In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche del contratto di vendita di beni immobili e mettiamo a disposizione un fac simile di contratto da scaricare.
Contratto di Vendita di Beni Immobili
All’interno del codice civile non sono molte le norme che disciplinano la vendita di beni immobili (artt. 1537-1541); non mancano, tuttavia, diverse leggi speciali che regolano alcune fattispecie particolari, e di cui si tratterà più avanti.
Secondo la definizione dettata dall’art. 812 c.c., sono qualificati “beni immobili” il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo, ed inoltre, i mulini, i bagni, e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.
Oggetto della vendita non sono gli immobili, ma i diritti su di essi e quindi, ad esempio, il diritto di proprietà, di usufrutto e così via; pertanto, è qualificabile come vendita di beni immobili anche il caso di costituzione sul bene oggetto del contratto, di un diritto reale limitato contro il corrispettivo di un prezzo o nel caso in cui si trasferisca semplicemente la nuda proprietà riservandosene l’usufrutto.
Oggetto
Anche in tema di vendita immobiliare deve ricorrere il requisito della determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto; per cui, ad esempio, non si potrà ritenere determinato l’oggetto nel caso in cui di un lotto di terreno da staccarsi da uno più grande, non siano specificati i confini e venga indicata soltanto approssimativamente l’estensione (Cass., 12 luglio 2000, n. 9235; Cass., 31 luglio 1989, n. 3562).
Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto di detto contratto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto scritto (e, perciò, documentati e non estrinseci all’atto stesso), e tale requisito deve essere ravvisato nella inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente idonei allo scopo e ad impedire, perciò, che rimangano margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile; il relativo accertamento — così come quello relativo alla valutazione circa la sufficienza delle indicazioni riportate nella nota di trascrizione per l’esatta individuazione del bene oggetto della vendita — integra la risultante di un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici ed errori di diritto (Cass., 29 maggio 2007, n. 12506).
Ai fini dell’individuazione dell’immobile oggetto di una compravendita immobiliare, l’indicazione dei confini — i quali, concernendo punti oggettivi di riferimento esterni, consentono la massima precisione — assume valore decisivo e prevalente rispetto alle altre risultanze probatorie, ed in particolare ai dati catastali che, avendo tra l’altro finalità di natura tributaria, hanno carattere sussidiario (Cass., 24 aprile 2007, n. 9857). Si ritiene ammissibile la vendita di cose generiche appartenenti ad un genus limitandum, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico sancito dall’art. 1367 c.c., anche rispetto agli immobili, relativamente al genus limitatitum costituito dal complesso di un determinato fondo. In particolare, nella compravendita di un terreno che debba essere distaccato da una maggiore estensione, e indicato soltanto quantitativamente nella misura della sua superficie, sussiste il requisito della determinabilità dell’oggetto quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come genus, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonché stabilito la misura della estensione da distaccare, e sempre che per la determinazione del terreno venduto non debba richiedersi una nuova manifestazione di volontà delle parti, null’altro occorrendo, ai fini della sussistenza del suddetto requisito, se non l’adempimento del venditore che deve prestare la cosa determinata solo nel genere attenendosi al disposto dell’art. 1178 c.c.
Tale requisito di determinabilità dell’oggetto sussiste quando nel contratto siano contenuti elementi prestabiliti dalle parti, che possono consistere anche nel riferimento a dati di fatto esistenti e sicuramente accettabili, i quali siano idonei alla identificazione del terreno da trasferire mediante un procedimento tecnico di mera attuazione che ne individui la dislocazione nell’ambito del fondo maggiore, per cui la consegna di una parte piuttosto che di un’altra risulti di per sé irrilevante, essendo i diversi tratti di terreno del tutto equivalenti: per esempio, indicando l’ubicazione e la forma all’interno della più ampia superficie, ovvero demandando ad un terzo o a una delle parti la determinazione.
Rileva per contro l’impossibilità di determinare la esatta consistenza del terreno da trasferire nel caso in cui sussistano margini di dubbio sulla identità del terreno venduto e si renda perciò necessario tornare alla determinazione dell’oggetto con un patto successivo (Cass., 29 marzo 2006, n. 7279).
I dati catastali, come detto, non hanno valore determinante rispetto al contenuto descrittivo del titolo ed ai confini indicati nell’atto, tuttavia, essi possono assumere valore determinante nel caso in cui, le parti, per individuare l’immobile, abbiano fatto riferimento esclusivo ad essi e manchi un qualsiasi contrasto tra gli stessi ed i confini del bene (Cass., 6 luglio 1990, n. 7138); come valore determinante hanno anche il tipo di frazionamento, quando le parti vi abbiano fatto esplicito riferimento (Cass., 24 febbraio 2004, n. 3633; Cass., 7 giugno 1993, n. 6356; Cass., 7 maggio 1991, n. 5016), le schede di accatastamento (Cass., 28 novembre 1996, n. 10611), o la planimetria (Cass., 6 aprile 1995, n. 4016). I dati catastali prevalgono sui confini, ai fini probatori, quando questi ultimi siano imprecisi o indicati nell’atto in modo inadeguato o impreciso. Negli altri casi si deve invece ritenere che siano i confini a prevalere sui dati catastali (Trib. Ferrara, 18 dicembre 2006, n. 1584).
In tema di vendita immobiliare a corpo, l’individuazione del bene alienato va compiuta in base alla complessiva ed oggettiva descrizione fattane dai contraenti, ivi compresa la misura del fondo che — essendo, ai sensi dell’art. 1538 c.c., irrilevante esclusivamente in riferimento alla determinazione del prezzo — costituisce un elemento idoneo a concorrere, con gli elementi topografico-catastali e con i confini menzionati dalle parti, nella identificazione dell’immobile; pertanto, pur se la misura e le risultanze catastali non possono avere valore prevalente rispetto ai confini, con cui le parti abbiano inteso ulteriormente specificare il bene venduto, deve costituire oggetto di un rigoroso accertamento l’identificazione dei confini, quando sulla base di questi si riscontri una concreta divergenza dell’estensione del fondo rispetto alla misura e ai dati catastali, ai quali le stesse parti hanno fatto riferimento alla misura e ai dati catastali, ai quali le stesse parti hanno fatto riferimento.
Ne consegue che in tal caso occorre verificare, sul piano storico, lo stato dei luoghi esistenti e conosciuti dalle parti al momento della stipula dell’atto, giacché, mentre costituisce un valido criterio di indagine la presunzione di conformità di tale stato a quello anteriore, non altrettanto può dirsi della presunzione di una conformità del medesimo a quello successivo, dovendosi in quest’ultima ipotesi accertare quando si sia verificata la divergenza fra i confini risultanti dalle mappe catastali e quelli successivamente individuati (Cass., sez. II, 22 novembre 2004, n. 22038),
Non sono trasferibili (il che non significa, però, che a determinate condizioni il bene non possa esser goduto) i beni demaniali per i quali il codice (art. 823 c.c.) prevede che «i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano».
In altri casi determinati beni, pur essendo trasferibili, non possono essere distolti dalla loro destinazione; esempi di tali beni sono:
—i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, i quali non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828 c.c.);
—gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, i quali, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano (art. 831 c.c.).
Alcuni beni immobili sono soggetti a prelazione legale; ossia, ove il proprietario del detto immobile lo voglia vendere è obbligato a dare a determinati soggetti la possibilità di acquistarlo alle stesse condizioni cui aveva trovato a venderlo.
Ci si riferisce, in particolare, alle prelazioni legali in materia agraria, urbana e storico o artistico, disciplinate dalle leggi:
—27 luglio 1978, n. 392, art. 38, in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, che attribuisce, in caso di alienazione a titolo oneroso del bene locato, la prelazione al conduttore;
—d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, disciplinante la prelazione dello Stato in caso di alienazione di un immobile storico-artistico;
—9 dicembre 1998, n. 431, art. 3, in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso abitazione, che attribuisce, in caso di alienazione a titolo oneroso del bene locato, la prelazione al conduttore;
—26 maggio 1965, n. 590, art. 8, prevede che in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha, a determinate condizioni, diritto di prelazione;
—14 agosto 1971, n. 817, art. 7, attribuisce la prelazione di cui al punto precedente anche al mezzadro o al colono il cui contratto sia stato stipulato dopo l’entrata in vigore della 1. 15 settembre 1964, n. 756 ed al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti.
Parcheggi
Premesso che gli spazi a parcheggio sono porzioni di terreno destinati alla sosta degli autoveicoli ed alle manovre relative, si pone il problema se possano essere negoziati separatamente dalla costruzione o dall’unità immobiliare.
La risposta non è unica e varia a seconda di quando sia stato costruito il detto posto auto.
In particolare bisogna distinguere tra i parcheggi previsti dalla c.d. legge ponte (art. 18 1. 6 agosto 1967, n. 765), tra quelli disciplinati dalla c.d. le:4:e Tognoli (art. 9 1. 24 marzo 1989, n. 122) ed infine quelli che non rientrano in alcuna delle suddette leggi, c.d. parcheggi liberi.
La speciale normativa urbanistica che prescrive la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggio (art. 41 sexies 1. 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall’art. 18, L 6 agosto 1967, n. 765, e modificato dall’art. 9, L 24 marzo 1989, n. 122, ed art. 26, comma 4, L 28 febbraio 1985, n. 47) pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non può subire deroga negli atti privati di disposizione degli spazi stessi ed il cui contenuto è, tuttavia, limitato all’imposizione che appositi spazi siano riservati a parcheggio nelle nuove costruzioni in misura proporzionale alla cubatura totale del fabbricato, e a stabilire un nesso pertinenziale tra tali spazi e l’intero edificio. È pertanto consentito il trasferimento dell’area di parcheggio globalmente e pro indiviso agli acquirenti dei vari appartamenti, in modo che costituisca una parte comune (Cass., 22 agosto 2006, n. 18255).
Dato che anche questo vincolo pertinenziale non può venire mai meno, ogni patto volto a scindere l’uso del parcheggio da quello dell’immobile cui accede è nullo e, per effetto dell’art. 1419 c.c., è sostituito automaticamente da una clausola, deducibile dal sistema, volta a garantire al fruitore dell’immobile (condomino o inquilino) il diritto reale d’uso del parcheggio.
La proprietà del parcheggio sarà comunque trasferibile separatamente dalla proprietà dell’immobile di cui costituisce pertinenza, ma l’uso dello
stesso non potrà che spettare al fruitore (Cass., Sez. Un.,
18 luglio 1989, n. 3363); i contratti di autonoma disposizione dei parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale d’uso a favore del solare dell’unità abitativa, per cui anche se il proprietario della costruzione ha riservato per sé la proprietà dei posti auto, deve comunque garantire ai condomini il diritto reale d’uso sul posto auto. In caso contrario l’atto è parzialmente nullo, e viene ope legis integrato dal trasferimento di questo diritto (Cass., 18 luglio 1991, n. 7994; Cass., 25 febbraio 1992, n. 2337; Cass., 21 aprile 1993, n. 4691; Cass., 20 aprile 1993, n. 4622; Cass., 27 dicembre 1994, n. 11188; Cass., 10 gennaio 1995, n. 244; Cass., 27 ottobre 1995, n. 11194; Cass., 22 aprile 1996, n. 1799; Cass., Sez. Un., 5 novembre 1996, n. 9631; Cass., 7 marzo 1997, n. 2036; Cass., 14 novembre 2000, n. 14731).
In concreto si potranno ricorrere queste ipotesi:
—il venditore-costruttore cede al futuro condomino il singolo appartamento e tace sul posto auto. In tal caso, essendo il posto auto pertinenza dell’appartamento, il trasferimento dell’appartamento comprenderà anche il trasferimento del parcheggio;
—il venditore cede all’acquirente il singolo appartamento, ma riserva a sé la proprietà del posto auto. La clausola di riserva è valida se è riservato il diritto reale d’uso del posto auto all’acquirente, altrimenti è nulla nei termini su descritti, quindi con sostituzione ex lege di una clausola volta a garantire il detto diritto d’uso al fruitore dell’immobile;
-il venditore cede a terzi estranei al condominio il posto auto. Derivano le stesse conseguenze dell’ipotesi precedente;
-il venditore cede ad un singolo condomino un posto auto determinato. La vendita è valida se nessun condomino resta senza parcheggio; viceversa se i posti auto sono ceduti ai singoli condomini, ma anche un solo condomino ne resta privo, tutti i posti auto sono assoggettati al diritto reale d’uso a favore del condomino insoddisfatto.
In conclusione, il posto auto è pertinenza del fabbricato e, pertanto, il singolo condomino non ne può disporre, non vi può rinunciare, né prima né dopo l’acquisto, né può cederlo ad altri estranei al fabbricato.
Quanto ai parcheggi Tognoli, disciplinati dalla 1. 24 mano 1989, n. 122, è espressamente previsto che i posti auto, realizzati usufruendo dei benefici previsti dalla detta legge, non possano essere ceduti (neanche a titolo gratuito) separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale (art. 9, comma 5, I. n. 122 del 1989), pena la nullità dell’atto.
Per cui si hanno le seguenti possibilità
—l’atto di cessione riguarda solo il parcheggio. L’atto è nullo;
—l’atto di cessione riguarda l’unità immobiliare, senza far menzione del parcheggio. L’atto è valido e comporta anche il trasferimento del parcheggio, in quanto pertinenza;
—l’atto di cessione concerne l’unità immobiliare, ma l’alienante si è riservato la proprietà del parcheggio. L’atto è nullo per la parte relativa alla riserva di proprietà del parcheggio, con la sostituzione di diritto della clausola nulla ex art. 1419, comma 2 c.c.
Parcheggi liberi
Infine, i parcheggi c.d. liberi, in quanto non rientranti in alcuna delle tipologie su esposte o perché negoziati nei periodi in cui alcuni decreti legge — poi non convertiti — ne consentivano la cessione separatamente dall’alloggio, sono liberamente disponibili dalle parti, ferma rimanendo la destinazione d’uso.
Disciplina urbanistica
Il legislatore (L. 28 febbraio 1985, n. 47) ha imposto alcuni obblighi in caso di alienazione di terreni o di immobili. In particolare
-gli atti, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica (che conserva validità per un anno dalla data di rilascio se, per dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici) contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata. Tali disposizioni però non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell’area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati (art. 18), e non si applicano, comunque, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù. In caso di mancato rilascio del suddetto certificato, esso può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti attestante l’avvenuta presentazione della domanda, nonché la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero l’inesistenza di questi ovvero la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi
-gli atti, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della I. n. 47 del 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (art. 17); è bene precisare che se la mancata indicazione in atto degli estremi della concessione edilizia non sia dipesa dalla insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa, nonché che le nullità di cui all’art. 17 non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali;
-mentre, gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, costruiti prima dell’entrata in vigore della detta legge (1° ottobre 1983), sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione, ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione. Per le opere iniziate anteriormente al 15 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante che l’opera risulta iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo. Per gli edifici di proprietà comunale, in luogo degli estremi della licenza edilizia o della concessione di edificare, possono essere prodotti quelli della deliberazione con la quale il progetto è stato approvato o l’opera autorizzata (art. 40). Però, a seguito della riforma introdotta dall’art. 2, comma 58, 1. 23 dicembre 1996, n. 662, gli atti suddetti, aventi per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricati costruiti senza concessione edilizia, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultino gli estremi della domanda di condono con gli estremi del versamento, in una o più rate, dell’intera somma dovuta a titolo di oblazione e di contributo concessorio nonché, per i fabbricati assoggettati ai vincoli di cui all’art. 32, terzo comma, I. 28 febbraio 1985, n. 47, l’attestazione dell’avvenuta richiesta alle autorità competenti dell’espressione del parere di cui alla citata disposizione. Verificatosi il silenzio assenso disciplinato dall’art. 39, comma 4,1.23 dicembre 1994, n. 724, nei predetti atti devono essere indicati, a pena di nullità, i seguenti elementi costitutivi dello stesso: data della domanda, estremi del versamento di tutte le somme dovute, dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo precedente, dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell’art. 39, comma 4, della citata 1. n. 724 del 1994. Nei successivi atti negoziali è consentito fare riferimento agli estremi di un precedente atto pubblico che riporti i dati sopraccitati;
-se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi non sia dipesa dalla insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 15 settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente. Anche in questa ipotesi le dette nullità non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa.
Vendita a misura
La vendita può essere fatta “a misura”; ciò avviene quando l’immobile è venduto con l’indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto per ogni unità di misura (ad esempio € 2000 al metro quadrato).
In detto caso, il compratore ha diritto a una riduzione, se la misura effettiva dell’immobile è inferiore a quella indicata nel contratto. Se la misura risulta superiore a quella indicata nel contratto, il compratore deve corrispondere il supplemento del prezzo, ma ha facoltà di recedere dal contratto qualora l’eccedenza oltrepassi la ventesima parte della misura dichiarata (art. 1537 c.c.); in tal caso, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare le spese del contratto (art. 1539 c.c.), mentre il compratore deve restituire l’immobile, con i frutti e gli interessi maturati dal giorno del recesso.
Il diritto del venditore al supplemento e quello del compratore alla diminuzione del prezzo o al recesso dal contratto si prescrivono in un anno dalla consegna dell’immobile (art. 1541 c.c.).
Vendita a corpo
Si ha vendita “a corpo” nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell’immobile e dunque non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto.
Nel caso in cui dovrebbe pagarsi un supplemento di prezzo, il compratore ha la scelta di recedere dal contratto o di corrispondere il supplemento (art. 1538 c.c.); ove decida di recedere, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare le spese del contratto (art. 1539 c.c.), mentre il compratore deve restituire l’immobile, con i frutti e gli interessi maturati dal giorno del recesso. Si ricorda che il supplemento di prezzo eventualmente dovuto va calcolato sulla base dell’incremento di valore globale, ma non con riferimento soltanto al valore ricavato dalla divisione del prezzo globale originario per il numero delle unità di superficie del bene stesso.
Il diritto del venditore al supplemento e quello del compratore alla diminuzione del prezzo o al recesso dal contratto si prescrivono in un anno dalla consegna dell’immobile (art. 1541 c.c.).
Peraltro, la detta disciplina postula che il prezzo medesimo sia stato determinato anche in relazione all’estensione del bene, e, pertanto, non trova applicazione quando il corrispettivo non risulti in alcun modo collegato a tale estensione
Vendita cumulativa di più immobili
Se due o più immobili sono stati venduti con lo stesso contratto per un solo e medesimo prezzo, con l’indicazione della misura di ciascuno di essi, e si trova che la quantità è minore nell’uno e maggiore nell’altro, se ne fa la compensazione fino alla debita concorrenza; il diritto al supplemento o alla diminuzione del prezzo spetta in conformità delle disposizioni stabilite in materia di vendita a misura o a corpo (art. 1540 c.c.).
Forma
Per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare (e relativi preliminari), è richiesta la forma scritta.
Prevista ad substantiam, detto requisito di forma comporta che l’atto scritto, costituendo lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva degli effetti del negozio con efficienza pari alla volontà dell’altro contraente, non può essere sostituito da una dichiarazione confessoria dell’altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto né quando anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto — come prova del medesimo; pertanto, il requisito di forma può ritenersi soddisfatto solo se il documento costituisca l’estrinsecazione formale diretta della volontà negoziale delle parti e non anche quando esso si limiti a richiamare un accordo altrimenti concluso, essendo in tal caso necessario che anche tale accordo rivesta la forma scritta e contenga tutti gli elementi essenziali del contratto non risultanti dall’altro documento, senza alcuna possibilità di integrazione attraverso il ricorso a prove storiche, non consentite dall’art. 2725 c.c.
La vendita può validamente essere stipulata per scrittura privata, anche se nella pratica commerciale si adotta generalmente la forma dell’atto pubblico; e ciò non solo per la maggior garanzia di regolarità che dà il notaio, ma anche per facilitare gli adempimenti della trascrizione.
Mancanza della licenza di abitabilità o Certificato di agibilità
Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità (a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 380 del 2001 “certificato di agibilità”) è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economico-sociale e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto, sicché deve escludersi che il certificato per la destinazione dell’immobile ad uso ufficio possa equivalere a quello per la destinazione ad uso abitazione; pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari.
II venditore è responsabile quando ha trasferito un bene non dotato delle caratteristiche di utilizzabilità e commerciabilità sue proprie.
La “licenza d’abitabilità” o “certificato di agibilità” è un elemento che caratterizza l’immobile compravenduto in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economica-sociale e quindi, di soddisfare i bisogni concreti che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto.
Tuttavia, pur attenendo alle qualità essenziali del bene, la sua assenza non rende il contratto nullo, bensì qualifica soltanto l’inadempimento del venditore per consegna di aliud pro allo. La vendita di un immobile privo delle caratteristiche idonee a permettergli di conseguire l’abitabilità legale, in quanto non rispettoso delle norme di edilizia o di igiene, integra la prestazione di aliud pro alio, che abilita l’acquirente a chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453, 1476 e 1477 c.c. essendo la cosa venduta del tutto inidonea ad assolvere alla sua destinazione economico-sociale e quindi a soddisfare in concreto le esigenze che determinano l’acquirente a contrarre.
Ne consegue che l’immobile, in mancanza di espresso patto contrario con il quale l’acquirente intenda rinunciare ad alcuni dei requisiti necessari ai fini dell’abitabilità dell’immobile o, comunque, esonerare il venditore dal relativo obbligo, non possa essere venduto se non presenta tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio, perché in tal caso il bene non dispone della sua normale attitudine, essenziale ai fini del legittimo godimento: e dò, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che ne avesse l’acquirente che non vale ad escludere l’inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio.
La circostanza che il bene venduto sia privo di licenza d’abitabilità/certificato di agibilità, può integrare un fatto penalmente rilevante a carico dei proprietari, ma non determina per dò solo l’invalidità del contratto di locazione, la cui causa non si pone in contrasto con le ragioni d’ordine pubblico che hanno ispirato l’emanazione delle norme in materia urbanistico — edilizia e sanitaria.
Quindi, in assenza della licenza di abitabilità/agibilità, il contratto non è nullo, ma solo risolubile per inadempimento ed, inoltre, si esclude che l’obbligo del venditore di fare ottenere al compratore il certificato d’abitabilità, avendo ad oggetto il fatto del terzo (autorità comunale) ed inquadrandosi quindi nella previsione dell’art. 1381 c.c., sia un obbligo coercibile.
È fatta salva, naturalmente, la possibilità di una diversa volontà delle parti che possono, pertanto, prevedere che il venditore non sia tenuto a consegnare al compratore, tra i vari documenti, il certificato d’abitabilità.
Nullità derivante da leggi speciali
La l. 21 novembre 2000, n. 353 (Legge-quadro in materia di incendi boschivi) prevede (art. 10) che le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dai detti eventi, deve essere espressamente richiamato il citato vincolo, pena la nullità dell’atto.
Il d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 311 (in suppl. ord. n. 26/L alla G.U. n. 26 del 1° febbraio 2007), in vigore dal 2 febbraio 2007, ha modificato alcune disposizioni del d.lgs. 19 agosto 2005 n. 192, con l’effetto di introdurre l’obbligo di allegazione dell’attestato di qualificazione energetica a pena di nullità relativa degli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso, con le modalità ed eccezioni previste ai commi 2 e 3 dell’art. 3 del citato decreto.
Deve essere allegato all’atto, in originale o in copia autenticata, l’attestato di qualificazione energetica di cui, entro un anno dalla data di entrata in vigore del detto d.lgs., i detti edifici dovranno essere dotati al termine della costruzione medesima ed a cura del costruttore.
Bisogna però ricordare che ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto, sono escluse dall’applicazione del citato decreto alcune categorie di edifici e di impianti e precisamente:
-sono esclusi innanzitutto, a determinate condizioni, gli immobili ricadenti nell’ambito della disciplina della parte seconda e dell’art. 136, comma 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 42/244 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Gli immobili indicati nella parte seconda del Codice sono i beni immobili culturali. I beni immobili paesaggistici indicati nell’art. 136, comma 1, lett. b) e c), sono: b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni sui beni culturali, che si distinguono per la loro non comune bellezza; c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico.
L’esclusione dei suddetti immobili culturali e di valore paesaggistico opera, più precisamente, nei soli casi in cui «il rispetto delle prescrizioni implicherebbe una alterazione inaccettabile del loro carattere o aspetto con particolare riferimento ai caratteri storici o artistici».
-Sono poi esclusi i fabbricati industriali, artigianali e agricoli non residenziali, quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili.
Da tale disposizione si desume che gli edifici non residenziali sono normalmente soggetti alla disciplina della certificazione energetica, unitamente a quelli residenziali, salve le eccezioni sopra descritte.
-Sono ancora esclusi i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 metri quadrati, qualunque sia la loro destinazione e la dotazione dei relativi impianti.
-Infine, sono esclusi dall’obbligo di certificazione energetica gli impianti installati ai fini del processo produttivo realizzato nell’edificio, anche se utilizzati, in parte non preponderante, per gli usi tipici del settore civile.
Di conseguenza, deve ritenersi che
-l’obbligo di allegazione non trovi applicazione agli edifici non ultimati (per i quali non esiste l’obbligo di dotarsi di attestato. La qualifica di fabbricato non ultimato può risultare da dichiarazione di parte, ovvero, preferibilmente, da apposita perizia o dichiarazione rilasciata dal direttore dei lavori;
-l’obbligo di allegazione trovi applicazione — con le cadenze temporali previste — in tutti i casi in cui, ai sensi dell’art. 3, commi 1 e ss., è obbligatoria la certificazione energetica degli edifici.
Nella fase di pubblicazione e stampa del presente volume, è stato emanato il di. 25 giugno 2008, n. 112, che all’art. 35 comma 2, abroga, con effetto immediato dal giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto medesimo, l’art. 13 d.m. 22 gennaio 2008, n. 37, recante il Regolamento concernente l’attuazione dell’art. 11 quaterdecies, comma 13, lett. a, 1. 2 dicembre 2005, n. 248, in tema di riordino delle disposizione in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici; ne consegue che vengono meno tutti gli obblighi in esso previsti come sopra illustrati.
Risoluzione, risarcimento del danno, vizi del consenso
Le azioni previste dagli artt. 1537, 1538, c.c., in tema di vendite immobiliari a corpo ovvero a misura non escludono l’esperibilità della generale azione di risoluzione contrattuale e di risarcimento per dolo o colpa del contraente inadempiente di cui all’art. 1218, c.c.; le prime presuppongono il solo fatto obbiettivo che sia stata consegnata una quantità maggiore o minore della cosa rispetto a quella pattuita, la seconda presuppone il dolo o la colpa della parte inadempiente alla obbligazione di consegnare la cosa immobile nella quantità pattuita.
Si noti, comunque, che l’art. 1538 c.c., che, per le vendita a corpo, prevede il rimedio della diminuzione o del supplemento di prezzo in ipotesi di difformità tra la misura reale dell’immobile e quella indicata in contratto, salva per il compratore la facoltà di recedere dal contratto, si applica alle vendite a corpo validamente stipulate ed a quelle inficiate da mero errore, mentre non opera quando la stipulazione a corpo sia stata determinata da dolo del venditore, ossia quando l’errore sull’esatta estensione del fondo sia conseguenza del raggiro posto in essere dal venditore e sia la ragione che ha determinato il compratore ad acquistare l’immobile a corpo e non a misura, nel qual caso quest’ultimo ben può invocare l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1427 cc.
Modello Contratto di Vendita di Beni Immobili
Di seguito è possibile trovare un fac simile contratto di vendita di beni immobili in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di contratto di vendita di beni immobili può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.