente l’esclusiva viene pattuita per una determinata zona e a favore di entrambe le parti, sicché l’affiliante non può stipulare franchising con altri concessionari né l’affiliato può vendere prodotti o servizi di terzi. In sostanza, a fronte dell’esclusiva, l’affiliato stipula un patto di non concorrenza con valore nell’ambito della zona individuata nella clausola. L’impresa affiliante può, comunque, riservarsi espressamente il diritto di commercializzare direttamente i prodotti o servizi nel territorio dell’affiliato (l’esclusiva, pertanto, vincolerà solo quest’ultimo). Infine, per il caso in cui il contratto nulla disponga al riguardo, l’esistenza di un obbligo di esclusiva (a carico di una sola delle parti o di entrambe) potrà comunque essere desunto dall’interpretazione complessiva di tutte le clausole dell’accordo e da una sua interpretazione secondo buona fede (art. 1375 c.c.) (m merito, v. Pret. Lecce, decr. 24 ottobre 1989).
Nel caso di franchising di distribuzione, l’affiliante è obbligato a fornire all’affiliato i beni che quest’ultimo deve commercializzare, secondo le quantità ed i tempi pattuiti nel contratto.
Obbligazioni dell’affiliato
Le principali obbligazioni dell’affiliato, così come emergono dall’analisi della prassi contrattuale, sono:
a) il pagamento dei compensi pattuiti;
b) il rispetto delle modalità operative stabilite dall’affiliante;
c) l’obbligo di non cedere il contratto;
d) l’obbligo di rispettare la prelazione concessa all’affiliante;
e) divieto di trasferimento della sede;
f) obbligo di riservatezza.
La presenza dell’obbligo di versare un corrispettivo non è strettamente necessaria: vi può essere, in altri termini, un valido contratto di franchising anche in assenza della previsione di un compenso (l’affiliante può ritenersi appagato dei maggiori ricavi derivanti da una rete distributiva gestita dalla catena degli affiliati). Nella pratica contrattuale, comunque, è solitamente previsto il pagamento di un compenso, che può assumere forme diverse, riassumibili nelle seguenti:
a) versamento di una somma iniziale (denominata entry fee o front money), rappresentata da una cifra una tantum, corrisposta all’atto della sottoscrizione del contratto, che costituisce il corrispettivo del diritto di ingresso dell’affiliato nel sistema distributivo dell’affiliante;
b) versamento periodico di una somma, che può rappresentare il prezzo del mantenimento del rapporto o una vera e propria royalty, determinata in percentuale del fatturato (lordo) dell’affiliato (qualora il compenso venga stabilito indipendentemente dal fatturato, può essere stabilita una rivalutazione della somma in funzione della variazione degli indici ISTAT). Nel caso di stipulazione di royalty è possibile prevedere, a carico dell’affiliato, l’obbligo del raggiungimento di un fatturato minimo, al di sotto del quale il contratto è risolto;
c) sistema misto, costituito dalla compresenza tanto del versamento iniziale, quanto del pagamento periodico, in misura fissa o a royalty. È da segnalare che tra le parti possono insorgere problemi, per l’ipotesi di corresponsione del compenso a royalty sul fatturato, allorché l’impresa affiliata chiuda l’esercizio in perdita ed il contratto le precluda la facoltà di recedere anticipatamente. In un caso simile (v. Cass., 20 giugno 2000, n. 8376), la giurisprudenza, tuttavia, non prende posizione circa la nullità della clausola che prevede il versamento delle royalty anche in ipotesi di perdita d’esercizio, escludendo, al tempo stesso, la possibilità per l’affiliato di sciogliere il contratto. L’impresa affiliata, nella specie, sosteneva la nullità della clausola per contrasto con l’art. 41 Cost. (libertà dell’iniziativa economica privata). La Suprema Corte non ha giudicato sul punto, avendo dichiarato che la cognizione della causa spettava, in forza di clausola compromissoria contenuta nel contratto, al collegio arbitrale.
Sull’affiliato grava l’obbligo di rispettare, nell’esercizio dell’attività distributiva, le modalità stabilite dall’affiliante.
Tali modalità, a seconda dei contratti, possono riguardare:
a) la determinazione dei prezzi e delle condizioni di vendita al pubblico dei beni/servizi (ivi inclusi gli orari di apertura al pubblico);
b) l’obbligo di acquistare dall’affiliante la quantità minima di prodotti da commercializzare stabilita nel contratto e di pagarne il prezzo (nel franchising di distribuzione);
c) l’obbligo di conseguire un determinato fatturato lordo minimo;
d) l’obbligo di utilizzare l’insegna ed il marchio dell’affiliante;
e) l’obbligo di attrezzare i locali e l’arredamento (nonché, se del caso, l’abbigliamento del personale dipendente) secondo le specifiche richieste dell’affiliante;
f) l’obbligo di rispettare gli standard qualitativi, specificati nel contratto o in un suo allegato, relativi alle modalità di presentazione dei prodotti o alle modalità di prestazione dei servizi;
g) l’obbligo di sottostare a ispezioni periodiche di funzionari dell’affiliante, volte a verificare il rispetto degli standard;
h) rispettare l’obbligo di esclusiva;
i) l’obbligo di rendere noto ai terzi contraenti la qualità di affiliato.
È opportuno che il contratto preveda a carico dell’affiliato l’obbligo di rendere noto ai terzi contraenti tale sua qualità (ad es. mediante l’inserimento della dicitura affiliato, accanto all’insegna dell’affiliante).
L’importanza pratica di tale previsione consiste nell’interesse, dell’impresa affiliante, a non trovarsi esposta ad azioni giudiziarie intraprese da clienti dell’affiliato che sostengano di essere stati, in buona fede, del tutto ignari di aver contrattato con un soggetto indipendente;
j) l’obbligo di tenere indenne l’affiliante da responsabilità nei confronti di terzi (ad es. clienti dell’affiliato). Insieme alla disposizione di cui alla lett i), serve a completare la tutela dell’affiliante nei confronti di comportamenti illeciti posti in essere dall’affiliato.
Il contratto di franchising generalmente prevede la clausola di intrasmissibilità del contratto, in virtù della quale l’affiliato non può, se non dietro esplicito consenso dell’affiliante, cedere a terzi la propria posizione contrattuale (art. 1406 c.c.), sì da far subentrare il terzo nella veste di affiliato. Il divieto si giustifica con la particolare rilevanza attribuita alla persona dell’affiliato, alle sue qualità imprenditoriali, nella stipulazione del contratto.
Limiti alla cessione o all’affitto dell’azienda
Se il contratto di franchising non provvede a regolare espressamente le ipotesi di cessione o di affitto dell’azienda da parte dell’affiliato, trova applicazione la disciplina generale del codice civile (artt. 2558 e 2562 c.c.), la quale prevede che, in assenza di patto contrario, l’acquirente dell’azienda ceduta o l’affittuario subentri nei contratti che non hanno carattere personale (art. 2558, comma 1, c.c.). Dal momento che si ritiene che il franchising abbia carattere personale, sembra doversi escludere la continuazione automatica, con conseguente scioglimento del contratto. È necessario ricordare, comunque, che il comma 2 del citato art. 2558 attribuisce all’affiliante il diritto di recedere dal contratto, entro tre mesi a condizione che sussista una giusta causa (ad es. inaffidabilità professionale dell’acquirente o affittuario), facendo salva la responsabilità dell’affiliato per i danni. La disciplina generale sopra menzionata, tuttavia, ha scarsa probabilità di applicazione pratica al contratto di franchising, dal momento che la prassi contrattuale è solita disciplinare l’ipotesi di cessione o affitto dell’azienda da parte dell’affiliato. La regolamentazione pattizia dell’ipotesi in esame spazia dal divieto puro e semplice di alienazione o affitto dell’azienda, alla subordinazione del diritto di cessione o affitto al preventivo consenso dell’affiliante, alla previsione della cessione o affitto quale causa di scioglimento del contratto. Infine, la prassi contrattuale prevede la stipulazione di una clausola di prelazione a favore dell’affiliante.
Diritto di prelazione a favore dell’affiliante
A favore dell’affiliante viene solitamente stipulato il diritto di prelazione (il diritto, vale a dire, ad essere preferito a parità di condizioni) per l’ipotesi di cessione o di affitto dell’azienda da parte dell’affiliato. La prelazione ha lo scopo di evitare che, con l’affitto o la cessione dell’azienda, il know how cada nelle mani di un soggetto non gradito all’affiliante (ad es. concorrente effettivo o potenziale).
Pertanto, qualora l’affiliato intenda vendere o affittare l’azienda deve comunicare all’affiliante le condizioni offerte dal terzo, allo scopo di porre quest’ultimo in grado di esercitare il suo diritto di prelazione. Il mancato rispetto della prelazione non comporta, ad ogni buon conto, il diritto dell’affiliante di riscattare la vendita o di sostituirsi all’affittuario, ma fa sorgere in capo all’affiliato il diritto di conseguire il risarcimento del danno subito.
Divieto di trasferimento della sede
L’art. 5 I. n. 129 del 2004 prevede che, qualora la sede ove l’affiliato svolge la sua attività sia prevista nel contratto, l’affiliato stesso non possa trasferirla senza il consenso dell’affiliante. Il consenso non è necessario qualora il trasferimento sia determinato da cause di forza maggiore (quali, ad esempio, l’esecuzione dell’ordinanza di rilascio dei locali per finita locazione), l’obbligo di risarcire all’affiliante il danno subito.
Obbligo di riservatezza
L’affiliato è tenuto ad osservare ed a far osservare, sia nel corso del rapporto che successivamente alla sua cessazione, l’obbligo di mantenere riservato il contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione (art. 5, comma 2, l. n. 129 del 2004). L’obbligo di riservatezza è un elemento naturale del contratto, connesso alla segretezza del know how il cui uso viene concesso all’affiliato: esso infatti presenta un valore economico se ed in quanto non divenga di pubblico dominio. È quindi interesse dell’affiliante che l’affiliato non divulghi a terzi il contenuto del know how, ovvero imponga a sua volta ai suoi ausiliari e dipendenti il medesimo obbligo di riservatezza.
Termine del contratto
Il contratto di franchising si estingue allo spirare del termine previsto nell’accordo iniziale.
L’art. 3, comma 3,l. n. 129 del 2004 ha fissato la durata minima del contratto, necessaria affinché l’affiliato possa ammortizzare l’investimento iniziale in tre anni. Il regolamento contrattuale contiene, solitamente, una clausola di rinnovazione tacita del contratto, per un periodo pari (o inferiore) a quello originariamente stabilito; si preveda al contempo, che la rinnovazione tacita può essere impedita mediante comunicazione di una disdetta, da inviarsi alla parte entro un determinato termine anteriore alla scadenza del contratto.
Nell’ipotesi, che si verifica raramente nella pratica, della mancata determinazione di un termine finale di durata (contratto a tempo indeterminato), si ritiene che le parti possano esercitare liberamente il diritto di recesso, con l’unico obbligo di dare un congruo preavviso. Infine, la prassi contrattuale prevede lo scioglimento del contratto nell’ipotesi di fallimento dell’affiliato.
La pratica contrattuale prevede, a tutela dell’affiliante, l’inserimento di una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), che ricollega la risoluzione del contratto al verificarsi dell’inadempimento dell’affiliato ad una (o più) delle sue obbligazioni.
Per la validità della clausola è necessario, secondo i principi generali, che essa individui specificamente le obbligazioni al cui inadempimento consegue la risoluzione del contratto: non varrebbe, pertanto, una clausola che si limitasse a sancire la risoluzione nell’ipotesi generica di «inadempimento dell’affiliato alle sue obbligazioni».
A titolo esemplificativo, la clausola risolutiva può aver ad oggetto:
a) il mancato o ritardato pagamento della somma periodica o delle royalty;
b) il mancato o ritardato pagamento del prezzo delle merci fornite dall’affiliato;
c) l’aver realizzato un fatturato inferiore al minimo concordato (sul quale vengono computate le royalty);
d) l’aver fornito un servizio inferiore allo standard concordato;
e) l’aver tenuto comportamenti tali da compromettere, agli occhi dei consumatori, il buon nome commerciale dell’affiliante;
f) l’aver abusato del diritto di utilizzo dei segni distintivi dell’affiliante;
g) il fallimento dell’affiliato (per l’operatività della clausola penale, v. Trib. Milano, 23 novembre 1994).
Il contratto di franchising contiene solitamente la disciplina degli effetti dell’estinzione, introducendo apposite clausole. Il contenuto di queste ultime può contenere le seguenti statuizioni, in relazione al concreto regolamento di interessi perseguito da ciascun contratto di franchising:
a) l’affiliato deve cessare immediatamente l’utilizzo dell’insegna e del marchio dell’affiliante, nonché l’uso del know how; questa disposizione può essere rafforzata dalla contestuale previsione di una penale, a carico dell’affiliato, commisurata alla durata dell’utilizzo abusivo;
b) l’affiliato è obbligato a mantenere segreto il know how, restituendo, se del caso, manuali d’uso ed altra documentazione a suo tempo fornitagli dall’affiliante;
c) è contemplato un divieto di concorrenza, tramite il quale l’affiliato deve astenersi dal praticare un’attività concorrente a quella dell’affiliante per un determinato periodo di tempo. Il codice civile detta i limiti di validità dei patti di non concorrenza.
Infatti, secondo l’art. 2596 c.c., l’accordo volto a limitare la concorrenza deve rispondere ai seguenti requisiti: deve essere provato per iscritto; deve essere circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività; non può essere superiore a cinque anni; se la durata del patto non è determinata o è stabilita in misura maggiore dei cinque anni, il patto è valido per cinque anni. Vi è incertezza, peraltro, circa l’applicabilità dei suddetti limiti al patto di non concorrenza previsto in un contratto di franchising; quello che sembra ceno, comunque, è che nel caso in cui nel contratto sia presente una clausola di non concorrenza, è necessario, per la validità del patto, riconoscere all’affiliato un compenso in relazione all’obbligo di astenersi dal praticare l’attività (indennità di clientela) (questa clausola di non concorrenza è aggiuntiva e diversa dalla clausola di esclusiva sopra descritta, in quanto destinata ad avere effetto successivamente allo spirare del termine contrattuale);
d) relativamente al franchising di distribuzione, il problema delle scorte di prodotti, giacenti presso l’affiliato alla data di estinzione del contratto, può essere risolto nei modi seguenti: d1) l’affiliato conserva il diritto di vendere i prodotti dell’affiliante per il periodo intercorrente tra la richiesta di risoluzione del contratto e la risoluzione; d2) l’affiliante si riserva il diritto di annullare gli ordini ricevuti dall’affiliato e quest’ultimo può vendere la merce comunque già consegnata e in giacenza; d3) l’affiliato ha l’obbligo di rivendere i prodotti all’affiliante; d4) l’affiliante si impegna a ritirare una data quantità di prodotti (solitamente una data percentuale), l’eventuale eccedenza rispetto alla giacenza si considera acquistata dall’affiliato. Sono possibili anche combinazioni tra le soluzioni sopra indicate. Infine, può espressamente previsto che l’affiliato non ha diritto ad alcun compenso a titolo di perdita dell’avviamento, al quale, in ogni caso, l’affiliato espressamente rinuncia.
Modello Contratto di Franchising
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di franchising in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di franchising può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.