In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di leasing e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto da scaricare.
Definizione del contratto di leasing e sue caratteristiche generali
Il leasing è un contratto ignoto al codice civile. Ciò nonostante il successo tributatogli dal mondo degli affari ed il consolidamento che di esso si è avuto nella prassi commerciale hanno dato vita non solo ad una contrattualistica pressoché standard a livello nazionale ed internazionale, ma anche ad ampie raccolte di usi sul contratto di leasing ad opera delle Camere di Commercio.
Di tale contratto si trova comunque riscontro anche in alcuni testi normativi quali, inter alia, la l. 14 luglio 1993, n. 259 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale, fatta a Ottawa il 28 maggio 1988) e l’art. 17 l. 2 maggio 1976, n. 183 (relativa ad interventi straordinari nel Mezzogiorno) il quale definisce locazione finanziaria quelle «operazioni di [1] locazione di beni mobili e immobili, [2] acquistati o fatti costruire dal locatore su scelta ed indicazione del conduttore [3] che ne assume tutti i rischi e con [4] facoltà di quest’ultimo di diventare proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito».
Sebbene incapace di illustrare la complessità e varietà del fenomeno, la norma appena richiamata sintetizza con ragionevole precisione gli elementi caratteristici del contratto di leasing e offre lo spunto per elencarli e per mostrare la sequenza degli eventi che usualmente precede la stipula del contratto de quo:
a) innanzitutto i partecipanti all’operazione economica in esame sono tre: il lessor (contraente che concede il bene in leasing e definito pertanto concedente), il lessee (contraente che utilizza il bene concessogli in leasing e definito pertanto utilizzatore) ed il terzo partecipante al quale è richiesto di fornire il bene oggetto del contratto (che è definito pertanto fornitore);
b) l’utilizzatore propone al concedente, su moduli da quest’ultimo predisposti, la stipula di un contratto di leasing avente ad oggetto un bene — mobile o immobile — prescelto dal primo;
c) con l’accettazione della proposta è stipulato tra le due parti un contratto di leasing che dispone altresì per il successivo coinvolgimento del fornitore del bene, soggetto parimenti scelto dall’utilizzatore;
d) il concedente stipula con il fornitore, dietro istruzioni dell’utilizzatore, un contratto di acquisto o di appalto del bene che verrà poi consegnato all’utilizzatore medesimo.
Il contenuto del contratto, a propria volta, mostra alcune costanti che concorrono a definirne lo schema socialmente tipico:
i) la durata del leasing è pari o inferiore alla vita tecnologica del bene che ne è oggetto;
ii) il concedente si obbliga nei confronti dell’utilizzatore a porre questi nella materiale condizione di godere del bene;
iii) l’utilizzatore si obbliga nei confronti del concedente al pagamento di un canone periodico (spesso anticipandone una c.d. macrorata) il cui ammontare è calcolato in modo tale da coprire il costo del bene e da remunerare il concedente dell’investimento di denaro e delle spese sostenute per la stipula e per la gestione del contratto;
iv) l’utilizzatore si assume tutti i rischi relativi al bene e tutti gli obblighi di manutenzione, potendo esercitare, peraltro, per patto espresso con il concedente, tutte le azioni a difesa dei propri diritti verso il fornitore e verso i terzi;
v) al termine del leasing l’utilizzatore avrà facoltà di scegliere tra optare per l’acquisto del bene mediante il pagamento di una determinata somma di denaro (il prezzo di riscatto), chiedere che il godimento del bene sia a lui “rifinanziato” per un ulteriore periodo di tempo, restituire il bene al concedente .
Accordi standard per una operazione di leasing sono altresì quelli che vietano all’utilizzatore di cedere il contratto o di sublocare il bene a terzi, quelli che prevedono l’apposizione su macchinari utensili di «un contrassegno recante l’indicazione del nome del venditore o locatore, del tipo di macchina, del numero di matricola della stessa, dell’anno di fabbricazione e del tribunale nella cui circoscrizione viene stipulato il contratto [di compravendita con riserva di proprietà o di locazione con patto di opzione]» (art. 1 l. 28 novembre 1965, n. 1329), di pagare i premi di una assicurazione sul bene e sui danni che dall’uso del medesimo possano derivare a terzi, quelli che si sostanziano in clausole penali o risolutive espresse a fronte di inadempimenti dell’utilizzatore al regolamento contrattuale.
È usuale definire il contratto di leasing in relazione ad alcune caratteristiche contingenti quali il bene dedotto come oggetto (bene immobile, bene mobile, titoli azionari), la struttura del contratto (sale and frase back; leasing adossè) il soggetto utilizzatore (leasing pubblico e leasing “al consumo”); a quest’ultimo proposito si noti che — ferme rimanendo le osservazioni circa le ragioni che fanno del leasing un contratto d’impresa) — ove il soggetto utilizzatore sia una «persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta», ovvero sia un consumatore, troveranno applicazione:
a) le norme del Codice del Consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del consumo) con particolare riferimento all’art. 42 secondo il quale «nei casi di inadempimento del fornitore di beni o servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore»;
b) le norme del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993, n. 385 (EU. bancario), relativamente ai doveri di trasparenza del contratto di finanziamento di cui al Capo H, Titolo VI dedicate, appunto, al “Credito al Consumo”; vale qui rammentare che ai sensi dell’art. 125, comma 1, del citato Testo Unico <de norme dettate dall’art. 1525 c.c. si applicano anche a tutti i contratti di credito al consumo a fronte dei quali sia stato concesso un diritto reale di garanzia sul bene acquistato con il denaro ricevuto in prestito».
Non sembra possibile, invece, ricondurre allo schema in esame il contratto definito leasing “operativo” (o renting). Diversamente dal leasing finanziario, il leasing operativo mostra una struttura negoziale bilaterale: il concedente, infatti, è anche il proprietario del bene che lo concede all’utilizzatore in godimento per un corrispettivo periodico rapportato al valore d’uso — o, rette: “di consumazione” — del bene medesimo ed ai servizi accessori cui il concedente stesso si impegna a fornire (es. assistenza tecnica ed interventi di manutenzione). Oggetto del godimento è generalmente un bene standard a rapida obsolescenza e strumentale all’attività di impresa dell’utilizzatore.
Il concedente si assume i rischi di malfunzionamento e perimento del bene con impegno quindi a sostituirlo e/o ripararlo all’occorrenza; raramente nel caso di leasing operativo è previsto il diritto di opzione in favore dell’utilizzatore. Mancando la “trilateralità” che caratterizza il leasing finanziario e quindi mancando il soggetto che finanzia l’acquisto del bene interponendosi tra l’utilizzatore ed il concedente e mancando altresì il patto di opzione, al leasing operativo si ritengono massimamente applicabili le norme che (salvo quanto diversamente convenuto tra le parti) il codice civile stabilisce per il contratto di locazione di beni mobili.
Il leasing come contratto d’impresa
Il leasing è stato da molti ricondotto nel novero dei contratti d’impresa. Al di là della effettiva capacità euristica riconducibile a tale concetto, è ceno che la genesi e lo sviluppo del contratto, da un lato, e della normativa che —indirettamente — ha finito per riguardarlo, dall’altro, sembrano giustificare tale suggestiva collocazione.
La stessa definizione — tradotta nel nostro paese con il termine “locazione finanziaria” — già suggerisce che trattasi di un contratto cui è sottesa una funzione di finanziamento. L’utilizzatore è quindi spinto alla stipula di un contratto di leasing dalla necessità di godere di un bene per il quale non può o non vuole provvedere ad un esborso in unica soluzione.
Per questo motivo si rivolge ad un soggetto, il concedente, in grado di mettere a disposizione la provvista di denaro da “dirottare” verso un terzo venditore o costruttore del bene di cui lessee ha bisogno. In forza del contratto di leasing, allora: l’utilizzatore acquisisce subito il godimento del bene riservandosi in un secondo momento — valutatane la vita residua e l’eventuale obsolescenza tecnologica maturata medio tempore — di deciderne l’acquisto senza dover affrontare subito l’impegno finanziario altrimenti richiesto; il fornitore ottiene subito il pagamento del bene; il concedente, ottiene la remunerazione del denaro investito per acquistare il bene e — restandone proprietario fino all’integrale rimborso della somma finanziata (in linea capitale ed accessoria) — gode della garanzia che detto bene offre rispetto all’inadempimento dell’utilizzatore.
Il perché un simile schema sia nato e cresciuto nel mondo delle imprese è presto detto. Il venditore o il costruttore del bene (la cui natura e funzione è spesso “ritagliata” sulle peculiari necessità dell’utilizzatore) è pressoché sempre un professionista del settore; la normativa fiscale “tratta” la quota degli interessi corrisposti dall’utilizzatore sul canone periodico corrisposto al concedente in termini di favore rispetto a quanto accade con gli interessi su somme prese a mutuo; la medesima legislazione, poi, permette al concedente di ammortizzare il bene acquistato su indicazione e nell’interesse dell’utilizzatore.
A ciò si aggiunga che la stipula del contratto di leasing con il molo di concedente è permessa solo a banche di cui all’art. 13 tu. bancario o ad intermediari finanziari iscritti nello speciale albo di cui all’art 106 ss. del medesimo t. u.
La natura giuridica e lo schema negoziale del contratto di leasing
Ampio dibattito si è avuto in dottrina ed in giurisprudenza circa la reale natura giuridica del contratto di leasing.
Secondo una prima tesi nel contratto di leasing sarebbe rinvenibile lo schema della locazione con un patto di opzione per l’acquisto del bene locato. A tale operazione, quindi, sarebbe applicabile massimamente la normativa propria del richiamato contratto tipico. Se nonché alcuni hanno ribattuto che nel contratto di leasing (sia avente durata pari alla vita tecnico-economica del bene che ne è oggetto, sia avente durata inferiore) l’ammontare dei canoni dovuti dal lessee corrisponde al valore economico del bene non al valore d’uso, mentre lo stesso accostamento con la locazione non consente di dare adeguata spiegazione delle caratteristiche del bene oggetto del godimento, ovvero un bene acquistato dal lessor esclusivamente affinché sia dato in leasing all’utilizzatore che lo sceglie in base alla proprie necessità ed al quale è consegnato direttamente dal costruttore o venditore; né peraltro spiega, la ricostruzione qui illustrata, la necessità, per configurarsi il leasing, della presenza di un patto di riacquisto che nel contesto di un contratto di locazione è convenzione del tutto eventuale e marginale.
Secondo un’altra tesi il leasing sarebbe riconducibile al contratto di vendita con riserva della proprietà, dato che, da un lato, l’importo dei canoni e del prezzo dell’opzione corrispondono al valore capitale del bene; dall’altro, il lessee, sebbene giuridicamente libero di non optare per l’acquisto del bene, è di fatto a ciò “costretto” dandosi così luogo ad un risultato in toto assimilabile a quello previsto dal contratto di cui agli artt. 1523 ss. c.c. All’inadempimento del lessee dovrebbero quindi applicarsi (secondo alcuni in via diretta, secondo altri in via analogica) gli artt. 1525 e 1526 c.c. Se nonché, si è obbiettato, le somiglianze tra i due contratti sono solo superficiali: non solo, infatti, l’esercizio di opzione è — sul piano giuridico formale —sempre discrezionale, ma la sua previsione nell’ambito del contratto di leasing ed il suo esercizio in concreto riflettono una sottostante valutazione delle parti circa la gestione del rischio di obsolescenza del bene oggetto di godimento che nel caso della vendita con riservato dominio è posto a carico dell’acquirente, mentre nel leasing è posto a carico del concedente.
Una terza tesi, infine, ha ricostruito il leasing come contratto atipico avente causa di finanziamento. Secondo questa ricostruzione, infatti, il lessee otterrebbe un prestito dal lessor, il quale anticipa in contanti il prezzo di acquisto del bene ottenendone poi dal lessee, anche in forza di una garanzia costituita dall’intestazione della proprietà di quanto concesso in godimento, la restituzione rateale. Prova di ciò sarebbe, da un lato, la tendenziale corrispondenza — voluta dalle parti — tra prezzo di acquisto del bene e ammontare complessivo al cui pagamento il lessee si obbliga (canoni e prezzo di opzione) nei confronti del lessor, dall’altro, il collegamento tra acquisto del bene e concessione del medesimo a titolo di leasing. Inoltre, la ricostruzione del leasing come contratto di finanziamento sarebbe la sola a spiegare il perché di tutte le note clausole aventi ad oggetto la traslazione a carico del “finanziato” del rischio di perimento del bene e delle conseguenze dei vizi e difetti del medesimo. A tale contratto si applicherebbero pertanto le norme del mutuo. A questa ricostruzione si obbietta non solo l’aver esaminato il contratto di leasing in base ad elementi estranei alla struttura ed agli effetti giuridici propri di esso, ma di non aver dato sufficiente importanza all’assenza (se non in un senso meramente figurato) della corresponsione al lessee di una somma di denaro che tale contraente sia chiamato a “restituire” (come accade ai contratti di mutuo e suoi derivati); l’unica somma che corrisposta nell’incipit del contratto è infatti consegnata al terzo fornitore a titolo di prezzo del bene da lui venduto o costruito.
Leasing di godimento e leasing traslativo
Nell’ambito delle teorizzazioni circa la natura del contratto di leasing si è rilevato come esso si collochi in una posizione di terzietà rispetto ai contratti che prevedono lo scambio tra corrispettivo e bene (i.e. valore capitale del bene) e quelli che lo prevedono tra corrispettivo e godimento del bene (i.e. valore d’uso del bene); in altro senso poi, tale contratto si porrebbe in posizione di terzietà anche alla luce della teoria tradizionale dei beni, che suddivide questi in cose consumabili (in un unico atto) e cose inconsumabili (e quindi tendenzialmente durature). Da ciò ne discenderebbe che l’individuazione della natura del contratto di leasing — e, quindi, delle norme ad esso applicabili — debba muovere dall’analisi dell’oggetto dello scambio operato dalle parti. In particolare, occorrerebbe aver riguardo alla volontà delle parti di far corrispondere la durata del contratto con il periodo di obsolescenza del bene, ovvero al modo in cui la “vita” tecnico-economica del bene è dedotta nell’ambito della regolamentazione pattizia.
Si è osservato in questo senso che allorché il bene oggetto del contratto di leasing sia concesso all’utilizzatore per un periodo tendenzialmente pari alla presumibile durata tecnico-economica dello stesso, l’utilizzazione di tale bene si traduce in una progressiva ed integrale “consumazione” del medesimo, apprezzabile — più che sotto il lato “fisico” — sotto quello della sua “attualità” tecnologica. In questi casi, in altri termini, al lessee assicurato il diritto di godere del bene e di consumarne progressivamente il valore fino al suo sostanziale esaurimento. Quello che ne nasce assume i connotati del rapporto di durata e precisamente ad esecuzione continuata; duraturo è infatti l’interesse dell’utilizzatore al godimento del bene fatto acquistare al concedente. La rapida obsolescenza del bene (e comunque la corrispondenza tra contratto di leasing e periodo di “vita economica” del bene) si riflettono nell’ammontare — molto basso — del corrispettivo del diritto di opzione, nonché dello scarso interesse che a quel bene permane in capo al concedente.
Peraltro, come rileva attenta dottrina, il leasing ha assunto molteplici fogge, tante quante possono essere assunte dagli interessi coinvolti dalle parti del contratto. Ecco allora che nell’analisi dell’operazione in commento occorre «accertare in concreto, sulla base della natura del bene e del suo presumibile valore residuale, della durata del rapporto, dell’entità dei canoni, della misura del prezzo di opzione e di ogni altro dato utile, quale sia l’effettivo oggetto del rapporto, e in particolare stabilire se tali elementi evidenzino la presenza di uno scambio del valore capitale, del valore d’uso, oppure del “valore di consumazione”».
Dei possibili schemi negoziali che le parti possono adottare due possono sintetizzarsi come segue
A) il contratto ha ad oggetto un bene a rapida obsolescenza tecnologica (ad es. uno strumento da inserire nel processo produttivo dell’utilizzatore) che è concesso in godimento per un periodo pari alla presumibile vita tecnico-economica dello stesso e con la previsione del diritto di acquistarlo da parte dell’utilizzatore per un corrispettivo estremamente limitato, pari cioè al valore residuo di tale bene. L’oggetto dello scambio è qui il “valore di consumazione” del bene che fa del leasing così strutturato un contratto di durata non assimilabile alla locazione attesa la restante regolamentazione contrattuale in tema di traslazione dei rischi circa la sorte della cosa e della presenza in essa di vizi e difetti.
Si ritiene che l’analisi dell’interprete debba orientarsi qui in favore di un contratto innominato di durata al quale applicare in via analogica quelle norme che presentino la stessa ratio e siano compatibili con la causa del contratto, in primis quelle corrispondenti ai tipi della vendita e della locazione. Il contratto in esame è noto in giurisprudenza come leasing di godimento.
B) il contratto ha ad oggetto un bene a lenta obsolescenza tecnologica ed ha durata non commisurata alla vita economica del medesimo; il prezzo al quale può essere esercitato il diritto di opzione di acquisto da parte del les-see è molto basso (altrimenti, si suggerisce in dottrina, il contratto potrebbe in effetti essere accostato alla locazione con patto di acquisto). Sotto il profilo economico lo scambio che le parti intendono realizzare è del tipo «corrispettivo contro valore capitale del bene»; essendo infatti il corrispettivo di opzione molto basso è difficile non concludere nel senso di associare i canoni periodici corrisposti dal lessee al lessor in costanza di godimento del bene a rate di prezzo pari al valore capitale del bene medesimo. L’esercizio del diritto di opzione, poi, benché formalmente facoltativo, sarà nella realtà dei fatti evento da ritenersi “certo”. Non per questo però la dottrina qualifica l’operazione come vendita con riservato dominio o come locazione con patto di acquisto e ciò per i motivi illustrati al par. 3 che precede; le caratteristiche sopra rilevate piuttosto sospingono l’interprete a qualificare l’operazione come contratto innominato di durata collegato ad un’operazione di acquisto al quale debbono applicarsi in via diretta o comunque analogica le norme quali l’art. 1526, comma 3, c.c. Il contratto in esame è noto in giurisprudenza come leasing traslativo (su questi profili si veda Cass., 28 agosto 2007, n. 18195; Cass., 14 novembre 2006, n. 24214; Cass., 7 luglio 2001, n. 1715).
Obbligazione di pagamento dei canoni periodici e risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore
L’obbligazione principale che l’utilizzatore del bene assume nei confronti del concedente è quella di corrispondere a questi un canone periodico normalmente commisurato al costo di acquisto maggiorato delle spese amministrative, al costo del denaro ed al margine di utile dell’impresa finanziaria.
Orbene, è prassi consolidata quella di includere nei contratti di leasing clausole risolutive espresse che dispongono la risoluzione del contratto a fronte dell’inadempimento dell’utilizzatore anche di una sola rata di canone; ne consegue generalmente che, verificatosi tale inadempimento, al lessor è consentito:
i) dichiarare il contratto di leasing risolto per colpa dell’utilizzatore del bene;
ii) recuperare il bene de quo (di cui del resto è proprietario) dal lesser,
iii) acquisire i ratei di canone già corrisposti;
iv) instare per il pagamento della penale per l’inadempimento — sempre prevista nel contratto — di ammontare pari alla differenza tra la somma attualizzata dei canoni a tale data ancora non scaduti ed il prezzo di realizzo del bene sul mercato.
Posizioni assai discordi si sono verificate in ordine alla valutazione circa l’equità di simili pattuizioni e del rischio che il concedente ottenga dall’inadempimento dell’utilizzatore un corrispettivo economico maggiore di quanto avrebbe avuto titolo di ricevere (ed avrebbe infatti ricevuto) ove il contratto fosse stato correttamente eseguito.
Se nessun problema si pone in questi casi in ordine all’obbligo di restituzione del bene avuto in leasing, lo stesso non può dirsi in relazione alla validità delle clausole che prevedono la risoluzione per mancato pagamento anche di una sola rata di canone, il diritto di trattenere i canoni riscossi e il diritto di esigere la penale. La validità di tali clausole è stata messa in discussione, principalmente sotto il profilo dell’indebito arricchimento potenzialmente realizzabile dal concedente.
La soluzione del problema è stata individuata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione attraverso la distinzione tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo”; in questo senso è stato deciso:
a) che alla risoluzione del leasing “di godimento” si applichi l’art. 1458, comma 1, c.c. dettata per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, in base alla quale <d’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite»: la società concedente, pertanto, non sarà tenuta a restituire i canoni già riscossi (Cass., 3 settembre 2003, n. 12823);
b) che alla risoluzione del leasing “traslativo” si applichi la disciplina prevista per la vendita con riserva della proprietà ed in particolare l’art. 1526 c.c., in base al quale la società concedente dovrà restituire al lessee i canoni da questi corrisposti, avrà diritto di recuperare il bene alla propria libera disponibilità ed avrà diritto di ricevere dal lessee un equo compenso a fronte dell’uso del bene fatto durante il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione; l’equo compenso comprenderà la remunerazione del godimento del bene ed il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo ed al logoramento fisico, ma non il mancato guadagno da parte del concedente e ciò perché la restituzione anticipata del bene e l’integrazione del suo valore si traducono in un possibile utile per il concedente che deve essere detratto dalla somma che l’utilizzatore avrebbe ancora dovuto in caso di adempimento del contratto (Cass., 2 marzo 2007, n. 4969; Cass., 13 gennaio 2005, n. 574; Cass., 24 giugno 2002, n. 9161).
Per ciò che concerne il risarcimento del danno spettante al concedente, ferma restando la legittimità della determinazione di esso per mezzo di una clausola penale (soggetta, comunque, al controllo di non manifesta eccessività da parte del giudice, ex art. 1384 c.c., v. Cass., 28 agosto 2007, n. 18195), la Cassazione, con particolare riferimento al leasing traslativo, ha altresì statuito:
i) l’esclusione del cumulo in favore del concedente della restituzione del bene e del pagamento della penale, sino a superare, insieme, l’utilità che la regolare esecuzione del contratto avrebbe comportato per tale contraente (Cass., 23 gennaio 2008, n. 196);
ii) l’esclusione della possibilità che nel risarcimento del danno possa essere compreso il valore dell’opzione pattuito nel caso di acquisto del bene, valore al cui pagamento l’utilizzatore è tenuto solo nell’ipotesi in cui tale acquisto avvenga, ipotesi che costituisce per lui una facoltà e non un obbligo (Cass., 24 giugno 2002, n. 9161; per questi profili si veda altresì Cass., 29 marzo 2004, n. 6188; Cass., 28 novembre 2003, n. 18229; Cass., 3 maggio 2002, n. 6369; Cass., 4 agosto 2000, n. 10265; Cass., 14 aprile 2000, n. 4855; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2069; Cass., 18 novembre 1998, n. 11614; Cass., 17 dicembre 1997, n. 12790; Cass., 4 luglio 1997, n. 6034; Cass., 19 ottobre 1994, n. 8520; Cass., 22 marzo 1994, n. 2743; Cass., 7 gennaio 1993, n. 65; Cass., 13 dicembre 1989, n. 5569).
Altre obbligazioni a carico dell’utilizzatore.
La responsabilità per danni a terzi
Oltre al periodico pagamento dei canoni di leasing, il lessee è tenuto a ricevere il bene, ad usarlo in modo diligente ed a curarne la manutenzione ordinaria e straordinaria. E’ altresì prassi contrattuale ricevuta, quella di porre a carico dell’utilizzatore l’obbligazione di assicurare a proprie spese il bene oggetto del contratto; qualora si verifichi l’evento assicurato a carico del bene, la somma prevista a titolo risarcitorio e/o indennitario spetterà all’utilizzatore che del resto non è liberato dal pagamento dei canoni periodici ancora non scaduti. Parimenti, in tutti i casi in cui il bene è distrutto o danneggiato ad opera di terzi si ritiene che spetti all’utilizzatore il diritto di chiedere il risarcimento all’autore del fatto dannoso.
L’utilizzatore è responsabile dei danni che la cosa (o l’uso fatto di essa) possa arrecare a terzi durante il periodo contrattuale di godimento (responsabilità per le cose in custodia, art. 2051 c.c.; responsabilità dei danni derivati dalla rovina dell’immobile, art. 2053 c.c.). Per il caso specifico del leasing di autoveicoli, l’art. 91, comma 2, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo Codice della strada), prevede che «ai fini del risarcimento dei danni prodotti a persone o cose dalla circolazione dei veicoli, il locatario è responsabile in solido con il conducente ai sensi dell’art. 2054, comma 3, c.c.». Ai sensi dell’art. 196, comma 1, del richiamato decreto legislativo, poi, «per le violazioni punibili con la sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio o l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà».
In relazione alla prevenzione degli infortuni sul lavoro il legislatore è intervenuto più volte. In un primo momento l’art. 7 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, come “autenticamente interpretato” dall’articolo unico della l. 2 maggio 1983, n. 178, vietava «[1] [….] la costruzione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e di apparecchi in genere, destinati al mercato interno, nonché la installazione di impianti, che non siano rispondenti alle norme del decreto stesso. [2] Ai fini del comma precedente il contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto i beni ivi indicati non costituisce vendita, noleggio o concessione in uso. Successivamente il quadro normativo è cambiato.
Con l’art. 6, comma 2, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 («Attuazione delle direttive […] riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro») stabilisce che «sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza.
Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a forme di certificazione o omologazione obbligatoria è tenuto a che gli stessi siano accompagnati dalle previste certificazioni o dagli altri documenti previsti dalla legge». Normativa assimilabile a questa appena riportata la si può rinvenire all’art. 23 del recente d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
La concessione del godimento in leasing di un bene strumentale alla prestazione di lavoro, in sostanza, in quanto non più escluso dal novero della «vendita, noleggio o concessione in uso», è oggi assoggettato a standard di sicurezza la cui violazione è sanzionata da norme penali.
La traslazione a carico dell’utilizzatore del rischi relativi al bene concesso in godimento
I contratti di leasing mostrano senza eccezione alcune clausole tese a porre a carico del lessee, ogni evento sfavorevole relativo al bene: (A) sia gli eventi associati alla presenza di vizi nel bene; (B) sia gli eventi di perimento.
(A) Vizio è un qualsiasi difetto o imperfezione che possa compromettere, in misura maggiore o minore, la funzionalità e, quindi, l’utilizzo del bene.
Le clausole di esclusione della responsabilità del concedente per i vizi che affettano il bene sono ritenute valide dalla dottrina e della giurisprudenza prevalenti; del resto, si osserva, è l’utilizzatore a prendere contatti con il fornitore, a valutare le caratteristiche del bene, a stabilirne le condizioni di acquisto. Tale acquisto, infatti, avviene da parte del concedente nell’interesse esclusivo e su indicazioni dell’utilizzatore. Ciò che si ritiene sottostare alle clausole di esonero in questione è la necessità di mantenere i rischi del lessor entro la sfera propria di una operazione di finanziamento, quale quella che si persegue mediante il contratto in esame. È stato stabilito in questo senso che «l’acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del bene da parte del concedente, il quale non assume indirettamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione» (Cass., 16 maggio 1997, n. 4367; Cass., 11 luglio 1995, n. 7595); ciò significa che «l’utilizzatore non può opporre al concedente l’eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell’art. 1460 c.c., per rifiutare di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti del concedente» (Cass., 1 ottobre 2004, n. 19657).
La posizione dell’utilizzatore è tutelata dalla presenza di clausole che attribuiscono a quest’ultimo la facoltà di rivolgersi, per la sostituzione del bene (o il risarcimento del danno) direttamente al fornitore; tale azione diretta, d’altra parte, deve essere riconosciuta all’utilizzatore anche in assenza di apposite clausole contrattuali. In altre parole, le garanzie che il venditore (nel nostro caso il fornitore) è tenuto a dare all’acquirente (nel nostro caso la società di leasing) vengono attribuite all’utilizzatore (estraneo alla compravendita tra fornitore e concedente) perché con il contratto di leasing « l’utilizzatore, nell’ambito dello schema del mandato senza rappresentanza, si appropria degli effetti del rapporto gestorio instaurato dal concedente» (Cass., 2 ottobre 1998, n. 9785). Diversamente si opina in ordine all’azione di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del fornitore, azione che è esperibile dal lessee solo in presenza di clausole contrattuali che espressamente lo prevedano (Cass., 27 luglio 2006, n. 17145); qualora tale azione sia disponibile al lessee e sia da questi esercitata, si ritiene che al processo debba essere chiamato a partecipare obbligatoriamente anche il concedente (Cass., 12 marzo 2004, n. 5125; Cass., 26 gennaio 2000, n. 854).
(B) Alla scadenza del contratto di leasing, ove l’utilizzatore non opti per l’acquisto o non chieda il rifinanziamento del godimento, il bene dovrà essere restituito al concedente, nello stato di fatto in cui si trova. Di norma peraltro il contratto di leasing addossa all’utilizzatore il rischio per la distruzione o la perdita del bene (ad es. furto), così come il rischio che la cosa sia danneggiata da terzi. La prassi mostra che possano darsi due alternative: in un primo caso, si prevede che il rapporto di leasing prosegua e spetti all’utilizzatore rimpiazzare il bene perito o sottratto (ovvero riparare il bene danneggiato); in un secondo caso si prevede che il contratto di leasing si risolva in conseguenza del perimento del bene e che l’utilizzatore sia tenuto al pagamento dei canoni in scadenza.
La giurisprudenza ritiene valide queste pattuizioni le quali non sarebbero nemmeno eccessivamente onerose ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c. (Cass., 3 maggio 2002, n. 6369, secondo la quale la clausola in questione si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile, in via analogica, dall’art. 1523 c.c. sulla vendita con riservato dominio; Cass., 11 febbraio 1997, n. 1266); la dottrina approva queste decisioni anche alla luce del fatto che, pressoché senza eccezioni, il bene risulta per patto espresso assicurato per il suo intero valore.
Obbligazioni a carico del concedente
Sull’impresa concedente grava, massimamente, l’obbligo di porre il lessee nella condizione di godere del bene oggetto dell’operazione e l’obbligo di garantirlo dalle molestie di diritto da chiunque siano attuate. Il concedente è quindi, in primo luogo, obbligato a stipulare il contratto di acquisto con il fornitore. Infatti «non assumendo il fornitore alcun impegno diretto nei confronti o a favore dell’utilizzatore, l’acquisto del bene rappresenta non solo un atto giuridico strumentale alla concessione in godimento, ma anche un evento che deve logicamente precedere l’attribuzione all’utilizzatore della detenzione autonoma qualificata della cosa, che deve necessariamente provenire dal concedente proprietario perché si perfezioni il contratto di leasing» (Cass., 20 luglio 2007, n. 16158).
Qualora pertanto la società di leasing, in violazione della sua obbligazione, non acquisti dal fornitore il bene che ha concesso in godimento all’utilizzatore, quest’ultimo potrà agire contro di essa per ottenere il risarcimento dei danni.
Nel caso il cui il bene (mobile) consegnato al lessee sia stato venduto al concedente da un soggetto che non è proprietario, lo stato di buona fede al momento della consegna, rilevate ai fini dell’acquisto della proprietà ai sensi dell’art. 1153 c.c., deve essere valutato con riferimento al soggetto acquirente e concedente in leasing e non dell’utilizzatore, atteso che, nel contratto di leasing finanziario, la consegna del bene che il fornitore esegue nei confronti dell’utilizzatore, in adempimento dell’obbligazione assunta direttamente con il concedente, deve intendersi eseguita ad un adiectus solutionis causa dell’acquirente della cosa e non ad un suo rappresentante (Cass., 5 agosto 2002, n. 11719).
Diversamente da quanto si ritiene in relazione alla stipula del contratto di acquisto del bene, la consegna di quest’ultimo costituisce ad un tempo l’adempimento di una obbligazione propria del fornitore e l’esecuzione da parte di quest’ultimo di un incarico conferitogli dal concedente nell’interesse dell’utilizzatore (Cass., 20 luglio 2007, n. 16158).
La prassi contrattuale mostra che l’impresa concedente non è obbligata a consegnare il bene all’utilizzatore quanto piuttosto a far sì che il contratto di compravendita e/o di appalto riporti i termini ai quali tale consegna debba essere eseguita dal venditore o appaltatore; e ciò secondo tempi e modalità concordati tra il fornitore del bene e l’utilizzatore, coerentemente, del resto, con l’iter formativo del contratto, che vede l’utilizzatore assumere l’iniziativa, scegliendo sia il bene che il soggetto destinato a fornirlo.
La giurisprudenza dal canto proprio ha stabilito che «qualora l’utilizzatore prescelga, oltre al bene, anche il fornitore e ove sia stabilito che il “fornitore” consegnerà il bene direttamente all’utilizzatore, l’operazione si svolge nel senso in cui l’acquisto, ad opera del concedente, va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione — quale elemento naturale del negozio — dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume — pertanto — neppure indirettamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione.
Da ciò consegue che un’eventuale esplicita clausola — inserita nel contratto di leasing – di esonero del concedente da responsabilità per inadempimento del fornitore (ivi compresa quella per mancata consegna) non presenti tecnicamente la funzione di determinare e convenire un esonero da responsabilità, e quindi non si presti alla applicazione della disciplina di cui all’art. 1229 c.c.» (Cass., 30 giugno 1998, n. 6412); quanto sopra si giustificherebbe in quanto nel caso del leasing finanziario «può considerarsi gravare sul concedente solo un’obbligazione di determinare in capo al fornitore l’obbligo di consegnare all’utilizzatore, assumendo il fornitore nel caso il ruolo di ausiliario dell’utilizzatore e non del concedente» (Cass., 21 giugno 1993, n. 6862). In caso di mancata consegna del bene, l’utilizzatore non potrà quindi legittimamente sospendere il pagamento dei canoni (Cass., 2 agosto 2004, n. 14786; Cass., 5 luglio 2004, n. 12279; Cass., 25 maggio 2004, n. 10032; Cass., 17 maggio 1991, n. 5571).
Devesi comunque rilevare che altre decisioni si muovono in senso opposto da quello appena illustrato; si è infatti deciso che «l’inadempimento del fornitore, consistente nella mancata consegna del bene, rapportato contratto di leasing, per il concedente costituisce incolpevole impossibilità sopravvenuta di adempiere e per l’utilizzatore — nonostante ogni eventuale contraria clausola contrattuale, da ritenere invalida se esistente — esclude l’obbligo di corrispondere quanto sarebbe stato suo debito ove avesse goduto del bene» (Cass., 2 novembre 1998, n. 10926; Cass., 8 marzo 2005, n. 5003; Cass., 12 ottobre 2007, n. 20592).
La questione in tema di consegna del bene, come si può osservare, è assai articolata. La giurisprudenza ha altresì ritenuto sussistere, a carico del concedente e dell’utilizzatore, un onere di collaborazione, ex art. 1375 c.c., di talché, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la cosa direttamente all’utilizzatore, ed il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l’utilizzatore la riceva, il concedente che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell’adempiere, deve fare in modo di salvaguardare l’interesse dell’utilizzatore all’esatto adempimento, mentre l’utilizzatore è, dal canto proprio, gravato, nei confronti del concedente, dell’onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo tale che non ne risulti sacrificato l’interesse che anche il concedente ha all’esatto adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla reciproca cooperazione (Cass., 6 giugno 2002, n. 8222).
Se, quindi, l’utilizzatore sottoscrive senza riserve il verbale di consegna da parte del fornitore anche se tale consegna sia mancata, parziale o viziata, ponendo quindi il concedente nella condizione di dover adempiere alla propria obbligazione verso il fornitore, non potrà poi opporre al concedente l’eccezione di inadempimento al fine di sospendere il pagamento dei canoni (Cass., 2 agosto 2004, n. 14786).
Il concedente è generalmente tenuto a garantire l’utilizzatore contro eventuali molestie di diritto poste in essere da terzi (soggetti estranei al contratto). Molestia di diritto significa la pretesa del terzo di vantare un diritto sulla cosa oggetto del contratto. Ad esempio, si ha molestia di diritto qualora un terzo sostenga che il bene concesso in godimento gli appartenga; oppure sostenga di avere acquisito il diritto di godere del bene.
Si ritiene che la garanzia in parola operi anche se non espressamente prevista dalle parti le quali, peraltro, possono validamente convenire di escluderla (Cass., 17 maggio 1991, n. 5571).
La forma del contratto di leasing
La riconduzione dell’attività di leasing nel novero di quelle soggette alla regolamentazione disposta dal tu. bancario si riflette sull’applicabilità al relativo contratto delle disposizioni in tema di «trasparenza delle condizioni negoziali» di cui al Titolo VI del richiamato testo normativo.
Ne consegue in questo senso che il contratto di leasing dovrà essere stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 117 tu. bancario, cit.). Più generalmente poi se il regolamento negoziale è contenuto in una scrittura predisposta dall’impresa di leasing, troveranno applicazione gli artt. 1341 e 1342 c.c. in tema di condizioni generali di contratto e di conclusione del contratto mediante moduli e formulari.
Se, infine, ha durata eccedente nove anni e riguarda il godimento di un bene immobile il contratto di leasing potrà essere trascritto nei registri immobiliari.
Tipologie di contratto di leasing
Il contratto di leasing si è rivelato uno strumento estremamente flessibile, sì da dar vita, pur all’interno di una categoria generale disciplinata dai principi sopra esaminati, a particolari tipi di locazione finanziaria. Tra le molteplici realtà che la prassi ha elaborato merita soffermarsi su tre di esse e precisamente sul leasing immobiliare, sul sale and lease back e sul leasing adossé.
Il leasing Immobiliare
Si definisce leasing immobiliare quel contratto in forza del quale la società concedente mette a disposizione dell’utilizzatore un determinato edificio generalmente da adibire ad attività industriali, commerciali o terziarie, dietro corresponsione di un canone periodico; anche in questo caso è prevista la possibilità per l’utilizzatore di acquisire la proprietà del bene al termine del contratto mediante l’esercizio di un patto di opzione.
Oltre che per il bene oggetto del godimento da parte del lesse; il contratto di leasing immobiliare si differenzia da quello mobiliare in quanto ha generalmente una durata maggiore la quale è calcolata senza alcun riferimento alla vita economica del bene (vista la scarsa o nulla obsolescenza degli immobili), ma piuttosto in forza di criteri finanziari connessi al costo complessivo dell’investimento; il canone di leasing è soggetto a revisioni periodiche (in relazione alla durata del contratto) per adeguarlo al tasso di svalutazione del denaro; il prezzo di opzione, tiene conto del valore di mercato del bene al termine del contratto ed è significativamente maggiore di quello che si rileva nella prassi relativa al leasing mobiliare. Clausole di esonero del concedente dalla responsabilità associata alla proprietà del bene (es. art. 2053 c.c.) ed ai vizi presenti sul medesimo saranno presenti senza eccezione alcuna anche in questa tipologia contrattuale.
Gli immobili oggetto del contratto possono essere già costruiti al momento della stipulazione oppure ancora da costruire.
Nel primo caso la procedura per la conclusione del contratto non si discosta da quella ormai nota: il bene, individuato dall’utilizzatore, viene acquistato dall’impresa concedente che provvede a metterlo nella disponibilità del cliente. Di norma, l’acquisto da parte del lessor sarà preceduto da intese tra utilizzatore e proprietario (fornitore) dell’immobile, intese che verranno consacrate in un contratto preliminare stipulato per persona da nominare (art. 1401 c.c., laddove il nominato sarà la società di leasing che deve acquistare il bene) o con clausola che preveda la cessione del contratto preliminare (art. 1406 c.c.; il contratto preliminare verrà ceduto alla società di leasing che provvederà alla stipula del contratto definitivo). Successivamente alla stipulazione del contratto preliminare di acquisto del bene si apre la fase istruttoria che condurrà, se positivamente conclusa, alla sottoscrizione del contratto di leasing in questa fase la società concedente investigherà per mezzo di propri incaricati ed esperti la consistenza, il valore, la libertà del bene da vincoli, oneri, privilegi di ogni natura, la libertà del bene da occupanti, la conformità di esso con le normative urbanistiche e di sicurezza impiantistica; accertamenti verranno fatti anche sulla solidità patrimoniale e finanziaria sia del futuro utilizzatore che del promittente la vendita.
La negoziazione dei termini del contratto di leasing (nei pur angusti limiti in cui ciò è concesso) e la relativa stipulazione, in uno con l’acquisto del bene da parte della società concedente, seguirà il positivo risultato dell’istruttoria sopra delineata.
Nel caso di immobili ancora da costruire, l’utilizzatore sceglierà l’area edificabile e stipulerà con il proprietario del suolo un contratto preliminare nei termini sopra illustrati; in esito ad una fase istruttoria assimilabile, mutatis mutandis, a quella sopra delineata per gli immobili già costruiti, seguirà l’acquisto dell’area da parte della società di leasing che, dopo aver concordato con l’utilizzatore il progetto dell’edificio, si procurerà la concessione edilizia e stipulerà un contratto di appalto con un costruttore.
L’edificio ultimato sarà collaudato congiuntamente dall’utilizzatore e dal concedente e, superato positivamente il collaudo, verrà da quest’ultimo consegnato in godimento all’utilizzatore per la durata del contratto.
Ai fini della disciplina applicabile in caso di risoluzione per inadempimento, il leasing immobiliare si ritiene configuri un leasing di tipo “traslativo”, con conseguente applicabilità delle norme sulla vendita con patto di riservato dominio (sopra par. 4).
Il contratto di sale and lease back
Il sale and lease back (leasing “di ritorno”) è una figura contrattuale nella quale il ruolo del fornitore del bene è svolto dall’impresa che ne sarà utilizzatrice. In questo tipo di leasing l’impresa proprietaria del bene (generalmente un immobile strumentale alla propria attività) lo trasferisce alla società di leasing la quale glielo concede in godimento dietro la corresponsione di un canone periodico. In sostanza, il proprietario stipula con la società concedente due contratti aventi ad oggetto il medesimo bene: il primo di essi è una compravendita, il secondo, contemporaneo al primo, è il contratto di leasing. AI termine del contratto di leasing il lessee potrà, come noto, scegliere tra la restituzione del bene, la rinnovazione del contratto o il riscatto del bene, attraverso l’esercizio dell’opzione di acquisto.
II contratto di lease back ha una chiara connotazione finanziaria: l’utilizzatore non persegue direttamente lo scopo di acquisire la possibilità di utilizzare un bene strumentale (di cui egli ha già possesso e proprietà), quanto quello di ottenere disponibilità liquide vendendo un proprio asset, senza privarsi, tuttavia, della possibilità di utilizzarlo e, laddove in futuro conveniente, di riscattarlo. Le obbligazioni principali dell’utilizzatore sono le seguenti: obbligo di trasferire la proprietà del bene; obbligo di pagare i canoni del leasing obbligo di restituire il bene nel caso di risoluzione del contratto o alla scadenza; obbligo di corrispondere il prezzo di opzione nel caso di esercizio del relativo diritto. Le obbligazioni principali del concedente consistono in: obbligo di pagare il prezzo del bene acquistato; obbligo di consentire all’utilizzatore il godimento del bene; obbligo di ritrasferire la proprietà del bene all’utilizzatore nel caso di esercizio del diritto di opzione.
Nella pratica si è posto il problema di conciliare la validità del contratto di lease back con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.: il patto commissorio si ritiene ricorrere non solo ogniqualvolta il debitore costituisca in pegno o ipotechi una cosa a garanzia di un debito proprio o altrui con l’accordo che, se alla scadenza il debito non venga onorato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passerà al creditore; tale illecita convenzione è ritenuta sussistere in generale allorché sia stabilito dalle parti di un determinato rapporto obbligatorio che il diritto di proprietà su un bene del debitore o di un terzo — anche in assenza della concessione di garanzie reali sul medesimo — sia trasferito solvendi causa in capo al creditore ove il debitore non adempia esattamente alla prestazione dedotta nel rapporto medesimo. L’effettivo trasferimento della proprietà in capo al creditore potrà avvenire, in questo senso, sia successivamente al sorgere del rapporto e come conseguenza dell’inadempimento (che quindi opera come condizione sospensiva della vicenda traslativa) ovvero contestualmente al — ed in forza del — sorgere del rapporto (configurandosi l’inadempimento come condizione risolutiva del diritto del debitore a riottenere il titolo di proprietà previamente trasferito in garanzia).
Orbene, si è in un primo momento sostenuto che il lease back configuri una vendita a scopo di garanzia, come tale invalida per violazione (sotto il profilo della frode alla legge, art. 1344 c.c.) del divieto del patto commissorio; il corrispettivo che l’utilizzatore riceve dalla vendita non sarebbe altro, in realtà, che un prestito, a garanzia del quale viene trasferita al concedente la proprietà dell’immobile; l’utilizzatore potrà tornare ad essere proprietario del bene solo se e quando avrà restituito il finanziamento, di cui i canoni di leasing non rappresentano che le rate.
Dopo iniziali oscillazioni, la più recente giurisprudenza ha ritenuto valido il contratto di lease back, in quanto la vendita del bene non è ritenuta finalizzata alla garanzia di un preesistente mutuo, ma alla realizzazione di un «disegno economico che rappresenta un momento dell’usuale attività dell’imprenditore» (la smobilizzazione di componenti attivi del patrimonio per reperire liquidità); la vendita, pertanto, è da considerasi convenuta “a scopo di leasing” e non di garanzia. Si potrà incorrere nel divieto di cui all’art. 2744, con la conseguente nullità del contratto di lease back, solo se emergano, nel caso concreto, elementi tali da far ritenere sussistente l’approfittamento, da parte della società di leasing, di uno stato di debolezza dell’utilizzatore; tali elementi sono ravvisabili nell’esistenza di difficoltà economiche dell’impresa venditrice-utilizzatrice e nella sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dal concedente (Cass., 7 maggio 1998, n. 4612; Cass., 22 aprile 1998, n. 4095; Cass., 19 luglio 1997, n. 6663; Cass., 16 ottobre 1995, n. 10805). Una volta accertata la validità del lease back, ad esso si applicherà la disciplina generale del leasing esposta nei paragrafi che precedono.
Il leasing adossé
Con il contratto di leasing adossé il fornitore concorda di cedere parte della propria produzione all’impresa di intermediazione finanziaria la quale si impegna a concedergli in leasing i singoli beni prodotti.
ll fornitore a sua volta concederà detti beni in sublocazione a vari utilizzatori contro il pagamento di un canone periodico. Trattasi sostanzialmente di una operazione di sale and lease back collegato ad una operazione di semplice locazione corrente tra il fornitore e la propria clientela.
È generalmente riscontrabile nel leasing adossé un accordo tra il fornitore (lessee) e il cliente finale, in forza del quale il primo si obbliga ad esercitare l’opzione di acquisto verso il concedente al fine di consentire al proprio cliente di esercitare a sua volta validamente l’opzione di acquisto.
Sono evidenti i vantaggi che presenta siffatta formula finanziaria per tutti i soggetti che partecipano all’operazione: l’intermediario finanziario non deve procedere alla valutazione del rischio di vari clienti ma soltanto del fornitore; quest’ultimo incassa immediatamente il corrispettivo della vendita che può investire nel ciclo produttivo della propria azienda e può offrire buone soluzioni di pagamento rateale alla propria clientela.
Il leasing adossé — nel mentre assume la struttura contrattuale del contratto di sale and leale back — persegue una funzione finanziaria e sotto tale profilo è un contratto che gli intermediari finanziari possono perfezionare in ossequio alle prescrizioni del t.u. bancario.
Modello Contratto di Leasing
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di leasing in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di leasing può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.