In questa guida spieghiamo quali sono le caratteristiche dei patti parasociali e mettiamo a disposizione un fac simile di patto di sindacato di voto e di blocco da scaricare.
Caratteristiche dei Patti Parasociali
Gli artt. 2341 bis e 2341ter c.c., introdotti con la riforma del diritto societario, disciplinano i patti parasociali, avendo inteso il legislatore recepire e regolare una prassi che ha reso sempre più diffusa, ed in verità imprescindibile nelle grandi realtà societarie, la conclusione di accordi a latere dell’atto costitutivo e dello statuto. Ed infatti l’esperienza di tali accordi, le opinioni dottrinarie ed i precedenti giurisprudenziali costituiscono il presupposto da cui muove la disciplina codicistica (tecnica, questa, che è stata seguita nella elaborazione di molte disposizioni da parte del legislatore del riforma del diritto societario).
Dalla prassi giurisprudenziale formatasi prima della riforma si trae la definizione dei patti parasociali, quali accordi atipici con i quali i soci, contestualmente o dopo la nascita della società, regolano molti aspetti della vita della società cui partecipano (predeterminazione delle scelte gestionali e della composizione della compagine societaria, esercizio del diritto di voto, ripartizione degli utili, aumenti del capitale sociale, criteri di nomina dell’amministratore etc.). In particolare, si parla di patto parasociale con riferimento a qualsiasi accordo che disciplina uno o più aspetti della vita della società, con l’obbligo dei soci contraenti a far sì che l’intesa raggiunta, se necessario, venga tradotta in atto della società.
Tipologie di petti
Sempre la prassi ha individuato diverse tipologie di accordi parasociali.
Molto diffuso nella prassi è il sindacato di voto.
Con esso i soci si impegnano ad esprimere in assemblea il voto in conformità a quanto previamente deliberato nel sindacato. In questo modo i soci contraenti, che da soli non sarebbero in grado di esprimere una maggioranza in seno all’assemblea, possono indirettamente controllare la società. Più in particolare, i soci aderenti si impegnano a concordare previamente quale voto esprimere in assemblea ed ogni contraente che aderisce al patto si impegna a seguire in assemblea l’indicazione di voto emersa in seno al sindacato (di norma è prevista la regola maggioritaria in seno al sindacato). L’esecuzione della decisione adottata nel sindacato può essere realizzata anche con il conferimento di una delega ad un rappresentante comune dei soci il quale esprimerà il voto secondo le indicazioni della maggioranza; o con il conferimento di un mandato irrevocabile ad uno dei soci (o a un terzo), al quale siano state eventualmente anche trasferite fiduciariamente le azioni dei contraenti, a votare in tutte le assemblee conformemente alle determinazioni della maggioranza. Si tratta, come appare è evidente, di un patto parasociale molto discusso in dottrina ed in giurisprudenza, in quanto può determinare di fatto lo svuotamento della funzione dell’assemblea dei soci.
Vanno poi ricordati il sindacato di gestione, con cui i soci si impegnano a fare in modo che gli amministratori si conformino a pattuizioni riguardanti la gestione societaria; il sindacato di blocco, con cui i soci si impegnano a non cedere le azioni a terzi ovvero a cederle solo a determinate condizioni o ad alcuni soggetti (in quest’ultimo caso può configurarsi un patto di prelazione tra gli aderenti); il sindacato di collocamento, con cui i soci regolano i propri rapporti nel caso in cui intendano in seguito collocare le azioni della società sul mercato. Infine, meritano di essere ricordati gli accordi volti a regolare il finanziamento della società da parte dei soci, i quali si vincolano a sottoscrivere futuri aumenti di capitale; e quelli attraverso i quali si individuano i criteri secondo cui opereranno ed agiranno i componenti del consiglio di amministrazione.
Evoluzione giurisprudenziale
I patti parasociali sono accordi atipici e ritenuti meritevoli di interesse ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. e, dunque, leciti. Peraltro, il percorso che ha condotto all’odierno riconoscimento della validità dei patti parasociali è stato lungo e non senza contrasti, mentre ancora di recente sono state espresse autorevoli opinioni contrarie al riconoscimento della possibilità che la volontà sociale si formi al di fuori dell’assemblea.
Allo stesso modo, forti critiche hanno ricevuto alcuni accordi parasociali, che prevedono trasferimenti fiduciari di azioni o conferimento di procure, a tempo indeterminato, a terzi ad esercitare il diritto di voto.
Un generale sfavore per i patti parasociali, anche se avevano natura meramente obbligatoria, era quello espresso dalla giurisprudenza più risalente secondo la quale essi erano nulli, in quanto recano un pregiudizio alla società e sono in contrasto con l’interesse della società (Cass., 29 gennaio 1964; Cass., 23 aprile 1969, n. 1290; Cass., 22 dicembre 1969, n. 4023; Cass., 23 aprile 1975, n. 1581). Essi, secondo tale opinione, in definitiva svuotano il significato dell’assemblea e violano norme di legge: l’art. 2383, comma 1, c.c. che attribuisce solo all’assemblea il potere di nominare gli amministratori e l’art. 2363 c.c. che sancisce il principio maggioritario per le delibere assembleari (e che verrebbe violato nel momento in cui la decisione adottata dalla assemblea, conformemente a quanto deliberato a maggioranza dal sindacato di voto, esprime in realtà la volontà di una minoranza).
Questa era anche la posizione di larga parte della giurisprudenza di merito (vedi Trib. Milano, 14 aprile 1989; Trib. Milano, 28 marzo 1990.
Solo in tempi relativamente recenti dunque vi è stato il riconoscimento della validità dei patti parasociali e ciò è avvenuto con Cass., 20 settembre 1995, n. 9975, che ha affermato che tali accordi (nella specie si discuteva della validità di un sindacato di voto avente ad oggetto la nomina degli amministratori della società) disciplinano in via meramente obbligatoria, e limitata ai soci aderenti, il modo in cui deve atteggiarsi il diritto di voto, senza alcun effetto diretto nei confronti della società.
Quanto al problema dello svuotamento di significato dell’assemblea, la Suprema Corte ha osservato in quell’occasione che il vincolo nascente dalla convenzione, in quanto esterna all’organizzazione sociale, si pone su un piano diverso, sicché la scelta del contraente di adempiere all’obbligo assunto con l’adesione al sindacato di voto opera come un qualsiasi “motivo soggettivo ed individuale” che induce un socio ad assumere un determinato atteggiamento in sede assembleare.
Secondo tale ricostruzione, non vi è dunque violazione delle norme sulla formazione delle maggioranze assembleari e sulla esclusività del potere di nomina degli amministratori da parte dell’assemblea, in quanto il patto parasociale non incide direttamente sui poteri e le funzioni dell’assemblea, le cui prerogative rimangono formalmente intatte (Cass., 23 novembre 2001, n. 14865).
Validità temporale
L’unico limite posto alla validità del patto parasociale, ormai entrato a far parte del panorama giuridico italiano, è rappresentato dalla durata, la quale deve essere necessariamente predeterminata. Pertanto, il limite temporale deve essere espressamente contenuto nel patto o, comunque, desumibile dal concreto atteggiarsi dello stesso (ad es. perché relativo ad una singola operazione), non essendo, invece, consentito che il vincolo sia assunto per tutta la durata della società ovvero fino a quando il contraente facesse parte della compagine societaria. In mancanza di un termine, l’accordo è considerato nullo (Cass., 20 settembre 1995, n. 9975), mentre secondo un diverso orientamento, è valido anche il patto senza determinazione di tempo, ma l’aderente avrebbe diritto di recedere ad nutum dalla convenzione non contenente la previsione di una durata (Cass., 23 novembre 2001, n. 14865; App. Milano, 24 luglio 1998).
Efficacia dei patti ed inadempimento
I patti parasociali hanno un’efficacia meramente obbligatoria, per cui non sono opponibili alla società (potrebbero di fatto avere un’efficacia reale quegli accordi attraverso trasferimenti fiduciari di azioni, i quali rendono concretamente impossibile al sodo aderente di non adempiere all’obbligo assunto).
L’inadempimento da parte del socio contraente all’obbligo assunto produce, dunque, conseguenze solo a carattere risarcitorio (Trib. Milano, 2 luglio 2001).
In tale prospettiva, è considerata lecita la previsione di una penale a carico del socio che non si adegua a quanto stabilito (App. Milano, 24 luglio 1998), mentre è stata affermata la nullità del patto parasociale che, in caso di inadempimento, attribuisca agli altri soci il diritto di acquistare la partecipazione del socio inadempiente (Trib. Bologna, 12 dicembre 1995).
Deve escludersi invece che possa ottenersi l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto e ciò vale soprattutto per i sindacati di voto: non è possibile ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo di esprimere il voto conformemente alle deliberazioni assunte in seno al sindacato, sia perché non sono ammissibili ordini giudiziali relativi ad un facere infungibile (ma si tratta di una obiezione forse superabile se si segue un certo orientamento giurisprudenziale) sia perché non è applicabile la disciplina degli artt. 2931 e 2932 c.c. (Trib. Roma, 20 dicembre 1996). In particolare si è osservato che il voto in assemblea non è un atto unilaterale a contenuto patrimoniale e, dunque, non è possibile giovarsi del rinvio all’art. 2932 c.c. operato dall’art. 1324 c.c.
Sembra in ogni caso non ipotizzabile che una sentenza possa tenere luogo della dichiarazione di voto non resa (o resa in modo difforme) dal socio, tenuto conto che l’esercizio di voto in assemblea non si esaurisce in una dichiarazione, assimilabile ad una manifestazione negoziale, ma comprende una serie di atti e comportamenti, soprattutto preliminari, non surrogabili giudizialmente.
Vi è però una ragione sostanziale che si frappone al riconoscimento della possibilità di esigere coattivamente l’adempimento della prestazione, in quanto la coercizione giudiziale contrasta con la libertà di voto che il patto parasociale non può in ogni caso sopprimere (Cass., 20 settembre 1995, n. 9975).
L’esecuzione in forma specifica potrebbe astrattamente ammettersi per quei patti parasociali in cui sono previsti obblighi di manifestazioni negoziali surrogabili da una pronuncia giudiziale.
Secondo la giurisprudenza, i diritti derivanti dai patti parasociali si prescrivono in dieci anni, anche se conclusi tra soci (Cass., 27 luglio 2004, n. 14094).
Patti parasociali e legislazione speciale
Mentre il quadro giurisprudenziale si evolveva nel senso del riconoscimento dei patti parasociali, il legislatore in diverse occasioni ha fatto riferimento e disciplinato gli accordi parasociali.
In particolare, vanno ricordati l’art. 21. 5 agosto 1981, n. 416 che in tema di editoria impone agli aderenti di comunicare al servizio dell’editoria gli accordi parasociali odi sindacati di voto fra i soci di società titolari di testate di giornali quotidiani che ne consentano il controllo; l’art. 13, comma 7, 1. 6 agosto 1990, n. 223 che prevede l’obbligo di comunicazione scritta al Garante degli accordi parasociali o di sindacato di voto fra i soci di società operanti nel settore radiotelevisivo, nonché di ogni modificazione intervenuta negli accordi o patti predetti (le comunicazioni devono essere effettuate da parte di coloro che stipulano l’accordo o partecipano alla istituzione del sindacato); il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 83, che ha modificato l’art. 1,1.23 marzo 1983, n. 77, prevedendo che non può essere concessa l’autorizzazione all’istituzione di fondi comuni di investimento se i soggetti che, in virtù della partecipazione al capitale in via diretta o per interposta persona o per il tramite di società fiduciaria o di società controllata ovvero in virtù di particolari vincoli o accordi, esercitano il controllo della società non sono in possesso dei requisiti di onorabilità previsti dalla legge; d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 84 (art. 5) che prevede un obbligo di comunicazione da effettuare alla Banca d’Italia per le Sicav.
Le disposizioni appena ricordate non contengono una disciplina organica degli accordi parasociali, ma tendono a regolarne (o limitarne) alcuni effetti, Ciò è sufficiente per poter affermare che sono leciti gli accordi parasociali destinati a disciplinare l’esercizio del diritto di voto in assemblea (Cass., 20 settembre 1995, n. 9975).
Tale convinzione è stata rafforzata da ulteriori, più recenti disposizioni che hanno considerato gli accordi parasociali. In particolare, l’art. 7 1. 18 febbraio 1992, n. 149, sulle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e scambi di titoli, ha stabilito che, durante la pendenza dell’offerta, l’offerente non può «stipulare o modificare, a pena di nullità, accordi circa l’esercizio del proprio diritto di voto. A pena di nullità degli stessi devono essere resi noti gli accordi già esistenti».
L’art. 1, comma 3,1. 30 luglio 1994, n. 474 sulle privatizzazioni stabilisce che la cessione mediante trattativa diretta deve essere effettuata nei confronti di acquirenti che agiscano di concerto, formulando offerte comprensive dell’impegno «di garantire, mediante accordo fra i partecipanti al nucleo stabile, determinate condizioni finanziarie, economiche e gestionali» (in altri termini è lo stesso legislatore ad aver imposto la stipulazione di patti parasociali tra i soci acquirenti).
Con riferimento alle società con azioni quotate in borsa, l’art. 122 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 ha regolamentato «i patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano».
I patti parasociali nella attuale disciplina del codice civile
È con la recente riforma del diritto societario che i patti parasociali hanno ricevuto una disciplina organica, anche se il legislatore ha regolamentato il fenomeno solo con riferimento alle società per azioni, per cui nelle altre tipologie societarie deve continuare a farsi riferimento all’elaborazione della giurisprudenza e della dottrina, integrata, entro certi limiti, con i principi desumibili dalle disposizioni del codice.
L’art. 2341 bis individua e disciplina i patti che «hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano» (lett. a); che «pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano» (lett. b); e che «hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante su tali società» (lett. c). Le tre tipologie di accordi presi in considerazione dalla norma corrispondono, secondo le categorie elaborate dalla giurisprudenza, ai sindacati di voto, ai sindacati di blocco e ai patti di concertazione (o sindacati di gestione).
Si tratta, quanto in particolare ai patti di concertazione, di accordi che mirano a creare direttamente o indirettamente una influenza dominante sulla società a favore di una pluralità di soggetti, indistintamente o congiuntamente. La concertazione tra i soci può riguardare sia l’acquisto delle azioni di una società in misura tale da consentire il controllo solo congiuntamente; sia qualsiasi altro tipo di influenza dominante, comunque esercitato anche attraverso società controllate. Ai patti parasociali possono partecipare anche soggetti non soci della società (Cass., 18 luglio 2007, n. 15963).
Limite oggettivo
Vi è un limite oggettivo della disciplina, desumibile dall’art. 2341bis c.c. il quale fa riferimento alle tre tipologie di patti in quanto abbiano il fine di «stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società».
Dunque, solo l’accordo parasociale che abbia un tale scopo — ossia di garantire nel tempo la partecipazione al capitale dei medesimi soci o consentire il controllo della società e la sua governabilità, anche con la partecipazione dei soci di minoranza, rientra nell’ambito di applicazione della norma. La stessa disposizione individua poi (comma 3) una tipologia di patti para-sociali che, in quanto diretti a scopi diversi dalla stabilizzazione degli assetti proprietari o dal governo della società, non sono oggetto della disciplina: «accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo».
Si tratta in particolare delle c.d. joint-venture, ossia di quegli accordi che, in quanto finalizzati alla collaborazione nell’attività esercitata dalla società interamente posseduta dai contraenti, non hanno evidentemente alcun riflesso sull’assetto societario o sul suo governo.
Secondo la lettera dell’art. 2341bis c.c., sembra doversi ritenere che sono esclusi dall’ambito di applicazione della legge quegli accordi che non hanno come specifico scopo la stabilizzazione degli assetti proprietari o il governo della società (si pensi, ad esempio, ai patti di prelazione o di opzione); e si è anche osservato che la disposizione non contemplerebbe quei patti che, pur perseguendo tali fini, non rientrano nelle tre tipologie individuate dal legislatore. Peraltro, l’indicazione sub i) contiene una sorta di norma di chiusura, in quanto comprende la maggior parte dei patti, diversi da quelli indicati dalle lettere precedenti, tesi comunque alla stabilizzazione o al governo della società.
La giurisprudenza ha poi avuto modo di chiarire che i patti parasociali, secondo la nuova disciplina del codice civile, sono comunque illegittimi quando il contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme o principi generali dell’ordinamento inderogabili ma non quando sia destinato a realizzare un risultato pienamente consentito dall’ordinamento (Cass., 18 luglio 2007, n. 15963).
Forma e durata
Non è prevista una forma per la stipulazione degli accordi parasociali, ma essi sono leciti se non hanno una durata superiore ai cinque anni, e si intendono comunque stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore (art. 2341 bis, comma 1) e sono rinnovabili alla scadenza. In mancanza della previsione di una durata, ciascun contraente può recedere con un preavviso di sei mesi (comma 2). Nell’interpretazione giurisprudenziale, si è affermato che ha natura parasociale anche il patto cui partecipino soggetti non soci ogni qual volta l’oggetto dell’accordo vena sull’esercizio da parte dei soci di diritti, facoltà o poteri loro spettanti nella società (Cass., 18 luglio 2007, n. 15963).
Regime di pubblicità
Quanto al regime di regime di pubblicità degli accordi, l’art. 2341 ter lo impone espressamente solo per i patti parasociali nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. In particolare questi ultimi devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea; la dichiarazione deve essere trascritta nel verbale dell’assemblea e questo deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. In mancanza della dichiarazione, i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma dell’art. 2377 c.c..
Per le società che non fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio non vi è, dunque, alcun obbligo di pubblicità. Resta, però, da chiedersi, rispetto a queste ultime, quali siano le sorti dei patti parasociali segreti, ossia se sia valida la clausola dell’accordo che obbliga gli aderenti a non divulgarlo a terzi. Attenta dottrina ha ritenuto che l’impegno di segretezza vitiatur et vitiat, per cui l’intero accordo parasociale sarebbe nullo. Il problema, va osservato, è più ampio e non coinvolge solo i patti parasociali direttamente considerati dall’art. 2341 bis c.c., ma gli accordi parasociali in genere.
Efficacia ed inadempimento
Anche gli accordi parasociali in esame hanno una efficacia meramente obbligatoria (Cass., 5 marzo 2008, n. 5963; Cass., 18 luglio 2007, n. 15963), ma la legge non considera il problema dell’inadempimento agli obblighi assunti dai soci per cui dovrà necessariamente farsi riferimento alla precedente elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria. È chiaro però che le conseguenze potranno aversi solo sul piano risarcitorio.
Modello Patto di Sindacato
Di seguito è possibile trovare un fac simile patto di sindacato di voto e di blocco in formato Doc da scaricare e da utilizzare come esempio. La bozza di patto di sindacato può essere modificata inserendo i dati delle parti e gli altri elementi contrattuali mancanti, per poi essere convertita in formato PDF o stampata.