In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di locazione e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto da scaricare.
Nozione e caratteri
Ai sensi dell’art. 1571 c.c., la locazione è il contratto con cui una parte, denominata locatore, si obbliga a far godere all’altra, il conduttore, una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso il pagamento di un corrispettivo.
Strutturalmente la locazione si configura come un contratto consensuale, a effetti obbligatori, nonché a prestazioni corrispettive.
Di regola, il locatore è proprietario della cosa data in locazione, o comunque titolare di un diritto di godimento dal contenuto almeno equivalente a quello che, per effetto della locazione, sorge in capo al conduttore.
La giurisprudenza maggioritaria ritiene che il contratto di locazione sia valido ed efficace anche quando il locatore ha la semplice disponibilità materiale del bene, purché tale disponibilità non sia stata acquisita in modo illecito, ad esempio, tramite furto, ricettazione, usurpazione di immobile (Cass., 17 gennaio 1997, n. 470; Cass., 1° dicembre 1994, n. 10270; Cass., Trib. Salerno, 6 marzo 2001), anche se di recente la Cassazione ha affermato che, ai fini della validità del contratto, il locatore deve essere titolare di un diritto di godimento, anche personale, dal contenuto proporzionato a quello attribuito al locatario (Cass., 11 giugno 2003, n. 9374; ritorna invece all’indirizzo maggioritario Cass., 20 aprile 2007, n. 9493).
Da quanto si è detto emerge chiaramente che la locazione può avere ad oggetto tanto beni mobili quanto beni immobili; nell’uso comune, tuttavia, con il termine locazione ci si riferisce prevalentemente alla locazione di immobili.
La Cassazione ha chiarito che il carattere abusivo dell’immobile non pregiudica la validità del contratto di locazione, atteso che i requisiti di liceità dell’oggetto e della causa ex artt. 1346 e 1343 c.c. sono da riferire alle prestazioni e non al bene in sé (Cass., 24 ottobre 2007, n. 22312).
Le diverse discipline legali
Sicuramente la tendenza all’identificazione del tipo contrattuale in esame con la locazione di immobili trova la sua ragion d’essere, oltre che nella preponderante rilevanza economica delle locazioni di immobili, anche nelle scelte del legislatore italiano che, da tempi ormai risalenti riserva una disciplina ad hoc alla categoria delle locazioni di immobili urbani: nello stesso codice civile si ritrovano infatti delle norme dedicate esclusivamente alle «locazioni di fondi urbani» (artt. 1607 e ss. c.c.); successivamente la L. 27 luglio 1978, n. 392, meglio nota come legge sull’equo canone, ha introdotto una disciplina organica delle locazioni di immobili urbani, distinte nei due tipi delle locazioni ad uso abitativo (artt. 1-26 della citata legge) e delle locazioni ad uso diverso da quello di abitazione (artt. 27-42).
Nel momento attuale tuttavia il quadro normativo è ancor più variegato a causa della recente legge di riforma, la n. 431 del 9 dicembre 1998, che ha riguardato però soltanto gli immobili ad uso abitativo: ne consegue che, se la l. n. 392/78 rimane il punto di riferimento per quanto concerne le locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, la disciplina di immobili ad uso di abitazione è distribuita su (almeno) tre livelli: la 1. n. 431/98, il codice civile e la 1. n. 392/78 di cui sopravvivono alcune norme (in particolare, gli artt. 2, 4-7, 9-11). D’altra parte, vi sono talune categorie di contratti di locazione ad uso abitativo per i quali vale una disciplina differenziata: si pensi ai contratti relativi agli immobili vincolati di cui alla l. 1° giugno 1939, n. 1089, agli immobili rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, e dei contratti stipulati per finalità turistiche; per questi valgono esclusivamente le norme del codice civile. Una disciplina speciale è poi prevista per i contratti di locazione relativi agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. L’art. 5 L. n. 431/98 ha poi indicato la necessità di discipline autonome per i contratti di locazione di natura transitoria e per i contratti di locazione stipulati per soddisfare le esigenze abitative di studenti universitari: tali discipline autonome si ritrovano ora nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 5 marzo 1999.
La diversificazione normativa non impedisce alle parti di locare con un unico contratto beni aventi destinazione diversa: in tali casi, ad un contratto formalmente unico corrisponderanno rapporti locativi distinti, soggetti a diverse discipline sostanziali (Cass., 10 agosto 2002, n. 12143).
La complessità della materia delle locazioni di immobili urbani spiega perché nel presente capitolo si farà pressoché esclusivo riferimento ad essa; si rinvia invece al capitolo sul noleggio e sull’affitto per la disciplina delle locazioni di cose mobili e delle locazioni di fondi rustici (rientranti appunto nello schema dell’affitto).
Durata del contratto
Uno degli aspetti del rapporto locativo di maggiore attenzione da parte delle citate leggi speciali è rappresentato dalla durata; allo stato attuale la disciplina è la seguente.
Uso abitativo
La durata minima del contratto è di quattro anni (cfr. art. 2 l. n. 431/1998); tuttavia il locatore è tenuto a rinnovare il contratto per altri quattro anni, a meno che egli non abbia qualificati motivi per riappropriarsi della disponibilità materiale dell’immobile (ad esempio, l’intenzione di adibire l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio o dei propri parenti). Ma seconda scadenza, il contratto viene tacitamente rinnovato alle medesime condizioni se nessuna delle parti attiva la particolare procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto (Cass., 10 giugno 2005, n. 12319; Cass., 8 marzo 2002, n. 3431).
Tale procedura consiste nel comunicare la propria intenzione di modificare le originarie condizioni contrattuali o di rinunciare al rinnovo del contratto con lettera raccomandata, da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo di raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della domanda; in mancanza di risposta o di accordo, il contratto si intenderà risolto alla data di scadenza della locazione.
I citati termini di durata non valgono qualora le parti, nella stipula del contratto, si siano attenute nella determinazione del canone e di tutte le altre condizioni contrattuali a quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (art. 2, comma 3); in tal caso, infatti, la durata del contratto non può essere inferiore a tre anni; in mancanza di diverso accordo, e salva la facoltà del locatore di diniego di rinnovo alla prima scadenza, il contratto è prorogato di diritto per altri due anni. Alla scadenza del periodo di proroga, ciascuna delle parti ha il diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
Ai sensi dell’art. 13, comma 3, l. n. 431/98, ogni pattuizione delle parti volta a derogare ai descritti limiti di durata deve considerarsi nulla.
La normativa in esame si applica tanto ai contratti stipulati che a quelli rinnovati a partire dal 30 dicembre 1998.
Uso non abitativo
Ai sensi dell’art. 27 l. n. 392/78, la durata delle locazioni e delle sublocazioni di immobili urbani non può essere inferiore a sei anni, quando gli immobili sono adibiti ad attività industriali commerciali, artigianali, di interesse turistico (di cui all’art. 2 l. 12 marzo 1968, n. 326), lo stesso termine minimo vale per gli immobili adibiti all’esercizio professionale e di qualsiasi attività di lavoro autonomo. Anche la locazione di un immobile ad uso di deposito o magazzino rientra nell’ambito di applicazione degli artt. 27 e ss. quando, pur mancando un rapporto pertinenziale o di servizio, risulti un collegamento funzionale del bene locato con un’attività di carattere industriale, commerciale o artigianale (Cass., 5 agosto 2002, n. 11701). Per gli immobili adibiti ad attività alberghiera, il termine minimo di durata del rapporto è di nove anni.
Se le parti hanno convenuto una durata inferiore o non hanno previsto alcuna durata, il contratto si intende stipulato per i termini di durata legale (Cass., 25 novembre 2002, n. 16580).
Le parti possono stipulare il contratto per un periodo più breve di quello previsto per legge e quando l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile per sua natura abbia carattere transitorio.
Da un altro aspetto della disciplina delle locazioni urbane oggetto di grande attenzione da parte del legislatore speciale, e cioè del corrispettivo.
Sublocazione
Disciplina codicistica
Di particolare interesse è la disciplina della sublocazione. In via generale, il codice civile riconosce al conduttore la possibilità di sublocare la cosa locatagli, salvo che le parti non abbiano diversamente convenuto: la sublocazione non è subordinata al consenso del locatore, a differenza della cessione del contratto (art. 1594 c.c.).
La regola del codice è coerente con i principi generali sul contratto: infatti il subcontratto dà vita ad un rapporto del tutto distinto da quello creato dal contratto principale, con la conseguenza che, nel caso della sublocazione, non intercorre alcuna relazione tra locatore e subconduttore (Cass., 29 maggio 2003, n. 8628; Cass., 23 gennaio 2002, n. 741).
La cessione del contratto è invece un accordo a tre, per cui è essenziale il consenso del contraente ceduto (art. 1406 c.c.).
Deroghe
Le regole del codice tuttavia non si applicano alle locazioni di immobili urbani. Per ciò che riguarda le locazioni abitative, l’art. 21. n. 392/78 (norma ancora vigente in quanto non abrogata dalla l. n. 431/98) vieta al conduttore tanto la sublocazione quanto la cessione senza il consenso del locatore. Egli può solo, se non è stato pattuito diversamente, sublocare parzialmente l’immobile, previa comunicazione al locatore con lettera raccomandata che indichi la persona del subconduttore, la durata del contratto ed i vani sublocati (Cass., 28 novembre 1994, n. 10157).
Per quanto concerne invece le locazioni non abitative, l’art. 36 della citata l. n. 392/78 prevede che il conduttore possa sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione, a condizione che venga contemporaneamente ceduta o locata l’azienda (Cass., 13 dicembre 2007, n. 26234).
Tale condizione non sussiste quando vengono alienati al subconduttore o al cessionario solo singoli beni insuscettibili di integrare la nozione di azienda (Cass., 20 aprile 2007, n. 9486; Cass., 9 gennaio 2002, n. 201; Cass., 19 aprile 2001, n. 5817; Cass., 22 febbraio 2000, n. 1966; Cass., 21 marzo 1994, n. 2655). Si ritiene tuttavia che la cessione o la locazione dell’azienda non debbano essere necessariamente contemporanee alla sublocazione o alla cessione della locazione (Cass., 29 luglio 1977, n. 7091). Inoltre, nel sublocare o nel cedere il contratto, il conduttore deve darne pronta comunicazione al locatore mediante raccomandata con avviso di ricevimento, e ciò per mettere il locatore in condizione di opporsi per gravi motivi alla cessione o alla sublocazione (Cass., 19 aprile 2001, n. 5817).
Nel caso di cessione, qualora il locatore non abbia liberato il cedente, egli può agire contro quest’ultimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte: secondo Cass., 20 aprile 2007, n. 9486 tra il cedente ed il cessionario sussiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente al locatore di rivolgersi al cedente con l’esperimento delle relative azioni giudiziali, solo dopo che si sia consumato l’inadempimento del nuovo conduttore (contra, Cass., 4 dicembre 2002, n. 17201 ritiene che si tratti di responsabilità solidale).
Forma
A norma del codice civile, la locazione è un contratto a forma libera; unica eccezione a tale regola è rappresentata dalle locazioni ultranovennali per le quali è prevista la forma scritta ad substantiam (art. 1350, n. 8, c.c.: v., in materia, Cass., 6 giugno 2002, n. 8179).
Necessità di forma scritta
Ancora una volta, però, l’impianto del codice civile è stato alterato dalla legislazione speciale: l’ultimo comma dell’art. 1 l. n. 431/98 prevede che per la stipula di validi contratti di locazione di immobili ad uso abitativo è richiesta la forma scritta (Trib. Palermo, 20 febbraio 2001). Va ricordata in questa sede anche la previsione dell’art. 13, comma 1, il quale commina la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato; la registrazione del contratto cessa quindi di essere un mero adempimento fiscale per acquistare rilevanza sul piano squisitamente civilistico (Trib. Palermo, 20 novembre 2002): è evidente l’intento del legislatore di stimolare in questo modo la registrazione dei contratti e di scoraggiare l’evasione fiscale. Peraltro, dopo le prime incertezze, la giurisprudenza ha ritenuto che la disposizione dell’art. 13, comma 1, non debba essere riferita all’ipotesi della simulazione parziale del contratto di locazione relativa alla misura del canone, ma al caso in cui nel corso del rapporto venga pattuito un canone maggiore di quello previsto nel contratto originario.
La norma vuol quindi affermare il principio dell’immutabilità del canone convenuto all’inizio del rapporto, per tutta la sua durata (Cass., 27 ottobre 2003, n. 16089; avalla implicitamente l’interpretazione della Corte di legittimità Corte cost. 19 luglio 2004, n. 242).
Nullità per omessa registrazione
Da ultimo devono essere segnalate le novità introdotte dalla legge finanziaria 2005 (l. 30 dicembre 2004, n. 311), che, dopo aver dettato disposizioni di carattere tributario afferenti i contratti di locazione (art. 1, commi 341345), sanziona con la nullità l’omessa registrazione dei «contratti di locazione o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati» (art. 1, comma 346).
La Corte costituzionale ha giudicato manifestamente infondata la questione di costituzionalità della disposizione in esame in riferimento all’art. 24 Cost. (Corte cost., 5 dicembre 2007, n. 420); peraltro, altre censure di costituzionalità sono state sollevate con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. (Trib. Napoli, ord. 8 settembre 2007; Trib. Modena, ord. 12 giugno 2006).
L’art. 13, comma 5, prevede poi che nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto senza la forma scritta, il conduttore non perderà il diritto di proseguire nel godimento dell’immobile; egli potrà piuttosto agire in modo da vedere accertata l’esistenza del contratto di locazione e per vedere ricondotto il rapporto all’equilibrio prescritto dal legislatore; il giudice infatti determinerà il canone dovuto, che non potrà essere superiore a quello che le parti avrebbero pattuito se nella stipula del contratto fossero state assiste alle associazioni di categoria. Il giudice stesso ordinerà al locatore la restituzione delle somme percepite dal locatore in eccedenza rispetto al canone “corretto” fissato il sede giudiziale (Trib. Verona, ord. 21 giugno 2000).
Obblighi e diritti del locatore
Obbligo di consegna della cosa in buono stato di manutenzione
L’obbligo di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione si specifica nell’obbligo di prestare la garanzia per quei vizi della cosa locata che, presenti al momento della consegna, ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito.
Nozione di “vizi”
Nell’elaborazione giurisprudenziale costituiscono vizi della cosa locata quelle alterazioni incidenti sulla composizione, costituzione o funzionalità strutturale della cosa medesima: ad esempio, le infiltrazioni di umidità dipendenti dalla realizzazione della costruzione su terreno argilloso, senza adeguate protezioni (Cass., 18 aprile 2006, n. 8942; Trib. Napoli, 14 gennaio 1999; Cass., 6 marzo 1995, n. 2605; Cass., 4 agosto 1994, n. 7260; Cass., 10 agosto 1991, n. 8729; Cass., 22 novembre 1985, n. 5786; Cass., 24 marzo 1980, n. 1951).
Vizio è anche il difetto della concessione amministrativa necessaria per la legale destinazione dell’immobile all’uso pattuito (Cass., 26 novembre 2002, n. 16677; Cass., 6 novembre 2002, n. 15558; Cass, 16 settembre 1996, n. 8285; Cass., 23 luglio 1994, n. 6892; Cass., 2 dicembre 1992, n. 12860; Cass., 27 giugno 1975, n. 253). Non possono essere ricompresi tra i vizi della cosa locata quei guasti o deterioramenti della stessa dovuti alla naturale usura, effetto del tempo o di accadimenti accidentali (ad es., la rottura di un tubo dell’impianto di riscaldamento: Cass., 18 aprile 2001, n. 5682).
Il locatore deve garantire non solo l’avvenuto rilascio di concessioni autorizzazioni o licenze relative alla destinazione d’uso, ma anche il loro persistere nel tempo, configurandosi altrimenti un inadempimento (Cass., 28 marzo 2006, n. 7081).
Limiti alla garanzia
La garanzia non opera per i vizi conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore (Cass., 7 marzo 2001, n. 3341); inoltre le parti possono ben stipulare un patto che escluda o limiti la responsabilità del locatore per i vizi della cosa, ma tale patto resta privo di effetti ove il locatore abbia in mala fede taciuto i vizi, ovvero laddove essi siano tali da rendere impossibile il godimento della cosa (art. 1579 c.c.: Cass., 18 novembre 2002, n. 16220; Cass., 15 ottobre 2002, n. 14659).
Contenuto della garanzia
Il contenuto della garanzia è rappresentato dalla possibilità per il conduttore di chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo, analogamente a quanto è previsto in materia di vendita (cfr. art. 1492 c.c.). Il conduttore non può invece chiedere la eliminazione del vizio a spese del locatore (cosa che invece può fare il committente nell’appalto); la giurisprudenza è assolutamente concorde nell’interpretare alla lettera l’art. 1578 c.c. (Cass., 7 marzo 2001, n. 3341; Trib. Taranto, 6 luglio 1996; Cass., 4 agosto 1994, n. 7260; Cass., 5 gennaio 1983, n. 170).
Una tutela rafforzata è poi riconosciuta al conduttore in caso di vizi della cosa che espongano a serio pericolo la salute sua e dei suoi familiari o dipendenti: in tal caso, infatti, egli può chiedere sempre la risoluzione del contratto, anche sei i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinunzia (art. 1580 c.c.). In giurisprudenza è incerto se il conduttore, in caso di vizi pericolosi per la salute a lui noti, possa chiedere, oltre alla risoluzione del contratto, anche il risarcimento del danno: da ultimo, si propende per la soluzione positiva in base alla considerazione che la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto tra privati (Cass., 3 febbraio 1999, 915; contra, però Cass., 8 aprile 1998, n. 3636; Cass., 27 febbraio 1984, n. 1399).
Obbligo di mantenere la cosa in buono stato locativo
Quest’obbligo si specifica nel dovere di eseguire durante la locazione tutte le riparazioni necessarie, eccezione fatta per quelle di piccola manutenzione (art. 1576 c.c.); in altri termini, il locatore deve mantenere la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto, in relazione alla destinazione considerata. Esulano quindi da ciò a cui egli è tenuto le modifiche e le trasformazioni non previste in contratto, compresi quegli adeguamenti che dovessero tendersi necessari a causa di norme di legge sopravvenute al fine di consentire l’esercizio dell’attività per la quale è stato locato (Cass., 14 maggio 2006, n. 5459; Trib. Roma, 24 giugno 1999; Cass., 28 novembre 1998, n. 12089; Cass., 8 maggio 1998, n. 4676; Cass., 13 luglio 1977, n. 3154). Il conduttore è tenuto comunque a dare avviso al locatore delle riparazioni che spetta al locatore eseguire.
Riparazioni urgenti
In caso di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente e il locatore deve rimborsarle (art. 1577 c.c.), a patto che sia stato avvisato contemporaneamente all’esecuzione dei lavori (Cass., 23 luglio 2002, n. 10742): e ciò perché egli deve essere messo in condizioni di valutare la necessità e la bontà delle riparazioni, il cui onere ricadrà poi su di lui (Pret. Firenze, 31 marzo 1998). Si ritiene invece che all’onere di avviso in questione, non siano soggetti anche i terzi danneggiati dall’inerzia del locatore nel compiere le riparazioni necessarie (Cass., 22 febbraio 1985, n. 1589). Dopo l’abrogazione del regime dell’equo canone, deve ritenersi comunque valida la clausola che pone a carico del locatore solo taluni eccezionali interventi (ad es., la riparazione delle strutture portanti: Cass., 4 novembre 2002, n. 15388; Cass., 5 agosto 2002, n. 11703).
Temporanea privazione del godimento dell’immobile
Il conduttore, d’altra parte, è tenuto a consentire anche quelle riparazioni, insuscettibili di essere differite alla scadenza del contratto, che determinano una temporanea privazione del godimento di pane dell’immobile; tuttavia, se tale privazione si protrae per oltre un sesto della durata della locazione, o comunque per oltre venti giorni, il locatore deve concedere una congrua riduzione del corrispettivo. Se poi, indipendentemente dalla durata, l’esecuzione delle riparazioni rende del tutto inabitabile l’immobile, il conduttore può ottenere la risoluzione del contratto.
Obbligo di garantire il pacifico godimento dell’immobile
Molestie di diritto
Il locatore deve garantire il conduttore dalle molestie arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa stessa e che sono tali da diminuirne l’uso o il godimento.
In altri termini il terzo reclama sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con la posizione accordata al conduttore, compiendo atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore (Cass., 7 febbraio 2006, n. 2531).
Molestie di fatto
Quando invece il terzo si limita a turbare il godimento dell’immobile senza rivendicare diritti sul bene, si configura una molestia di fatto, per la quale il conduttore non ha diritto ad alcuna garanzia, ma ha azione diretta nei confronti del conduttore. È chiaro che la distinzione tra molestia di fatto e molestia di diritto non è da apprezzare sul piano esclusivamente materiale del comportamento del terzo, ma anche sotto il profilo soggettivo delle intenzioni che egli persegue (cfr. Cass., 22 dicembre 1995, n. 939, dove si è qualificata come molestia di fatto, legittimante il conduttore ad agire in proprio, l’inerzia del proprietario del fondo limitrofo a procedere alla potatura della siepe di confine, con conseguente detrimento per il fondo locato; Cass., 20 dicembre 1990, n. 12089, dove si è qualificata molestia di fatto l’invasione con acqua dell’immobile locato per infiltrazione dall’appartamento sovrastante; v. anche Cass., 8 agosto 1990, n. 8005).
Certificato di abitabilità
Rientra tra gli obblighi del locatore anche quello di procurare al conduttore il certificato di abitabilità dell’immobile, salvo patto contrario, sia che l’immobile sia destinato ad uso di abitazione, sia che sia adibito ad utilizzo commerciale. Pertanto, laddove tale certificato non risulti ottenibile, si ha una situazione di grave inadempimento del locatore, che legittima il conduttore a richiedere la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno (Cass., 11 aprile 2006, n. 8409).
Immissioni
La prevalente giurisprudenza, interpretando estensivamente l’art. 844 c.c. riconosce al conduttore la legittimazione ad agire, al pari del proprietario, per far cessare le immissioni derivanti dal fondo del vicino, che superino la soglia della normale tollerabilità (Cass., 11 novembre 1992, n. 12133; Cass., 21 febbraio 1994, n. 1653; Cass., 22 dicembre 1995, n. 13069).
Obblighi del locatore in caso di miglioramenti e addizioni apportate dal conduttore
Di regola il locatore nulla deve al conduttore per quei miglioramenti che egli ha apportato alla cosa locata.
Nozione di “miglioramenti”
Per miglioramenti devono intendersi quelle opere che, con trasformazioni o in altro modo, apportano all’immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza tuttavia presentare una propria individualità rispetto al bene in cui si incorporano (Cass., 14 maggio 1998, n. 4871; Cass., 8 maggio 1998, n. 4674; Cass., 19 aprile 1996, n. 3738).
Diritto all’indennità
Se tuttavia il locatore ha manifestato il proprio consenso alla realizzazione del miglioramento, egli è tenuto a pagare un’indennità; l’ammontare di tale indennità coincide con la minore di queste due somme: l’importo della spesa sostenuta dal conduttore e l’incremento di valore registrato dal bene per effetto del miglioramento.
Il momento in cui il conduttore può richiedere l’indennità in esame è quello della riconsegna dell’immobile (Cass., 17 novembre 1998, n. 11551; Cass., 6 marzo 1996, n. 1742; Cass., 4 dicembre 1989, n. 5357; Cass., 1° aprile 1987, n. 3110).
Anche nel caso in cui il conduttore non abbia diritto ad indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i danni all’immobile verificatisi senza sua colpa grave.
Nozione di “addizioni”
Dai miglioramenti si distinguono le addizioni, cioè quelle opere che mantengono una propria individualità rispetto all’immobile cui accedono. Se le addizioni, tuttavia, non sono separabili senza nocumento della cosa, e inoltre costituiscono un miglioramento, si segue la disciplina dei miglioramenti appena descritta; se invece esse sono facilmente separabili, il conduttore ha diritto di rimuoverle alla cessazione del rapporto locativo, tranne che il locatore non preferisca ritenerle.
In tal caso egli deve pagare un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa ed il valore delle addizioni al tempo della consegna.
Diniego di rinnovo alla prima scadenza
Come si è visto descrivendo i caratteri generali della locazione di immobili urbani, tanto abitativi quanto non abitativi, alla prima scadenza del contratto — che cade di regola dopo quattro anni per gli immobili ad uso abitativo e dopo sei anni per gli immobili ad uso diverso dell’abitazione — il contratto viene automaticamente rinnovato, tranne che il locatore non si avvalga di una particolare facoltà: cioè quella di impedire il rinnovo del contratto e di riacquistare la disponibilità dell’immobile per il ricorrere di certi presupposti tassativamente fissati dalla legge.
È evidente che la disdetta del contratto di locazione, successiva alla rinnovazione tacita già verificatasi, è priva di rilevanza (Cass., 23 ottobre 2001, n. 12959).
Presupposti per il diniego
Per gli immobili ad uso di abitazione, tali presupposti sono (cfr. art. 3 l. n. 431/1998):
a) l’intenzione di destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei figli o dei parenti entro il secondo grado. Il diniego del rinnovo del contratto non trova ostacolo nel mancato possesso, da parte del locatore, delle necessarie autorizzazioni amministrative, o nella disponibilità di altri immobili utilizzabili per la destinazione addotta, avendo il locatore il diritto insindacabile di scegliere quello ritenuto più idoneo (Cass., 18 gennaio 2002, n. 537);
b) quando il locatore è una persona giuridica, società o ente pubblico o comunque con finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali, l’intenzione di destinare l’immobile all’esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità: in tal caso, egli deve però offrire al conduttore altro immobile idoneo e di cui il locatore abbia la piena disponibilità;
c) la necessità di ricostruire o consolidare un edificio gravemente danneggiato, esclusivamente nel caso in cui la permanenza del conduttore sia di ostacolo alla realizzazione di tali opere;
d) la volontà di procedere ad integrale ristrutturazione, o demolizione o radicale trasformazione dell’immobile, ovvero, nel caso di immobile all’ultimo piano di un edificio, la volontà di sopraelevare in conformità alle norme vigenti: anche in tal caso il diniego è legittimo solo se la permanenza è compatibile con l’esecuzione delle menzionate opere.
Tanto nell’ipotesi sub c) quanto in quella sub d), il locatore può legittimamendell’autorizzazione edilizia necessaria per legge. Nel caso in cui il locatore, terminati i lavori intenda nuovamente dare in locazione l’immobile, al conduttore è riconosciuto diritto di prelazione (conformemente all’art. 401. n. 392/78);
e) la mancanza di un’occupazione continuativa dell’immobile da parte del locatore, quando tale mancanza sia ingiustificata;
f) la piena disponibilità da parte del conduttore di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;
g) l’intenzione di vendere l’immobile a terzi quando il locatore non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In questo caso al conduttore è riconosciuto diritto di prelazione (ed eventualmente di riscatto), ai sensi degli artt. 38 e 39 l. n. 392/78.
La disciplina esaminata si applica, oltre che ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della l. n. 431 del 1998, ai contratti in corso già rinnovatisi tacitamente alla data di entrata in vigore della legge.
Ne consegue che ai contratti non rinnovatisi o non ancora rinnovatisi alla data di entrata in vigore della nuova legge continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, con possibilità per il locatore di riavere il godimento dell’immobile mediante semplice disdetta (Cass., 28 marzo 2008, n. 8090).
Preavviso
Il locatore deve comunicare al conduttore l’intenzione di impedire il rinnovo del contratto, con preavviso di almeno sei mesi.
La comunicazione deve specificare il motivo del diniego e non può limitarsi ad un generico richiamo ai motivi indicati dalla norma (App. Napoli, 16 maggio 2006, n. 1094).
Tutela del conduttore in caso di diniego illegittimo
Se il locatore ha riacquistato la disponibilità dell’alloggio in maniera illegittima, cioè in mancanza delle esposte ragioni di diniego, egli dovrà corrispondere al conduttore un risarcimento il cui ammontare minimo è inderogabilmente fissato dalla legge in trentasei mensilità dell’ultimo canone percepito (Cass., 1° agosto 2002, n. 11430).
Se invece egli ha legittimamente acquistato la disponibilità dell’immobile, ma poi non lo ha adibito entro dodici mesi all’uso indicato (uso abitativo, commerciale ecc., proprio o dei parenti, ricostruzione, ristrutturazione, trasformazione ecc.), il conduttore potrà chiedere alternativamente il ripristino dell’originario rapporto ovvero il risarcimento del danno, che anche in questo caso non può essere inferiore a trentasei mensilità.
Per quanto concerne gli immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione, i presupposti per esercitare la facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza, solo in parte coincidenti con quelli fissati per gli immobili ad uso abitativo, sono stabiliti dall’art. 29 l. n. 392/78; essi sono rappresentati da:
a) l’intenzione di adibire l’immobile ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti entro il 2° grado in linea retta;
b) l’intenzione di adibire l’immobile all’esercizio di un’attività industriale, commerciale, artigianale, alberghiera o di interesse turistico da parte del locatore personalmente o di propri parenti entro il secondo grado in linea diretta. Il locatore che sia un ente pubblico può denegare il rinnovo alla prima scadenza per adibire l’immobile al conseguimento dei suoi fini istituzionali;
c) la volontà di demolire l’immobile per ricostruirlo ovvero di realizzare un’integrale ristrutturazione o un completo restauro, o comunque di eseguire su di esso un intervento sulla base di un programma pluriennale di attuazione. Il possesso della licenza o concessione per la realizzazione di tali opere è condizione per l’azione di rilascio;
d) la volontà di ristrutturare l’immobile per rendere la superficie dei locali conforme alle prescrizioni di legge, nel caso in cui gli interventi da eseguire siano incompatibili con la permanenza del conduttore nell’immobile. Anche in tal caso il possesso della prescritta licenza o concessione è condizione per l’azione di rilascio.
Preavviso
Il diniego di rinnovo può essere esercitato secondo modalità rigorosamente stabilite: il locatore deve infatti comunicare la propria intenzione con lettera raccomandata almeno dodici mesi prima della scadenza per gli immobili adibiti ad uso industriale, commerciale, artigianale, professionale o di interesse turistico; per gli immobili adibiti ad attività alberghiere, il termine di preavviso è di diciotto mesi. Nella comunicazione deve essere specificato a pena di nullità il motivo, tra quelli elencati, sul quale la disdetta è fondata (Cass., 6 novembre 2002, n. 15547).
Tutela del conduttore in caso di illegittimo diniego
L’art. 31 l. n. 392 del 1978 prevede le sanzioni cui il locatore va incontro nel caso in cui non adibisca l’immobile all’uso indicato entro sei mesi dall’avvenuta consegna; anche in questo caso il conduttore può chiedere alternativamente il ripristino del contratto ovvero il risarcimento del danno che non può essere superiore a quarantotto mensilità dell’ultimo canone di locazione pagato. La giurisprudenza ha chiarito che non si fa luogo alla sanzione del ripristino o del risarcimento quando il mancato uso dell’immobile nel termine prescritto sia dipeso da causa non imputabile al locatore (Cass., 28 novembre 1997, n. 12071; Cass., 8 giugno 1995, n. 6473; Cass., 25 gennaio 1995, n. 845; Cass., 24 febbraio 1993, n. 2282).
Inoltre, la fissazione di tetto massimo al risarcimento del danno (nella misura di quarantotto mensilità) non toglie che, entro quella soglia, il locatore debba risarcire solo il danno effettivamente subito dal conduttore (Cass., 21 novembre 2000, n. 15037).
locatore (Cass., 28 novembre 1997, n. 12071; Cass., 8 giugno 1995, n. 6473; Cass., 25 gennaio 1995, n. 845; Cass., 24 febbraio 1993, n. 2282).
Inoltre, la fissazione di tetto massimo al risarcimento del danno (nella misura di quarantotto mensilità) non toglie che, entro quella soglia, il locatore debba risarcire solo il danno effettivamente subito dal conduttore (Cass., 21 novembre 2000, n. 15037).
Obblighi e diritti del conduttore
Obbligo di prendere in consegna la cosa e di osservare la diligenza media nell’uso della stessa
Ai sensi dell’art. 1587 c.c., il conduttore deve prendere in consegna la cosa ed osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato dal contratto o per l’uso che altrimenti può presumersi dalle circostanze.
Responsabilità del conduttore
Tale obbligo si traduce nella responsabilità del conduttore per il deterioramento o la perdita dell’immobile locato che avvengano nel corso della locazione, anche se derivano da incendio; la responsabilità si estende anche alla perdita o al deterioramento cagionati da persone che il conduttore ha ammesso all’uso e al godimento della cosa.
Il conduttore può liberarsi da tale responsabilità fornendo la prova che il deterioramento, la perdita o l’incendio sono stati determinati da una causa a lui non imputabile; in altri termini si tratta di una responsabilità che opera secondo il regime della ordinaria responsabilità contrattuale: cfr. Cass., 27 novembre 2002, n. 16762; Cass., 2 agosto 2000, n. 10126; Cass., 25 maggio 1998, n. 5193; Cass., 16 maggio 1997, n. 4362, che puntualizza che la responsabilità del conduttore per incendio non si configura come responsabilità oggettiva; Cass., 17 febbraio 1997, n. 1441; Trib. Milano, 20 maggio 1996; Pret. Perugia, 21 marzo 1996; Cass., 5 aprile 1995, n. 3999, che ha ritenuto causa non imputabile al conduttore il crollo di un fabbricato, conseguente a un incendio provocato dal figlio di un suo dipendente.
Le parti possono convenire che il conduttore abbia la facoltà di apportare all’immobile le modifiche necessarie allo svolgimento dell’attività prevista (Cass., 8 marzo 2002, n. 3443).
La mera inerzia del locatore non costituisce acquiescenza del medesimo al mutamento di fatto nella destinazione dell’immobile posto arbitrariamente in essere dal conduttore (Cass., 26 luglio 2002, n. 11055).
Ai sensi dell’art. 1589 c.c., se l’immobile distrutto o deteriorato per incendio era stato assicurato dal locatore o per conto di questo, la responsabilità del conduttore verso il locatore è limitata alla differenza tra il danno effettivo e l’indennizzo corrisposto dall’assicurazione.
Obbligo di restituzione della cosa locata
Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nel medesimo stato in cui la ha ricevuta (Cass., 26 novembre 2002, n. 16685); sorge dunque il problema di accertare in quale stato la cosa è stata ricevuta. Spesso accade che siano le parti, al momento della conclusione del contratto, a provvedere alla descrizione dell’immobile: in questo caso è ovvio che tale descrizione rappresenti poi, alla fine del rapporto locativo, il parametro in base al quale accertare se il conduttore ha adempiuto la sua obbligazione.
Se invece manca la descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione (art. 1590, comma 2, c.c.).
Normale deterioramento
Opportunamente la legge tiene conto del deterioramento o del consumo del bene risultante da suo uso normale: di tale deterioramento il conduttore non risponde così come non risponde del deterioramento dovuto a vetustà dell’immobile (Cass., 19 luglio 2002, n. 10560; Cass., 18 giugno 1991, n. 6896). Si è ritenuto ad esempio che sia una conseguenza del normale degrado d’uso, non addebitabile al conduttore la necessità di procedere alla tinteggiatura delle pareti per le impronte lasciate nel tempo da quadri e mobili (Pret. Padova, 24 giugno 1997).
Quando, alla fine del rapporto di locazione, il locatore accetta senza riserve le chiavi dell’immobile locato, ciò non comporta implicita rinunzia al risarcimento dei danni subiti dall’immobile; egli deve però procedere tempestivamente all’accertamento degli eventuali danni alla richiesta di risarcimento. Una richiesta tardiva andrebbe respinta per l’impossibilità di stabilire con certezza i danni effettivamente imputabili al conduttore (Cass., 14 ottobre 1990, n. 10152).
Pagamento del corrispettivo
Rappresenta ovviamente l’obbligo principale del conduttore (art. 1587, n. 2, c.c.). Le modalità di pagamento del corrispettivo possono essere le più varie, anche se normalmente esso viene corrisposto, almeno per le locazioni di immobili, in canoni mensili. In mancanza di una diversa clausola pattizia, il locatore ha diritto di esigere che il canone sia pagato in contanti al suo domicilio (Cass., 31 maggio 2005, n. 11603; Cass., 23 gennaio 2006, n. 1226).
Come è noto, la l. n. 392/1978 aveva privato le parti dei contatti di locazione ad uso abitativo della libertà di determinare autonomamente l’ammontare del corrispettivo: agli art. 12 e ss. essa prevedeva un articolato sistema per la determinazione del canone dovuto (il c.d. equo canone che ha dato il nome alla stessa legge; in giurisprudenza, v. Cass., 15 ottobre 2002, n. 14655; Cass., 11 febbraio 2002, n. 1897; Cass., 22 gennaio 2002, n. 699). Ovviamente, rimaneva consentita la pattuizione di un canone inferiore a quello legale (Cass., 11 febbraio 2002, n. 1897).
Determinazione del canone
La l. n. 431/98 ha abrogato il sistema della determinazione autoritativa del canone, la cui entità torna quindi ad essere decisa dalle parti. Più correttamente, va detto che è in facoltà delle parti optare per un modello di locazione in cui il canone è del tutto libero: si tratta del modello descritto dall’art. 2, comma 1, l. n. 431/98. Le parti ben potrebbero però optare per il modello descritto dal comma 3 dello stesso articolo: in tal caso, il canone non sarebbe più libero ma dovrebbe necessariamente rispettare quanto previsto in appositi accordi definiti in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazione maggiormente rappresentative dei conduttori: come si è visto, l’impossibilità di determinare liberamente il canone — così come le altre condizioni contrattuali — viene compensata dalla possibilità di pattuire termini più brevi di durata.
Locazioni transitorie e per motivi di studio
Del resto, vincoli analoghi alla determinazione del canone si ritrovano anche per le fattispecie delle locazioni di natura transitoria e per quelle destinate a studenti universitari: il d.m. 5 marzo 1999 (pubblicato nella G.U. 22 marzo 1999, n. 67), agli artt 2 e 3, prevede che il canone delle locazioni transitorie possa essere stabilito dalle parti entro valori minimi e massimi determinati per zone omogenee attraverso gli accordi territoriali tra le organizzazioni più rappresentative degli inquilini e dei proprietari; nelle locazioni per studenti universitari il canone deve invece adeguarsi senz’altro a quanto stabilito dagli accordi tra organizzazioni dei proprietari e rappresentanze degli studenti.
Locazioni ad uso non abitativo
Per quanto riguarda le locazioni ad uso non abitativo, l’autonomia privata non ha subito restrizioni per quanto concerne la determinazione del canone. L’unica limitazione riguarda la variazione del canone in corso di rapporto: prevede infatti l’art. 32 l. n. 392/78 che, se le parti hanno convenuto che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore, gli aumenti non possono eccedere il 75% della variazione del costo della vita accertata dall’ISTAT.
Secondo Cass., 9 marzo 2006, n. 5113, è valida la clausola con la quale si prevede che il canone sia fissato in misura frazionata e crescente nel tempo, quando tale variazione, ancorché del tutto indipendente dal mutamento del valore di acquisto della moneta, sia stata ancorata ad elementi predeterminati incidenti sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale o sia legata ad una giustificata riduzione del canone pattuita per un limitato periodo iniziale (Cass., 9 marzo 2006, n. 5113; Cass., 8 maggio 2006, n. 10500).
È invece nulla ai sensi dell’art. 79 l. n. 392 del 1978, quella pattuizione con cui, nel corso del rapporto, si intenda attribuire al locatore un canone più elevato di quello pattuito in contratto (Cass., 11 aprile 2006, n. 8410). Non contrasta con tale disposizione, ed è pertanto valido, l’accordo con cui le parti di un contratto di locazione definiscono transattivamente la lite tra loro pendente relativa all’ammontare del canone e alla durata del rapporto, convenendo una differente scadenza per il rilascio dell’immobile e un diverso maggior corrispettivo per il suo godimento (Cass., 25 febbraio 2008, n. 4714; Cass., 9 novembre 2006, n. 23910).
Disciplina degli oneri accessori
Ai sensi dell’art. 9 l. n. 392/1978, sono a carico del conduttore i c.d. oneri accessori; lo stesso articolo dà un elenco, peraltro non tassativo di tali oneri: le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento ed all’ordinaria manutenzione dell’ascensore, alla fornitura dell’acqua, dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine nonché alla fornitura di altri servizi comuni. Le spese per il servizio di portineria sono a carico del conduttore nella misura del 90% del totale, ma le parti possono stabilire una ripartizione più favorevole al conduttore. Il pagamento deve avvenire entro due mesi dalla richiesta: prima di procedere al pagamento il conduttore ha diritto di ottenere l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione adottati, e di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate.
Si è già detto che l’art. 79 l. n. 392/1978, oggi non più applicabile alle locazioni ad uso abitativo, prevede la nullità delle clausole dirette ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa: la giurisprudenza ha ritenuto contrastante con la norma indicata — e dunque nulla — la clausola che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori anticipatamente determinati in modo forfettario (Cass., 8 marzo 2002, n. 3431).
Prescrizione
Va ricordato che il credito del locatore per il pagamento degli oneri accessori si prescrive nel termine di due anni e non in quello quinquennale fissato dall’art. 2948, n. 3, c.c. per le pigioni delle case, i fitti dei fondi rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni; così prevede infatti l’art. 6 della l. 22 dicembre 1973, n. 841, che non risulta abrogato dalle leggi successive in materia di prelazione (Cass., 12 aprile 2006, n. 8609; Cass., 12 novembre 1997, n. 11163; Trib. Napoli 20 gennaio 1996; Cass., 22 aprile 1995, 4588; Cass., 22 maggio 1993, n. 5795). È ammissibile la compensazione tra il debito avente ad oggetto il pagamento del canone e l’obbligo del locatore di corrispondere gli interessi legali sul deposito cauzionale (Cass., 21 giugno 2002, n. 9059).
Diritto di prelazione e di riscatto
Ambito di operatività
L’art. 38 l. n. 392/1978 attribuisce al conduttore il quale svolga attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, il diritto di prelazione nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato. In altri termini, il locatore che vuol cedere l’immobile è obbligato a “preferire” il conduttore ad altri, ovviamente solo a condizione che il conduttore accetti le condizioni contrattuali da lui proposte. L’art. 3, comma 1, lett. g),1. 9 dicembre 1998, n. 431, ha esteso il diritto di prelazione anche alle locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo, rinviando, per le modalità di esercizio della prelazione, agli artt. 38 e 39 l. n. 392/78 (su cui, v. infra).
Il diritto di prelazione e quello di riscatto sussistono soltanto nel caso in cui il trasferimento sia attuato mediante una compravendita, non anche nel caso di permuta (Cass., 22 giugno 2006, n. 14455).
Obblighi di comunicazione
Tale vincolo per il locatore si traduce nell’obbligo di dare formale comunicazione al conduttore dell’intenzione di vendere l’immobile. Questa comunicazione deve avvenire con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario e deve indicare, per essere valida, i seguenti requisiti:
a) il corrispettivo a cui si intende vendere, che va necessariamente quantificato in denaro
b) le altre condizioni contrattuali
c) l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.
Modalità di esercizio della prelazione
Il conduttore deve esercitare la prelazione entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione; anch’egli deve farlo con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario e deve offrire condizioni uguali a quelle comunicategli. Una volta esercitato il diritto di prelazione, il conduttore deve procedere al versamento del prezzo di acquisto e ciò deve fare entro trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione da parte del proprietario; contestualmente, si deve procedere alla stipulazione del contratto di vendita o del preliminare di vendita.
Immobile locato a più persone
La legge detta poi norme particolari per l’ipotesi in cui l’immobile risulti locato a più persone; in tal caso il locatore deve effettuare la comunicazione dell’intenzione di vendere a ciascuna di esse. La pluralità dei conduttori, da parte sua, può esercitare congiuntamente il diritto di prelazione: se taluno vi rinuncia, la prelazione può essere comunque esercitata dai rimanenti o dal rimanente conduttore. Al riguardo, la prelazione si intende rinunciata se il conduttore, entro trenta giorni dalla notificazione da parte del proprietario, dell’intenzione di vendere, non ha comunicato agli altri conduttori la volontà di esercitare la prelazione.
Diritto di riscatto
Nel caso in cui il locatore abbia omesso di comunicare nelle forme prescritte l’intenzione di vendere ed abbia quindi venduto l’immobile direttamente a terzi, ovvero abbia venduto a terzi ad un prezzo inferiore rispetto a quello comunicato al conduttore, il conduttore leso nel suo diritto di prelazione può riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni altro successivo avente causa. In altri termini, mediante l’esercizio di questa facoltà, il conduttore è in grado di subentrare unilateralmente al terzo nella titolarità dell’immobile locato, con effetto ex tunc (Cass., 31 luglio 2006, n. 17433; Cass., 4 febbraio 2004, n. 2069).
Dichiarazione di riscatto
La dichiarazione di riscatto deve intervenire entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di vendita e può essere rappresentata tanto da una domanda giudiziale quanto da un atto stragiudiziale.
Trattandosi di atto recettizio, è necessario che esso sia ricevuto dal compratore entro il termine di sei mesi dalla trascrizione della compravendita, atteso che l’effetto preclusivo del diritto di riscatto prodotto dal decorso del termine di decadenza prescinde da ogni considerazione in ordine ai motivi che abbiano, eventualmente, impedito al conduttore di evitare la decadenza.
Qualora la dichiarazione di riscatto sia effettuata con l’atto introduttivo del giudizio diretto a far valere il diritto di riscatto, l’onere di comunicare alla controparte la dichiarazione de qua entro il termine predetto importa che tale atto (ricorso o citazione) sarà idoneo ad impedire la decadenza prevista dall’art. 39 l. 27 luglio 1978, n. 392, solo se sia portato a conoscenza del re-trattato entro il termine di legge, a nulla rilevando, a tal fine, che il giudice adito abbia avuto conoscenza dell’atto sin dal momento in cui lo stesso é stato posto nella sua disponibilità, ad esempio con il deposito del ricorso ai sensi dell’art. 415 c.p.c. (Cass., 8 novembre 2007, n. 23301).
Trascorso il termine senza che la dichiarazione sia intervenuta, il locatore non può riscattare l’immobile, e ciò anche quando l’omissione non dipenda da sua colpa ma sia, ad esempio, da imputare al comportamento fraudolento del proprietario o del compratore (Cass., 22 aprile 1999, n. 3985); ovviamente, in questo caso il conduttore potrà comunque agire per il risarcimento del danno.
Versamento del prezzo
Una volta esercitato il diritto di riscatto, il conduttore deve provvedere a versare il corrispettivo della vendita: ovviamente, l’ammontare di questa somma è rappresentato dal prezzo pagato dal terzo per acquistare l’immobile. La giurisprudenza ritiene che la simulazione relativa del prezzo sia irrilevante ai fini della determinazione del prezzo di riscatto (Cass., 5 marzo 2002, n. 3175). Tale versamento, prescrive l’art. 39, comma 2, deve avvenire entro tre mesi: la data da cui decorrono questi tre mesi dipende dalle circostanze del caso. Può accadere infatti che il conduttore abbia esercitato il suo diritto di riscatto in via stragiudiziale e che l’acquirente gli abbia comunicato di non opporsi al riscatto: in tal caso, i tre mesi decorrono dalla ricezione della dichiarazione di non opposizione al riscatto, purché tale dichiarazione sia stata notificata al conduttore. Può accadere che il conduttore eserciti direttamente il riscatto attraverso una domanda giudiziale, oppure che, avendo infruttuosamente inviato all’acquirente una domanda stragiudiziale, sia costretto ad adire le vie legali per far valere il suo diritto; essendo stato citato in giudizio, l’acquirente ha due possibilità: o opporsi alla pretesa del conduttore, oppure riconoscerne da subito la fondatezza.
Nel primo caso, il giudizio procederà per accertare chi dei due contendenti ha ragione: se viene accolta la pretesa del conduttore, i tre mesi per il pagamento del corrispettivo decorreranno dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Nel caso in cui, invece, l’acquirente convenuto in giudizio non resistesse alla domanda del conduttore, i tre mesi decorreranno dalla prima udienza del giudizio. Il mancato pagamento del prezzo entro tre mesi fa sorgere il diritto del terzo all’adempimento coattivo dell’obbligazione (Cass., 4 settembre 1998, n. 8809).
Una volta descritti il contenuto e le modalità dei diritti di prelazione e riscatto, è opportuno accennare alle principali problematiche affrontate dalla giurisprudenza.
Contatto con il pubblico
Per quanto concerne il presupposto essenziale del diritto di prelazione, e cioè lo svolgimento da parte del conduttore di un’attività che importi contatti diretto con il pubblico, in taluni casi si pone la difficoltà di capire se l’attività esercitata richieda davvero un contatto diretto con il pubblico.
La Cassazione ha posto in luce che le norme sulla prelazione (e così quelle sul riscatto) sono applicabili quando l’immobile è utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta, senza intermediazione, e strumentalmente negoziale alla generalità indifferenziata dei destinatari ultimi dei prodotti o dei servizi offerti, a nulla rilevando che tali prodotti riguardino una cerchia limitata di clienti e non la clientela occasionale (Cass., 23 novembre 1998, n. 11865; Cass., 20 febbraio 1991, n. 1796, che ha escluso la prelazione per gli immobili adibiti a vendita all’ingrosso). Siffatte condizioni non ricorrono quando l’attività comportante contatti diretti con il pubblico, abbia carattere marginale od occasionale rispetto ad altre svolte nello stesso locale: si pensi ad un immobile destinato a deposito a cui solo occasionalmente acceda il pubblico (Cass., 10 luglio 1997, n. 6169; Cass., 25 febbraio 1997, n. 1700; Cass., 12 settembre 1995, n. 9617; Cass., 14 novembre 1994, n. 9558; Cass., 20 aprile 1995, n. 4474). A maggior ragione non può parlarsi di locale aperto alla frequentazione diretta, quando esso sia soltanto locato insieme ad un altro in cui si svolga un’attività commerciale con rapporti con il pubblico: si pensi all’immobile usato come magazzino di merce venduta in altro immobile locato con il primo (Cass., 3 dicembre 1997, n. 12250; Cass., 25 giugno 1997, n. 5676; Cass., 2 giugno 1995, n. 6198).
Costante giurisprudenza nega poi la sussistenza dei diritti di prelazione e riscatto quando l’attività commerciale che implichi contatti diretti con il pubblico sia esercitata senza le prescritte autorizzazioni amministrative (Cass., 7 agosto 2002, n. 11908; Cass., 29 settembre 2000, n. 12966; Cass., 25 febbraio 1998, n. 2041; Cass., 7 maggio 1993, n. 5265).
Attività professionale
Va evidenziato che l’art. 41 l. n. 392/78 in connessione con l’art. 35 della legge nega il diritto di prelazione quando l’immobile è utilizzato per l’esercizio di attività professionali o transitorie (Cass., 15 novembre 1999, n. 12623): al riguardo, è stata qualificata come attività imprenditoriale, e non professionale, quella dell’agente di un’impresa assicuratrice (Cass., 25 febbraio 1997, n. 1706).
Vendita in blocco e vendita cumulativa
Con riferimento agli immobili suscettibili di prelazione, la giurisprudenza ha affrontato il problema dell’ammissibilità della prelazione e del riscatto quando la vendita riguardi un intero complesso immobiliare, di cui quello dato in locazione rappresenta solo una parte (c.d. vendita in blocco): la soluzione nettamente prevalente è nel senso dell’esclusione del diritto di prelazione, in considerazione del fatto che la vendita di un complesso immobiliare rappresenta un’entità patrimoniale distinta e diversa dal bene oggetto di prelazione (Cass., 16 maggio 2006, n. 11378; Cass., 4 febbraio 2004, n. 2069; Cass., 4 febbraio 2002, n. 1443; Cass., 19 maggio 1999, n. 4853; Cass., 12 ottobre 1998, n. 10087; Cass., 2 ottobre 1998, n. 9788; Cass., 18 dicembre 1997, n. 12821).
Dalla vendita in blocco si distingue la vendita cumulativa, cioè la vendita con un unico atto ed a prezzo unitario di distinti immobili: in questo caso, bisogna accertare se le parti hanno inteso trasferire gli immobili in maniera strutturalmente e funzionalmente unitaria, con la conseguenza che non è possibile disporne la separazione senza alterarne l’essenza; o se invece esse non hanno realizzato con un atto formalmente unitario tanti atti di disposizione quanti sono gli immobili. È evidente che i diritti di prelazione e riscatto non sussistono nel primo caso, ma sussistono nel secondo (Cass., 29 febbraio 2008, n. 5502; Cass., 29 ottobre 2001, n. 13420; Cass., 1° settembre 1999, n. 9197; Cass., 21 ottobre 1998, n. 10427; Trib. Udine, 31 agosto 1998; Cass., 5 dicembre 1997, n. 12360).
Conferimento dell’immobile ad una società
Si è poi affermato che il diritto di prelazione e quello di riscatto non sussistono quando il locatore conferisce l’immobile in proprietà ad una società (Cass., 21 luglio 2000, n. 9592); ovvero quando, attraverso la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali, si trasferiscono immobili costituenti il patrimonio di una società, dati in locazione (Cass., 23 luglio 1998, n. 7209). In questi casi, infatti, non sussiste quel “trasferimento a titolo oneroso” che è presupposto essenziale per l’esercizio dei diritti in esame.
Diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento
L’art. 34 l. n. 392/78 attribuisce al conduttore di un immobile ad uso non abitativo, il quale svolga un’attività comportante contatti diretti con il pubblico, il diritto alla corresponsione di un’indennità (variabile tra 18 e 21 mensilità dell’ultimo canone percepito) per il caso di cessazione del rapporto che sia imputabile a fatto del locatore, e non ad inadempimento, disdetta o recesso del conduttore o fallimento di una delle parti o provvedimento della P.A. (Corte cost., 14 dicembre 1989, n. 542). L’indennità è pari a diciotto mensilità dell’ultimo canone corrisposto per gli immobili adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali o di interesse turistico (art. 27, nn. 1 e 2), a 21 mensilità per le attività alberghiere (Cass., 26 febbraio 2002, n. 2834).
L’indennità dovuta al conduttore è raddoppiata quando l’immobile viene adibito dal locatore o da chiunque subentri al conduttore nel godimento, all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente: tale indennità maggiorata è però dovuta solo quando il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.
Venendo all’analisi della giurisprudenza, va evidenziato che il presupposto del diritto in esame — la conduzione da parte del conduttore di un’attività implicarne contatti diretti con il pubblico, di natura commerciale e non professionale o transitoria — è identico a quello che legittima l’esercizio del diritto di prelazione e riscatto: si rinvia pertanto alla casistica riportata al par. 3.2.4. (si vedano comunque: Cass., 27 settembre 2006, n. 20960; App. Napoli, 4 settembre 2006, n. 2381; Cass., 20 febbraio 1999, n. 1435; Cass., 19 marzo 1998, n. 2918; Trib. Milano, 30 giugno 1997). Va chiarito che l’indennità di avviamento è dovuta indipendentemente dalla sussistenza di un’effettiva perdita di clientela (Cass., 16 settembre 2000, n. 12279; Pret. Perugia-Foligno, 14 dicembre 1998, Pret. Siracusa, 22 ottobre 1997).
Il locatore deve prima pagare l’indennità per poter poi procedere all’esecuzione del provvedimento di rilascio (Cass., 9 marzo 2006, n. 5116); l’indennità doppia di cui all’art. 34, comma 2, va invece corrisposta soltanto all’inizio del nuovo esercizio.
Legittimo rifiuto della restituzione dell’immobile
Il conduttore che legittimamente rifiuti la restituzione dell’immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell’indennità di avviamento, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, senza che abbia rilevanza il fatto che egli si limiti a detenere l’immobile astenendosi dall’utilizzarlo (Cass., 21 novembre 2001, n. 14728).
Inadempimento del conduttore
Si sono già esaminate le conseguenze della perdita o del deterioramento dell’immobile imputabili al conduttore.
Mancato pagamento del canone
Per quanto concerne, invece, il mancato rispetto dell’obbligo di pagare il corrispettivo nei termini convenuti occorre tener conto di quanto prescrive per le locazioni urbane l’art. 5 l. n. 392 del 1978: il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista consente al locatore di chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c.: la legge ha in questo caso operato una predeterminazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto (Cass., 11 aprile 2006, n. 8418).
Secondo la costante giurisprudenza, la norma in questione è applicabile solamente alle locazioni ad uso abitativo: nelle locazioni ad uso diverso dall’abitazione, il criterio legale posto dall’art. 5 può essere solo tenuto in considerazione come parametro non vincolante di orientamento per determinare se l’inadempimento sia stato o no di scarsa importanza (Cass., Sez. Un., 28 dicembre 1990, n. 12210; Cass, 29 maggio 1995, n. 2232; Cass., 4 febbraio 2000, n. 12234).
Sanatoria della nullità
La severa valutazione dell’inadempimento del conduttore è mitigata dall’art. 55 1. n. 392/78: tale disposizione consente di sanare la morosità nel pagamento dei canoni e degli oneri di cui all’art. 5, per non più di tre volte nel corso di un quadriennio: la sanatoria avviene con il versamento alla prima udienza dell’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Anche tale norma è applicabile alle sole locazioni ad uso abitativo (Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 272).
Opposizione al tribunale collegiale
Occorre vieppiù considerare che l’art 56 l. n. 392 del 1978 prevedeva, nella sua originaria formulazione, il potere del giudice, all’atto di disporre dell’immobile, di fissare altresì la data di esecuzione del provvedimento entro un termine dilatorio di sei mesi, elevabile in casi eccezionali fino a dodici. Al fine di contrastare l’eccessiva larghezza con cui i giudici erano soliti rinviare il momento dell’esecuzione, l’art. 7 bis d.l 13 settembre 2004, n. 240, introdotto dalla legge di conversione n. 269 del 2004, ha riformato il citato art. 56, prevedendo l’obbligo di motivare il provvedimento di differimento, e soprattutto rendendo sindacabile il provvedimento stesso, limitatamente alla data fissata per l’esecuzione, dinanzi al Tribunale in composizione collegiale.
Danni per ritardata restituzione dell’immobile
Ai sensi dell’art. 1591 c.c., il conduttore in mora a restituire l’immobile è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno. La condanna al risarcimento del maggior danno presuppone la prova specifica dell’esistenza di tal danno (Cass., 7 febbraio 2006, n. 2525; Cass., 6 novembre 2001, n. 13697; Cass., 14 aprile 2000, n. 4864; Cass., 14 febbraio 2000, n. 1645; Cass., 10 febbraio 1999, n. 1133, secondo cui il locatore deve provare l’esistenza di concrete proposte di locazione provenienti di terzi).
Effetti dell’offerta non formale
L’offerta non formale di restituzione dell’immobile locato ha come effetto di escludere la mora del debitore, escludendo la responsabilità per il maggior danno di cui all’art. 1591 c.c., ma non ha, altresì, l’effetto di escludere l’obbligo di corresponsione del solo canone qualora il conduttore resti nella disponibilità dell’immobile (Cass. 10 febbraio 2003, n. 1941).
Trasferimento a titolo particolare della cosa locata ed estinzione del diritto del locatore
Secondo i principi generali, la locazione dovrebbe sciogliersi in caso di alienazione dell’immobile a terzi. L’art. 1599 c.c. introduce tuttavia una deroga a questo principio prevedendo che la locazione è opponibile al terzo acquirente se ha data certa anteriore all’alienazione: proprio perché si tratta di una regola derogatoria rispetto a quella generale, essa non è suscettibile di essere applicata a rapporti diversi da quelli di locazione (Cass., 15 maggio 1991, n. 5454); inoltre, essa non opera quando il terzo ha acquistato il bene locato a titolo originario (Cass., 29 ottobre 1992, n. 11767).
Il comma 3 dello stesso articolo precisa che le locazioni di immobili non trascritte sono opponibili nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione. Di recente, la Cassazione ha statuito che il provvedimento di assegnazione della casa familiare in sede di separazione dei coniugi, se non è trascritto, ed esso deve essere trascritto (Corte cost., 27 luglio 1989, n. 454), è senz’altro inopponibile ai terzi acquirenti anche prima che siano passati nove anni dall’assegnazione (Cass., 6 maggio 1999, n. 4529; App. Roma, 11 dicembre 1996; contra, Cass., 10 dicembre 1996, n. 10977).
Nei casi in cui il diritto del locatore si estingue con effetto retroattivo, la locazione da lui conclusa avente data certa è mantenuta, purché sia stata fatta senza frode e non ecceda il triennio (Cass., 12 maggio 2003, n. 7189).
Recesso del conduttore
L’art. 4 della legge sull’equo canone, non abrogato dalla legislazione successiva, afferma che è in facoltà delle parti prevedere che il conduttore di un immobile ad uso abitativo possa recedere in ogni momento dal contratto, dandone comunque avviso al locatore con lettera raccomandata almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione.
Indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore può recedere in qualsiasi momento dal contratto, qualora ricorrano gravi motivi, sempre con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata. I commi 7 e 8 dell’art. 27 della stessa legge disciplinano in maniera identica il recesso del conduttore di immobili ad uso diverso dall’abitazione.
Nozione di “gravi motivi”
Sorge quindi il problema di cosa debba intendersi per “gravi motivi”: la Cassazione ha ripetutamente affermato che gravi motivi sono quelli estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo, e tali da rendere oltremodo gravosa al conduttore la permanenza nell’immobile (Trib. Bologna, 17 novembre 1998; Cass., 10 dicembre 1996, n. 10980; Cass., 3 febbraio 1994, n. 1098; Cass., 20 ottobre 1992, n. 11466): sulla base di questo principio, la giurisprudenza tende ad escludere che costituisca un valido motivo di recesso l’incremento dell’attività imprenditoriale del conduttore, con la conseguente inadeguatezza dei locali, visto che tale evento è normalmente voluto dal conduttore stesso, e quindi non imprevedibile. Può invece rappresentare un grave motivo legittimante il recesso, l’andamento della congiuntura economica, ove esso appaia oggettivamente imprevedibile: ovvero la mancata realizzazione di un preannunciato piano di sviluppo edilizio e commerciale di una zona periferica che abbia rappresentato un motivo determinante per la conclusione del contratto.
Modello Contratto di Locazione
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di locazione in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di locazione può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.